Quante volte negli ultimi mesi abbiamo sentito parlare di isolamento? Rinchiusi a forza nelle nostre case, non abbiamo potuto far altro che accettare questa condizione, dichiaratamente imposta. E se il mondo non fa altro che esprimere il proprio disappunto a riguardo, ci sarebbe piuttosto da far luce su una questione: ci sono lati positivi?
L’articolo precedente di questa serie ci mostra come un settore, quello della moda, sia riuscito a reinventarsi. Sì, perché se lo sconforto è contemplato, allora deve esserlo anche l’ottimismo. La speranza di poter voltare pagina, un giorno. E la voglia, nel frattempo, di costruire cose belle. Cose che domani, guardandoci indietro, scopriremo nate a favore di una rinascita che tutti aspettavamo da tempo.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che sia stato un anno duro per tutti. Una branca, però, ne ha risentito più di altre. L’arte, che ha sempre saputo unire corpi e menti, si è ritrovata in un batter d’occhio a essere del tutto impotente. Di fronte a un nemico più grande di lei, più grande di tutto ciò che da sempre sostiene la cultura, l’informazione, l’aggregazione e la condivisione. L’emergenza sanitaria ci ha messo in ginocchio e persino il nostro spirito è stato intaccato. In maniera forse irreversibile.
Nulla sarà più come prima. E non in fatto di benevolenza o di propensione alla bontà. Ognuno di noi è stato colpito. Nessuno guarderà più alla realtà nello stesso modo. Lo scrittore israeliano David Grossman ha centrato a pieno la questione, quando in un’intervista ha affermato:
Quando l’epidemia finirà, non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla sua vita precedente. Chi, potendo, lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha soffocato e oppresso. Chi deciderà di abbandonare la famiglia, di dire addio al coniuge o al partner. Di mettere al mondo un figlio o di non volere figli. Di fare coming out. Ci sarà chi comincerà a credere in Dio e chi smetterà di credere in lui.
Non si parla, quindi, di voltarsi alla clemenza. Si tratta, piuttosto, di cambiamento. Sebbene non paia così scontato pensarci, l’isolamento forzato dell’ultimo anno ci ha posto di fronte a dei quesiti. Forse tutto è successo per un motivo. Forse la natura si è ribellata e ha cercato di escogitare un piano per farcela pagare. Riuscendoci.
Oppure, molto semplicemente, è andata così perché non poteva essere altrimenti. Così come la moda sopracitata, anche l’arte ha dovuto ripensare a logiche ed espedienti per non troncare nettamente quel filo che da sempre la unisce alla cultura, all’espressione e alla scienza del sapere.
La cultura è l’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande (Hans Georg Gadamer).
Complice la chiusura dei confini e la scarsa possibilità di spostamento, quest’anno più che mai abbiamo riscoperto le bellezze del nostro paese. Lontana da sguardi stranieri, l’Italia si è fatta ammirare da chi da sempre la abita, apprezzandone peculiarità e persino mancanze.
Così i musei e le mostre d’arte, chiuse sin dal primo lockdown, si sono trasportati all’interno delle nostre case. Come per magia, abbiamo potuto assistere alla visione in diretta di un famoso quadro o di una scultura marmorea. Tutto comodamente a casa nostra, tramite un’applicazione scaricata dal nostro smartphone.
La maggior parte delle istituzioni artistiche ha permesso questo scambio di informazioni. Apprezzato o meno, si è reso necessario la possibilità di far vivere il più possibile la normalità. E normalità significa anche questo. Non smettere di emozionarsi di fronte a una tela, non abbandonare l’idea di perdersi lungo i corridoi dell’esposizione che aspettavamo da tempo.
Al centro di questo isolamento forzato, come accennato, le bellezze italiane. Non avendo, o quasi, la possibilità di varcare i confini nazionali, quest’anno passato è stato quello della rivelazione. Le strade delle nostre città, spesso prive di passanti, ci hanno fatto scoprire nuovi scorci, nuovi monumenti, nuovi aspetti. Nuovi non perché nati da poco, ma piuttosto perché la frenesia della quotidianità celava continuamente il loro fascino. Ed è così che, ancora una volta, l’isolamento prende i giusti connotati.
Dove sta scritto che ci sia per forza della negatività in tutto questo? È normale che venga da pensare il contrario. Una pandemia mondiale non era prevista. Però è altrettanto vero che dopo un anno di cambiamenti e lati svantaggiosi, sarebbe opportuno individuare gli effetti positivi che questa situazione ha portato con sé.
Artisticamente parlando, vi è stata una vastissima riscoperta a livello nazionale. Nonostante le chiusure e le serrande abbassate, la gente comune ha potuto rifarsi gli occhi. Tramite la tecnologia, per l’appunto, ma anche attraverso i propri occhi. Sono tanti, in Italia, i luoghi d’arte che possono essere ammirati semplicemente per il loro fascino esteriore, come i monumenti per esempio.
Il Colosseo e i Fori Imperiali, che da millenni caratterizzano la nostra capitale, sono stati sì visitati tramite l’apposito portale online, e la loro visione dal vivo, carente di turisti, è stata per i romani un’occasione esperienziale senza precedenti.
Come diceva il grande Alberto Sordi:
Roma non è una città come le altre. È un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi.
In pieno isolamento sociale, l’idea è proprio questa.
Lo stesso discorso vale per il Duomo di Milano. Le vie del centro storico, mai così vuote, hanno permesso ai fortunati residenti di ammirarlo in tutta la sua grandiosità. Mettendone in risalto le caratteristiche che altrimenti sarebbero andate perse, coperte dalla frenesia di una metropoli sempre troppo scompigliata.
E ancora, Piazza dei Miracoli. I pisani non si saranno fatti scappare l’occasione. Non esiste giorno in cui non vi sia il tentativo da parte di qualcuno di fare una fotografia mentre sostiene la torre inclinata. Finalmente la possibilità di apprezzarne il vero significato artistico.
Una delle città che più delle altre ha saputo assaporare la cultura a 360° è stata Venezia. La città lagunare pullula di bellezze introspettive, spesso sottostimate per la quantità impressionante di turisti che ogni anno la inondano. Piazza San Marco, così come Ponte di Rialto, avranno avuto sicuramente un fascino differente rispetto alla routine quotidiana. Le acque lagunari, quasi limpide per l’assenza di inquinamento, hanno per mesi incorniciato la città, facendola diventare un luogo quasi idilliaco. L’arte è qui portata al massimo della sua espressività.
I musei, d’altro canto, hanno permesso a chiunque l’accesso telematico. Così, una mostra fotografica si è trasformata in un album interattivo da poter comodamente sfogliare a casa propria. Non è detto, però, che anche questo isolamento non abbia portato maggiore consapevolezza sulle innumerevoli possibilità che abbiamo in Italia.
Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi inorridirsi, commuoversi, innamorarsi, stare con se stessi. Le scuse per non fermarci a chiedere se questo correre ci rende felici sono migliaia, e se non ci sono, siamo bravissimi a inventarle (Tiziano Terzani).
Chissà, allora, se un pizzico di positività possa essere ancora trovata. Oppure no, non c’è nulla di cui meravigliarsi: non non lo crediamo.
Nel prossimo articolo parleremo di società, e di come questa sia riuscita ad affrontare il problema dell’isolamento forzato. Si parlerà del settore che, probabilmente, ha avuto la difficoltà maggiore in assoluto: il turismo. Dai viaggi dimezzati alle possibilità economiche insufficienti, si andrà spiegando come un paese caratteristico come l’Italia sia riuscito ad affrontare un’emergenza probabilmente mai fronteggiata prima.