Parigi e il suo monopolio nel settore della moda
La Francia è sempre stata un punto di riferimento per il mondo della moda e per molto tempo ne ha detenuto il monopolio; questo sicuramente ha condizionato il settore a lungo ma oggi le cose sono cambiate e si parla sempre più di moda globalizzata: uno dei linguaggi maggiormente in grado di far colloquiare le diverse componenti del contesto integrativo.
Gli storici collocano la nascita di questo sistema verso il XIV secolo. Le principali novità di questo periodo sono due: si passa dall’abito drappeggiato a quello cucito, grazie agli sviluppi in ambito tecnologico e alla distinzione tra abito maschile da quello femminile. In questo momento storico tutto gira attorno alle corti che si dimostrano subito in grado di diffondere il loro stile oltre che il proprio principato. A tal proposito, possiamo fare riferimento a Filippo il buono che all’inizio del ‘400 rende di moda il colore nero, il quale entra a far parte del guardaroba di tutte le signore dell’alta società.
È un mondo che deve ancora scoprire la globalizzazione ma la strada è già quella giusta. Spesso gli abiti e le materie prime arrivano da luoghi lontani; alcuni centri italiani, come per esempio Prato per la produzione di lana o velluti, raggiungono i livelli di eccellenza.
Nel XVII secolo le cose cambiano e la corte di Luigi XIV, quindi Parigi, diventa “la moda” diffondendo le proprie regole in tutta Europa; neanche la Rivoluzione industriale ottocentesca riesce a toglierle il primato. Gli abiti di Poiret, Channel, Vionnet e altri riforniscono il guardaroba delle signore della classe nobiliare di tutto il mondo. La Francia, inoltre, attraverso i progressi tecnologici può diffondere il suo gusto estetico con maggiore velocità e facilità, era passato il periodo in cui si usavano i figurini e le bambole portate dai sarti che lavoravano a domicilio. Adesso tutto viene fruito attraverso le sfilate e la stampa di settore; ricordiamoci la prima edizione di «Vogue» in America verso la fine dell’Ottocento.
Il monopolio parigino si spezza tardi con la Seconda Guerra Mondiale; dopo questo disastroso periodo i cambiamenti economici, politici e sociali rendono possibile l’imposizione di altre città come capitali della moda. Prendiamo in considerazione Londra che verso la metà degli anni Cinquanta del Novecento emerge come la capitale della moda giovanile con designer come Mary Quant; oppure New York che negli anni Settanta diventa simbolo del casual con Calvin Klein e Ralph Lauren, e, per ultima ma non per importanza, la moda italiana che negli anni Cinquanta si identifica con la città di Milano che diventa per il mondo intero, grazie a grandi nomi come Armani, il luogo per eccellenza del pret-à-porter e del lusso.
La globalizzazione
In base a queste considerazioni possiamo affermare che la moda nella sua versione globalizzata più che anticipare il presente è il presente stesso, o per meglio dire la sua manifestazione visiva. In particolare, Susan Keiser considera la moda come un processo dialettico che comprende una sfida nel trasformare lo status quo. Per questo motivo la moda è in-formazione, profila cioè percorsi e modi che vanno affacciandosi.
La moda non è un incrocio di tessuti ma significati.
Ronald Barthes è stato il primo a rintracciare nella retorica della moda il vero punto importante della sua essenza. Proiettando il nostro sguardo al presente, possiamo notare come siano la cultura e la comunicazione della moda a procurarci le informazioni e immagini. Le verità nascoste che la comunicazione della moda e la sua cultura globalizzata collocano in evidenza sono legate all’eurocentrismo del passato, in cui il gusto estetico si è affermato all’interno di gruppi elitari. L’abbigliamento rappresenta sia un linguaggio sempre in trasformazione, sia un luogo di incontro tra le altre culture. Possiamo dedurre due “vie”: da un lato abbiamo una moda che si diffonde e viaggia attraverso gli usuali canali di comunicazione globale dei marchi, delle sfilate e delle fiere; dall’altro la tradizione e la cultura locale viaggiano molto velocemente nelle strade e negli scambi commerciali.
La diffusione della moda nel mondo
A tal proposito, la moda globalizzata non può essere intesa semplicemente come un’espansione del potere di brand, di stilisti. La scelta individuale o collettiva di utilizzare “abiti occidentali” in luoghi che adottano altre grammatiche sartoriali ha sempre a che fare con l’ambiente sociale di riferimento. Gli antropologi della moda hanno coniato il concetto di autenticazione culturale, ovvero il processo attraverso cui i membri appartenenti a gruppi culturali interiorizzano culture estranee e le fanno proprie; ovviamente non si può parlare di un’interiorizzazione originale, poiché, nel momento in cui due o più culture entrano in contatto, avviene quella che si definisce “fusione”, quindi ci troviamo dinanzi a una traduzione piuttosto che a una interpretazione degli elementi culturali esterni.
