The Antwerp Six

The Antwerp Six: Marina Yee

Marina Yee è la sesta componente del gruppo dei Sei di Anversa. La meno conosciuta, il membro “accidentale”, considerata come più lontana rispetto agli altri designer: infatti, nel 1988, il gruppo intenzionato a partire per Londra e lanciarsi nel mercato internazionale della moda non comprendeva Marina Yee, bensì Martin Margiela. Ai tempi però aveva già ottenuto un incarico piuttosto importante, quindi decise di rinunciare. A seguito dell’avventura londinese la strada di Marina Yee prese una direzione diversa rispetto a quella dei suoi colleghi, una storia che vale la pena conoscere, per capire come, partendo dalla stessa formazione accademica, un’artista possa applicare le proprie conoscenze in diversi modi.
Marina Yee, nonostante le sue origini orientali, nasce ad Anversa nel 1958. La sua attitudine da artista nomade si è formata già a partire dall’infanzia, in quanto, a causa del lavoro dei genitori, ha avuto l’occasione di spostarsi e vivere in città diverse.
A quindici anni decide di frequentare l’Istituto d’arte St Lukas ad Hasselt, una cittadina tranquilla del Belgio. La noia e la solitudine le hanno permesso di viaggiare con la mente ed esplorare a fondo la sua creatività. Qui conosce il futuro designer Martin Margiela: i due sono accomunati dal talento e dall’ambizione, scoprono insieme la passione per la moda e sognano di lanciarsi in una nuova avventura. Infatti, una volta diplomati, decidono di iscriversi al corso di fashion design dell’Accademia di Belle Arti di Anversa. All’inizio degli anni ‘80 nelle Fiandre “la moda non era di moda”: Marina Yee aveva solo riferimenti lontani, come i designer della hall of fame francesi. I due ragazzi avevano però intuito l’imminente rivoluzione che sarebbe avvenuta, determinata dagli stessi designer belgi, arrivati con un furgone carico delle loro creazioni.
Al momento non ci rendevamo conto di avere avuto un così grande impatto insieme a Martin. Quando abbiamo dato il via agli Antwerp Six i giapponesi erano in prima fila, curiosi. Hanno capito subito quanto eravamo diversi.
Per Marina però, l’avventura dei Sei di Anversa finisce molto presto: sulla scia del successo, gli altri la incoraggiavano a lanciare il proprio brand, ma lei non aveva intenzione di commercializzare il suo lavoro. La pressione delle scadenze e i ritmi di produzione frenetici l’hanno portata a perdere l’equilibrio, finendo così in depressione.
Lasciare il gruppo si è rivelata la scelta più giusta, in quanto le ha permesso di esprimersi in modo alternativo, lavorando a costumi di scena teatrali e capi up-cycling. Marina Yee è stata la precorritrice dell’attività del re-fashion, acquistando materiali di seconda mano nei mercatini delle pulci e donandogli un nuovo design e una nuova vita.
Le sue creazioni sono audaci, futuristiche, visionarie, libere da ogni fine economico: ogni capo corrisponde ad un’opera d’arte, fuori da ogni spazio e da ogni tempo. Infatti, tutte le sue collezioni sono finalizzate a trascendere dalla stagionalità, puntando ad un design che possa essere apprezzato per anni.
Un cappotto Burberry ha lo stesso design di vento o trenta anni fa. Il jeans Levi’s 501 è un capo che resta e piace a tutti. L’idea è che i miei progetti siano apprezzati a lungo termine. Spero che possano durare dieci anni.
La creatività di Marina Yee prende forma attraverso la moda ma non solo: negli anni ha lavorato a progetti artistici legati al design d’interni, ha curato diverse mostre ed esposizioni, e, a partire dal 2005 insegna all’Accademia delle Belle Arti di Tournai e alla scuola d’arte di Gent.
Infatti, per una decina d’anni ha abbandonato il mondo della moda per dedicarsi ad altro, per poi tornare nel 2018 con una nuova collezione intitolata “MY project”, nata dalla collaborazione con LAILA TOKYO, uno store giapponese. La capsule comprendeva un numero ristretto di capi, tutti in blu navy e nero, per contrastare la produzione sempre più sfrenata del fast fashion.
Infatti Marina Yee è stata una delle prime fashion designer a prendere posizione rispetto alla sostenibilità ambientale e sociale, quando ancora lo sfruttamento delle risorse risultava un argomento marginale. La stessa stilista ha constatato che i giovani, in particolare quelli appartenenti alla generazione Z, sono particolarmente sensibili a questa tematica:
Se vogliamo continuare a fare moda, dobbiamo farlo consapevolmente. (…) Dobbiamo pensare a come intervenire per non usare pellicce, ad esempio, per fare le cose in modo sostenibile. La generazione più giovane, mio figlio, ad esempio, è nata con questa mentalità. Loro sanno. Attraverso Internet, diventa senso comune. Quindi la società deve seguirli: la moda fa parte della società, perché ci permette di esprimere noi stessi.
Durante tutta la sua carriera ha saputo applicare la propria creatività in diverse forme, dimostrando di essere un’artista libera e camaleontica, mai al servizio degli investitori, anche al costo di rimanere nell’ombra.

 



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