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Covid-19 e moda. Che direzione prende il fashion?

L’epidemia da Covid-19 ha mandato al tappeto tanti settori, tra cui quello della moda. Per superare il periodo di difficoltà, il comparto del fashion ha investito sul digitale e sulla sostenibilità: mossa necessaria per perseguire un’innovazione che gli permetterà di rimanere a galla nonostante il periodo nero che ha visto chiudere i negozi e cancellare il turismo.

Come diceva la scrittrice cilena Isabel Allende, «Le crisi e le avversità spesso diventano occasione di crescita interiore». È vero, la scia della pandemia non si è ancora esaurita. Non possiamo guardare le cose con “il senno di poi”, però, anche adesso non è possibile non notare come la crisi pandemica abbia portato innovazione sotto tanti punti di vista.

Era necessaria un’epidemia per capire che c’era bisogno di un cambiamento che ci scuotesse dalla nostra routine? Evidentemente sì. Menti brillanti hanno pensato e ripensato le proprie attività, le istituzioni, i modi di vivere. Basti pensare alla rivoluzione dello smart working, così poco praticato e guardato con occhi sospettosi prima del terribile avvento del Covid-19.

Anche la didattica a distanza, la DAD, è un notevole esempio di spinta verso l’innovazione. I ragazzi hanno imparato tramite l’e-learning e tanti adulti sono tornati virtualmente sui banchi grazie ai corsi di formazione a distanza. Le barriere spaziali sono state abolite, moltissime persone hanno abbracciato la possibilità di imparare da remoto, con corsi online, chi perché ha perso il lavoro, chi per un’esigenza di auto-miglioramento.

Sono state sfide difficili, incorniciate per molti da sofferenze, fatiche, ansie. Ma queste emozioni negative hanno portato con sé anche delle consapevolezze circa la capacità dell’essere umano di adattarsi, di resistere.

La crisi causata dal Covid-19 ha coinvolto anche il settore della moda

Il settore moda è stato uno tra i più colpiti dalla crisi Covid-19, secondo solo al settore del turismo.  È una filiera con un fatturato che supera gli 80 miliardi di euro e quasi 500mila addetti, con un saldo commerciale pari a oltre 33 miliardi di euro e che nel mese di aprile ha subito un crollo del -81% con una chiusura quasi totale dei canali di vendita.

Per colpa dei recenti avvenimenti, la moda italiana ha rischiato di perdere la sua preminenza europea: ha attraversato un blocco della produzione e la chiusura dei negozi fisici. La crisi ha travolto il Belpaese proprio nel mezzo della Fashion Week, quando dovevano essere presentate le collezioni delle principali aziende italiane per l’autunno/inverno 2020-2021.

cartello negozio chiuso per covid

Una crisi che ha risvegliato un senso di destino comune, come ha dimostrato il numero di Vanity Fair dell’8 aprile con la bandiera tricolore in copertina e l’hashtag #LItaliasiamonoi, a ricordare che l’emergenza ha creato sì una ferita, ma in questo “taglio” è ricomparsa l’esigenza di creare un’unione per uscirne tutti insieme.

Anche il numero di aprile di Vogue Italia è uscito sul mercato con una copertina bianca, e ha realizzato il primo grande servizio di moda della pandemia, a testimonianza di come gli stilisti e gli operatori del settore si siano impegnati nel trovare modi alternativi per mostrare i capi e le collezioni al pubblico.

La moda diventa digital

La recente crisi causata dal Covid-19 ha stravolto l’esistenza di tutti mutando radicalmente abitudini e stili di vita, e sta facendo cambiare anche la moda.  I big players del fashion stanno reagendo alle nuove condizioni imposte dalla convivenza con il virus.

Un’innovazione sono state le passerelle digitali: la Shanghai Fashion Week di marzo si è svolta completamente in digitale, così come la Fashion Week di Milano, che si è tenuta a luglio sotto forma di “Milano Digital Fashion Week”, con un palinsesto in diretta di sfilate, video, foto e backstage.

L’appello di Armani per una moda più “slow” e sostenibile

Nell’haute couture il focus è stato riportato sul bene comune, sulla moda etica. Infatti, lo stilista Giorgio Armani ha dichiarato:  «Non si può pensare solo al profitto, la moda deve rallentare se vuole tornare ad essere umana», invitando gli addetti ai lavori a cambiare il concetto della stagionalità e ad approcciarsi ad una moda più etica e senza consumi eccessivi.

Armani afferma che sarebbe meglio limitarsi a due collezioni l’anno e i saldi dovrebbero essere fatti solamente a gennaio sulla stagione invernale e a luglio su quella estiva (evitando gli inutili acquisti compulsivi del black friday o del cyber monday e dei saldi in qualsiasi stagione). Questa mossa valorizzerebbe il comparto moda e permetterebbe di evitare sprechi che porterebbero a un peggioramento della già disastrosa situazione inquinamento.

