Nel dicembre del 2014 un tribunale argentino ha emesso una sentenza destinata a passare alla storia: è stato infatti riconosciuto il diritto di una femmina di orango, che risiedeva in uno zoo a Buenos Aires, ad essere liberata in quanto “persona non-umana”. L’orango, di nome Sandra, era nata in cattività, nello zoo tedesco di Rostock, ed era stata rifiutata dalla madre. All’età di nove anni (buona parte dei quali trascorsi in solitudine), venne trasferita presso lo zoo argentino, in una gabbia troppo piccola per le sue esigenze (grande circa quanto un campo da basket).
Qui visse a lungo in solitudine, tanto che, una volta divenuta mamma, rifiutò a sua volta il proprio cucciolo, Sheinbira; purtroppo, si tratta di un comportamento comune tra gli animali in cattività. La vita di Sandra è stata caratterizzata da emarginazione e isolamento fino alla decisione da parte dell’AFADA (Associazione di Funzionari e Avvocati per i Diritti degli Animali) di intervenire in difesa dell’orango, sostenendo che l’animale aveva “funzioni cognitive sufficienti” per non essere trattato come un oggetto.
L’orango, infatti, è in grado di percepire il passare del tempo, mantenere legami affettivi, imparare, comunicare e trasmettere quanto ha appreso. L’associazione animalista ha presentato la formula legale dell’habeas corpus, normalmente utilizzata per contestare la detenzione illegittima di una persona. In seguito a una sentenza sfavorevole di primo grado, gli attivisti dell’AFADA non si sono arresi e sono giunti ad una vittoria inaspettata.
Il giudice Elena Liberatori ha emesso la sentenza definitiva: in quanto soggetto senziente, benché non appartenente alla specie homo sapiens, l’orango femmina era stata privata della sua libertà e detenuta illegalmente presso lo zoo di Buenos Aires. Il giudice Liberatori ha inoltre commentato: “Ho studiato le leggi per difendere gli innocenti e non c’è nulla di più innocente che un animale”. La sentenza ha impresso una svolta radicale nella considerazione giuridica degli animali: non più oggetti, bensì soggetti.
Contemporaneamente, si era scatenata una vasta polemica nella società argentina. Nel giugno 2016 lo zoo in cui era ospitata Sandra chiuse, sostituito da un Eco-parco. Molti degli animali che prima vi risiedevano, inoltre, vennero liberati; tra costoro, però, non c’era il ben noto orango femmina: i suoi custodi ritennero che sarebbe bastato ampliare la sua gabbia per renderla più felice. D’altro canto, Sandra ormai aveva una certa età (più di trenta anni, quando la vita media di un animale della sua specie si aggira intorno ai quaranta) ed è probabile che non sarebbe stata in grado di sopravvivere autonomamente in natura.
Inizialmente, si pensò di trasferirla in un santuario in Brasile. Tuttavia, in seguito venne individuata una struttura, negli Stati Uniti, dove Sandra poteva essere ospitata e convivere con altri ventuno oranghi. Si tratta del Centro Grandi Scimmie che si trova in Florida, nell’area rurale di Wauchula: un’area boscosa e umida che si estende per quaranta ettari. Nel 2019, dopo diversi controlli sanitari, Sandra ha cambiato ancora casa, per l’ultima volta, dirigendosi finalmente in un ambiente aperto, e non più in una gabbia limitata.
Ed è proprio nel 2020 che l’orango femmina protagonista di una delle controversie più importanti della storia dei diritti animali ha iniziato a adattarsi alla sua nuova vita. Sandra gioca e interagisce con gli altri membri della sua specie – per la prima volta dopo anni di isolamento e solitudine. La sua storia ci ricorda che anche gli animali hanno il diritto di vivere una vita dignitosa. Quello di Sandra, però, è un caso fortunato, perché il riconoscimento di “persona non-umana” che ha avviato il processo del suo trasferimento (il quale, comunque, ha impiegato alcuni anni) non è affatto scontato.
Già in passato, infatti, diversi attivisti avevano tentato di portare in tribunale alcune richieste di liberazione di animali che si trovavano in circhi e zoo. Una richiesta simile a quella dell’orango era stata avanzata per la liberazione dello scimpanzé Tommy, che risiedeva in uno zoo di New York; la domanda, tuttavia, non era stata accolta dal tribunale statunitense. Nel 2011, la PETA (People for the Ethical Treatment of Animals) aveva invece fatto causa al parco marino SeaWorld per la “riduzione in schiavitù” di cinque orche; accusa respinta dal tribunale di San Diego.
A distanza di decenni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale siglata dall’UNESCO nel 1978, l’argomento dei diritti degli animali rimane profondamente attuale: fino a che punto si possono estendere i diritti degli animali? E non sarebbe forse più corretto, come hanno proposto alcuni esperti di filosofia del diritto, parlare di doveri dell’uomo verso gli animali, dato che siamo noi a sfruttarli? Il dibattito prosegue.
[one_half_last] CREDITS
Immagine 2[/one_half_last]