Una donna tenace, resistente, immensa. Una donna straziata da un disagio profondo, insanabile, eppure così risoluta nella sua incessante missione di rievocazione storica. Ma del volto più brutale della storia, quello che forse per molti sarebbe più semplice dimenticare. Una donna che oggi, a distanza di quasi ottant’anni dal più atroce esperimento di annientamento dell’umanità registrato nella storia, è costretta a vivere sotto scorta. Tutto questo e molto di più è Liliana Segre: uno straordinario monito a non replicare gli errori del passato.
Il 9 ottobre del 2020, all’età di novant’anni, questa donna gigantesca – nonché senatrice a vita dal 2018 – ha concluso la sua opera di testimonianza pubblica. Ma per il suo coraggio e per la sua giovanile forza, il mondo non smetterà mai di ringraziarla.
Il 27 gennaio, come noto a molti ma non sempre ricordato da tutti, ricorre il Giorno della Memoria. È la data della liberazione di Auschwitz, il campo di sterminio nel quale milioni di ebrei, dissidenti politici, disabili e omosessuali furono detenuti e/o uccisi tra il 1940 e il 1945. Il Giorno della Memoria è considerato tale per legge soltanto dal 2000: fino a quel momento, evidentemente, non se ne è percepita pubblicamente la necessità. Ma come è possibile che ci sia voluta un’attesa così lunga prima di riportare ufficialmente a galla tutto l’orrore di quegli anni? L’esigenza di dimenticare e l’illusione di una mancata complicità nazionale con le deportazioni non possono essere ragioni sufficienti per fingere che il più turpe tra i genocidi della modernità non sia realmente accaduto.
Liliana Segre, prigioniera nel campo di Auschwitz-Birkenau tra il 1944 e il 1945, ha scelto un piccolo paesino in provincia di Arezzo e un pubblico di giovanissimi per raccontare un’ultima volta la sua drammatica esperienza. Settanta minuti intensi, pronunciati in un silenzio colmo di riverenza. Il suo ritiro dalla pubblica testimonianza segnerà una perdita immane per la coscienza storica e civile del Paese, ma le sue parole resteranno per sempre impresse dentro chiunque abbia avuto la fortuna di fruirne. A questo proposito, il Corriere della Sera ha riportato l’ultimo doloroso discorso della Segre in un piccolo volume a cura di Ferruccio de Bortoli e Alessia Rastelli, dal titolo Ho scelto la vita.
Io ho scelto la vita, anche se sono sopravvissuta per caso. Erano pochissime quelle che si suicidarono, per quanto fosse facilissimo: bastava attaccarsi ai fili spinati elettrificati che sfioravamo tutti i giorni. Ma tutte sceglievamo la vita, la vita, la vita! Sognare di essere fuori di lì, il rumore di un bambino che gioca, un gattino, un prato verde, una nuvola, una qualsiasi cosa bella.
Erano pochi i milanesi a conoscenza che la deportazione di uomini, donne e bambini avvenisse nei sotterranei della Stazione Centrale di Milano. Proprio lì, sotto i binari nei quali ogni giorno si recavano per andare al lavoro, decine di treni colmi di ebrei e altri perseguitati partivano per essere trasformati in rifiuti umani, da “smaltire” nella camere a gas o nei campi di lavoro. Tra questi vi era anche Liliana Segre. La donna, all’epoca tredicenne, fu deportata il 30 gennaio 1944 insieme al padre e ai nonni. Familiari che da lì a poco non avrebbe mai più rivisto. Per mesi lei e la sua famiglia avevano vissuto nell’ombra, cercando riparo sotto tetti di case amiche o tra le montagne al di là del confine. Ma poi era sopraggiunto il carcere, e la notizia della partenza per “ignota destinazione”. Così, il 6 febbraio 1944 Liliana si trova sola e ignara nel campo di Birkenau, dove sarebbe stata rinchiusa per quasi un anno.
Che cos’è questo posto? Una distesa di baracche, la neve per terra, decine di donne rasate e scheletriche vestite a righe che scavavano buche, che portavano pietre sulle spalle. Io non avevo ancora studiato Dante, perché avevo fatto solo la seconda media e neanche tutta. Quando anni dopo lo lessi, capii che eravamo delle dannate, scontavamo pene ma non c’era il contrappasso.
«Dimenticate il vostro nome, non interessa a nessuno. Voi d’ora in poi sarete un numero». Queste erano le parole con le quali i prigionieri dei campi venivano accolti dalle squadre nazifasciste. Un numero tatuato sul braccio, così ben fatto che a distanza di tanti anni quello di Liliana Segre si legge ancora perfettamente: 75190. Un segno indelebile, che alimenta ogni giorno il ricordo di un’esperienza che in ogni caso Liliana non avrebbe mai dimenticato.
La memoria è un elisir prezioso, il vaccino contro il morbo del totalitarismo. Un Paese senza memoria è omertoso, cariato, travolto da ignoranza e pregiudizi. Senza la facoltà di ricordare e prendere le distanze dagli orrori del passato, non ci sarebbe più alcuna moralità, alcun rispetto per il prossimo, alcuna consapevolezza della sofferenza con cui i nostri antenati hanno sanguinosamente conquistato la libertà nella quale oggi ci è concesso vivere. Senza la memoria, le vittime della Shoah muoiono ancora. Muoiono tutti i giorni, sepolte dalla nostra indifferenza.
Dov’erano gli Uomini? Gli uomini con la “U” maiuscola, quelli che possono guardarsi allo specchio e dire «Ho una coscienza e ho fatto quello che dovevo fare». Non c’era nessuno.
“Indifferenza”: ecco la parola che Liliana Segre ha voluto trascrivere a caratteri cubitali all’interno del Memoriale della Shoah di Milano. I prigionieri che furono rastrellati e avviati ai campi di sterminio nazisti non erano vittime soltanto della brutalità nazifascista; erano vittime anche dell’indifferenza e del radicato pregiudizio dell’epoca.
Quando sono entrata in Senato per la prima volta ho detto: «Io sono stata clandestina sulle montagne, sono stata richiedente asilo perché di qua dal confine si moriva. So che cosa voglia dire essere respinti.»
Grazie, Liliana, per il prezioso lascito con cui ha arricchito immensamente ognuno di noi. Lo custodiremo con cura e lo applicheremo, tassello dopo tassello, per plasmare un mondo meno brutale di ciò che è stato e di ciò che è oggi. Perché la discriminazione razziale, sessuale e di genere sono piaghe che possono essere debellate soltanto seguendo l’esempio di persone grandi come lei.
FONTI
Liliana Segre, Ho scelto la vita, prefazione di Ferruccio de Bortoli, a cura di Alessia Restelli, Corriere della sera, 2020.
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