Re Giorgio ricorda che se si ripartisse in modo più lento e sostenibile ci sarebbe la possibilità di ridare alla moda la dignità che le spetta. È  importante riportare i valori antichi della moda Made in Italy, quei valori che spingono a comprare capi intramontabili, quegli abiti che non finiscono in discarica dopo poche occasioni. Capi senza tempo, destinati a durare negli anni.

L’appello di Armani rema contro la sovrapproduzione di un mercato saturo, dove oggi si compra qualcosa che domani è già vecchio. Lo stilista e imprenditore italiano ha affermato che il declino del sistema moda è iniziato quando il compartimento del lusso ha fatto suoi gli stessi metodi operativi del fast fashion, dimenticando che la moda richiede tempo.

La crisi è un’opportunità per ridare valore all’autenticità: basta con la moda fatta solo di comunicazione, basta con le sfilate cruise in giro per il mondo per presentare idee mediocri e intrattenere con show grandiosi. […] Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma offre anche un’opportunità unica di sistemare ciò che nel sistema è sbagliato, recuperando una dimensione più umana.

manichini in vetrina con maglietta che recita la scritta "SALE"

Tra i brand che hanno seguito la scia di Armani figura YSL

Anche Yves Saint Laurent ha seguito la scia di Re Giorgio, lavorando secondo i propri ritmi, abbandonando l’idea di partecipare forzatamente a sfilate che affrettavano i tempi della produzione e del lancio di nuove collezioni.

Un mondo che ormai era, ed è, costellato da una velocità impressionante e sfrenata, fatta di creatività forzata. Il designer di moda Anthony Vaccarello, che ha rilanciato il brand YSL ha affermato che non c’è motivo per seguire calendari realizzati anni fa, quando la situazione era totalmente diversa rispetto ad oggi.

Voglio presentare una collezione quando sarò pronto a svelarla. La pandemia Covid-19 ci ha costretti a cambiare improvvisamente e completamente le nostre abitudini, comportamenti e interazioni con gli altri. Ha avuto un impatto violento mascherato da una calma apparente. Ciò che è fuori dalla moda ora è il calendario dell’intero sistema: gli show, gli showroom, gli ordini.

Le opinioni di Conti e Borghi sulla necessità del cambiamento: sostenibilità e prossimità

Giovanni Maria Conti, docente di Storia e Scenari della Moda al Politecnico di Milano, spiega che la pandemia cambierà le priorità intorno alla sostenibilità, intensificando il dibattito che ruota attorno al materialismo, al consumo eccessivo e alle pratiche commerciali irresponsabili. Afferma:

Non so se il fast fashion abbia imboccato il viale del tramonto, ma sicuramente la moda dopo questo evento sarà molto differente perché saremo diversi noi, le nostre necessità e, forse, i nostri bisogni.

Come asserisce Renato Borghi, Presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, il cambiamento non è un’idea da contemplare e da lasciar perdere ma una necessità, e se non verrà abbracciata la filiera andrà in contro a gravissimi rischi. Le imprese di abbigliamento, calzature e pelletterie sono davanti a un baratro. Ai consumatori si chiede di ritornare a comprare nei negozi di prossimità e non sulle grandi piattaforme.

Cambiano le passerelle ma cambia anche lo stile: i pantaloni del pigiama sono la nuova uniforme

Il cambiamento non si è fermato al livello infrastrutturale e organizzativo, ma è compenetrato anche nello stile. Lo smart working e la necessità e il dovere di stare a casa hanno rivoluzionato l’abbigliamento delle persone. I pantaloni della tuta e l’abbigliamento da casa sono diventati la nuova uniforme quotidiana.

Sembra inoltre che la tendenza sia quella di snellire il guardaroba (una pratica definita decluttering), puntando più sulla qualità che sulla quantità.

Comprare meno e meglio è il nuovo motto per acquisti  più consapevoli.

scritta su vetrina negozio di abbigliamento che recita "less"

Anche sulle passerelle, la tendenza prevalente è stata verso un tipo di abbigliamento meno formale di quello tradizionale da ufficio, più morbido e pratico.  Le persone si sono abituate a vestire comode mentre lavoravano da casa, prediligendo uno stile elegante ma informale, cercando sempre la comodità nel vestire.

Il settore del fashion non si arrende davanti alle nuove esigenze

La moda resiste, con nuove consapevolezze e più flessibilità. Il fashion si sta adattando alle esigenze pratiche della vita di tutti i giorni, soprattutto perché in un periodo in cui tutti combattono la propria battaglia personale,  cambiano le abitudini, le modalità di incontro, di socializzazione, l’organizzazione del tempo libero, la scuola.

È un momento in cui ritorna in primo piano la cura di sé, la semplicità, il raccoglimento interiore e familiare. Un tempo, forse, in cui bisogna liberarsi di ciò che c’è in eccesso per rinnovarsi e riscoprire la propria autenticità. Un tempo etico e fatto di consapevolezze.

FACEBOOK: Il Covid-19 ha avuto un impatto anche sul mondo della moda. Dopo il duro colpo subito il fashion deve rinnovarsi e diventare sostenibile.


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