La Torre Velasca: un simbolo post-bellico tra tradizione e innovazione

Recentemente hanno avuto inizio, a cura di Paolo Asti e del Gruppo di Falco, i lavori di restauro della Torre Velasca: simbolo indiscusso della metropoli lombarda. Un’opera amata e odiata, elogiata e disprezzata, sin da quando è stata eretta alla fine degli anni ’50. La Torre Velasca, probabilmente il primo vero grattacielo di Milano, non ha certo suscitato sentimenti moderati, ma reazioni contrastanti e divergenti. Come ogni grande creazione ha diviso le opinioni e tutt’ora le divide.

C’è chi ne riconosce la straordinaria valenza ingegneristica e chi, invece, ne rifiuta l’estetica post-razionalista e l’impatto esteticamente brutale.  Certo, per chiunque abbia vissuto, da adulto o da giovane, gli anni milanesi del grande boom economico e del rigoglio industriale, la Torre Velasca non può che suscitare un senso, seppur contrastante, di nostalgia.

Un simbolo post-razionalista e brutalista unico in Italia

L’edificio è frutto di una progettazione durata quasi dieci anni e di un processo costruttivo avvenuto tra il 1954 e il 1958, anno dell’inaugurazione dell’edificio. Dopodiché, nel 2011, questo è entrato a far parte dei beni architettonici sottoposti alla soprintendenza del Comune di Milano e tutt’oggi costituisce uno dei pochissimi esempi di architettura post-razionalista brutalista non solo a Milano, ma in Italia. 

Passiamo però oltre le etichette post-razionalista o brutalista, che certamente servono a conferire un principio d’ordine, ma restano di fatto solo etichette. E concentriamoci invece sull’impatto per l’osservatore. A un primo sguardo, infatti, data la sua titanica imponenza, l’edifico non può che produrre un effetto significativo.

L’ingegnosità dello Studio BBPR

Eppure questa costruzione così emblematica venne progettata da un gruppo di architetti e progettisti con sede a Milano, probabilmente i principali dell’epoca del secondo dopoguerra. Questi misero al centro della propria progettualità l’attenzione per lo spazio urbanistico e fecero del lavoro di gruppo il proprio mantra fondamentale.

Si sta parlando naturalmente del celebre Studio BBPR, acronimo costituito dalle iniziali dei cognomi dei suoi fondatori, G.L. Banfi, L. Belgioioso, E. Peressutti, E.N. Rogers. Tali architetti fondarono lo Studio nel 1932, seguendo i primi lavori a Roma, durante gli anni del fascismo. Poi proseguirono più intensamente la loro attività nel Secondo dopoguerra, in un contesto in cui la necessità di ricostruzione urbanistico-architettonica, dopo le tragiche distruzioni del conflitto, si fece pressante e inevitabile. 

La Torre Velasca tra tradizione e innovazione

La Torre Velasca si inserisce proprio in questo contesto post-bellico. Un periodo in cui lo sviluppo edilizio e l’urbanizzazione avrebbero raggiunto la loro fase aurorale proprio tra gli anni ’50 e ’60. E di fatto, oltre ad essere un edificio pluripiano a uso misto commerciale e residenziale da insediarsi in un’area di suolo pubblico di riconversione” la Torre Velasca si sarebbe configurata anche come il simbolo della rinascita post-bellica di Milano. E probabilmente così fu. 

Lo sforzo degli architetti dello Studio BBPR produsse così una costruzione di 25 piani, costituita da due corpi di fabbrica sovrapposti. Così l’edificio si costituisce di un corpo parallelepipedo verticale coperto da un corpo orizzontale sostituito da una serie di travature oblique. Sono queste a conferirgli quella particolarità che, già pochi anni dopo la sua edificazione, gli valse l’ironico appellativo di “grattacielo con le bretelle”. 

Una struttura inconsueta per un grattacielo

In questo modo, ossia aggettando  un corpo orizzontale anziché rastremare il parallelepipedo verso l’alto, ne risulta un edificio assai inconsueto. Tale costituzione esula da qualsiasi modello di grattacielo comunemente noto. Infatti, anziché restringersi verso l’alto, protesa al cielo – com’è solito nei grattacieli – la Torre Velasca si allarga a formare una capocchia tozza e robusta. Il richiamo ai tipici torrioni lombardi dei secoli XII, XIV e XV, quindi, è d’obbligo. 

A dx torrione del castello estense a Casalmaggiore (CR) di XV sec.

Ecco che allora l’edificio, davanti a uno sguardo più storico, non ha esattamente quella brutalità e dirompenza che molti vorrebbero attribuirgli. Al contrario, si inserisce a pieno titolo nel solco della tradizione lombarda, e di questo gli autori dello Studio BBPR erano ben coscienti.

La Torre si propone di riassumere culturalmente e senza ricalcare il linguaggio di nessuno dei suoi edifici, l’atmosfera della città di Milano, l’ineffabile eppure percepibile caratteristica. (Ernesto Nathan Rogers nel 1958)

L’importanza della dimensione progettuale collettiva

La peculiarità di posizionarsi tra tradizione e innovazione non è però la sola particolarità che la Torre Velasca si porta dietro. Vi è infatti da considerare anche l’ambito nel quale venne progettata. In questo senso, lo Studio BBPR fece davvero scuola tra le nuove generazioni di architetti e divenne un vero e proprio punto di riferimento per la cultura milanese. 

Torre Velasca in una foto del 1958

Infatti, oltre all’attenzione per gli aspetti ambientali e paesaggistici, i membri dello Studio BBPR si caratterizzarono per la loro propensione transdisciplinare e collettiva. In effetti, a pensarci bene, gli architetti del gruppo furono tra i primi a Milano, e in Italia, in pieno stile Bauhaus, a mettere al primo posto la dimensione collettiva dell’attività progettuale. Gli edifici che realizzavano non erano quindi frutto di un singolo membro, ma sempre il risultato di uno sforzo intellettuale, progettuale e tecnico di natura collettiva. 

In questo modo, tradizione e innovazione, attenzione all’aspetto paesaggistico e impostazione collettiva sono solo alcune delle peculiarità che hanno guidato il genio progettuale dei membri di BBPR. Il risultato è quello che, ancora oggi, tra critiche ed elogi, resta un simbolo indiscusso della Milano post-bellica. 


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