“Moda moderna”: questo termine è stato adoperato per rappresentare l’insieme del vestire occidentale e locale che va a comporre l’enorme puzzle della moda globale la quale si mostra sempre più pervasiva e inarrestabile. Ci troviamo davanti a un bivio: da una parte abbiamo i grandi marchi occidentali, che si espandono con l’obiettivo di trovare nuovi mercati, dall’altro ci sono le grammatiche del vestire locale, successivamente troviamo la moda globalizzata, un nuovo linguaggio che contiene entrambi e che sempre più persone dominano nel mondo.
Come orientarsi nella moda globalizzata?
La diffusione inarrestabile della moda globalizzata non è avvenuta in maniera casuale e non è nemmeno guidata dalle strategie commerciali di aziende, gruppi internazionali o dal gusto del pubblico. Possiamo notare che i movimenti di internazionalizzazione della moda sono specchio di logiche che non si sono formate di recente, ma trovano origine nella storia stessa della moda: relazioni economiche, storiche, politiche incidono nelle dimensioni spaziali relative alle apposite connotazioni. Tra queste è possibile suddividere due componenti essenziali: Occidente e Oriente, cioè l’orientalismo e il rapporto tra Nord e Sud, ovvero l’emancipazione da forme diverse di padronanza sartoriale.
Oriente e Occidente
Questi due poli sono di fondamentale importanza per tracciare le esatte traiettorie del tessile e della moda. La storia della moda Occidentale non può essere raccontata o scritta senza tenere in considerazione l’influenza che ha avuto la moda orientale su di essa.
Islam, Giappone, Cina e così via, hanno delineato lo stile di grandi artisti e borghesi vissuti tra la Venezia di Mario Fortuny e la Parigi di Poiret. Insomma, l’Oriente è il riflesso invertito dell’Occidente, “il luogo della repulsione ma anche della fascinazione e rappresenta una tentazione costante”.
Le relazioni tra europei e non europei sono stati analizzate recentemente dagli esperti di moda e dagli studiosi di storia del tessile che hanno dimostrato come l’evoluzione della moda europea sia stata fortemente influenzata dall’importazione di materie prime orientali, quali seta e cotone. In realtà l’Europa ha molti “debiti” nei confronti dell’Asia: fino alla “Rivoluzione tessile” (1780-1830) l’Asia possedeva il monopolio della produzione di beni di lusso prima ancora che i prodotti venissero fatti in serie presso le fabbriche.
Nord e Sud
In questo contesto parliamo del rapporto di dominio e controllo che la moda occidentale manifesta nei confronti di altri spazi e altre estetiche. Perché Nord e Sud? Questa contrapposizione ha a che vedere con la decolonizzazione del dominio dell’Europa. Nella prima fase di questo processo l’abito occidentale è stato impregnato di valore simbolico e viene anche preferito dai governi locali che vedono la moda occidentale come sinonimo di progresso e modernità e si inizia a parlare di “adozione della divisa occidentale”.
Verso la fine del processo di decolonizzazione le cose si invertono e si opta per un vestire “locale”. Ciò sicuramente porta a valorizzare la tradizione ma allo stesso tempo è ancora opposta alla modernità e alla urbanizzazione. Questi “nuovi” poli vanno a definire e comporre la nuova cultura della moda che ha cominciato a dichiararsi apertamente a partire dagli anni Novanta del Novecento e che comprende sia l’internazionalizzazione sia la tradizione. Possiamo affermare, quindi, che la globalizzazione ha effetti contradditori: il locale nasce dal globale e la moda diventa un territorio di incontro-scontro dove si può venire a conoscenza di culture e tradizioni diverse rispetto alle proprie.
Questo excursus riguardante il monopolio e la globalizzazione nell’ambito della moda ci porta ad affermare con assoluta certezza che il monopolio francese nel tempo è andato dissolvendosi e questo ha reso possibile la creazione e la nascita di altre città simbolo dell’haute couture. Il nostro presente è sempre più contraddittorio: da un lato un gusto omogeneo che ha portato gli individui a vestirsi in maniera sempre più simile o addirittura uguale, grazie anche alla diffusione di grandi catene come H&M, Zara e così via; dall’altro gli stessi brand propongono collezioni adeguate al vestire locale. Nel prossimo articolo tratteremo il tema del monopolio culturale nel mondo dell’arte: come ha influito in questo settore la globalizzazione?
Simona Segre Reinaich, Un mondo di mode-il vestire globalizzato, Editori Laterza, 2019