L’isolamento ai tempi di Internet

Isolamento è una parola che difficilmente potremmo ricondurre ad altro se non al Covid, quantomeno non negli anni che seguiranno a questa pandemia. Oggi si tratta di un isolamento dovuto a ragioni medico–sanitarie, nella storia (passata e presente) non sono mancati però altri motivi per isolarsi. Un’esclusione volontaria dal mondo, utile per la sua scrittura, è quella effettuata da Emily Dickinson, vissuta a metà Ottocento. Troviamo anche esempi cronologicamente più vicini agli anni 2000, sebbene non sempre così prolifici dal punto di vista artistico.

La società odierna offre incredibili possibilità sotto qualsiasi punto di vista: ci sono infinite cose da poter scoprire e un elenco sterminato di posti da visitare, una lista da aggiornare costantemente. Parallelamente, però, causa anche non poche pressioni: la ricerca di un buon impiego o la sistemazione familiare sono tra le più comuni, ma non le sole.

In alcune zone del mondo la pressione sociale si rivela più forte che in altre, tra queste possiamo inserire il Giappone. È qui che ha preso vita, e poi si è diffuso sempre più, il fenomeno dell’Hikikomori: una sostanziale uscita dalla società da parte di questi individui, molto spesso giovani. Se all’apparenza può sembrare un fenomeno marginale, in realtà non lo è affatto: nel 2016 il Giappone ne aveva censiti oltre mezzo milione, in una fascia di età tra i 15 e i 39 anni.

Spesso queste persone entrano in una rete di conoscenze online che incentivano questa reclusione, con la conseguenza che un’uscita volontaria si renda sempre più difficile da attuare. New Start è una delle diverse associazioni che operano nel territorio e hanno come scopo quello di “creare legami” nel mondo fisico. In un primo momento l’approccio avviene attraverso le lettere, poi si passa alle chat e infine a conversazioni “di persona”, con la sola porta della loro casa (o stanza, a seconda dei casi) a dividerli. Queste persone costituiscono le “rental sister“, delle vere e proprie “sorelle a noleggio”. Si tratta di un percorso lungo e non scontato, che si spera possa concludere nell’integrazione del giovane in programmi pensati apposta per un reinserimento in società.

Fenomeno Honjok – Corea del Sud

Restando in area orientale, questa volta poniamo il focus sulla Corea del Sud, in particolar modo sulla generazione più giovane. Honjok è un termine in uso dal 2010 ma è solo dal 2017 che ha ottenuto una rilevanza a livello statale ed è diventato di uso comune. La parola va a delineare una generazione che decide di vivere in solitudine e rendersi indipendente, investendo su se stessi. Si tratta di un modo per distinguersi dai canoni imposti dalla tradizione sudcoreana. La crescita è esponenziale e nel 2016 le statistiche statali stimano la cifra a oltre 5 milioni.

Un progetto fotografico condotto da Hasis Park mira all’esplorazione di questo universo giovanile, attraverso fotografie e interviste, telefoniche e via e-mail. Balza all’occhio una risposta, che ben riassume quello che è l’intento di questa generazione:

We live in a generation where simply working hard for a bright future doesn’t guarantee happiness, so why not invest in “me” time?

Le differenze rispetto all’hikikomori sono evidenti. Nel caso dell’honjok infatti, il bisogno è quello di uscire dal tradizionale concetto di società in cui si vive, con l’idea di costruirne uno alternativo. L’hikikomori invece non ha alcun intento costruttivo: è un’uscita dalla società a cui non fa seguito nulla.

Il ruolo di internet

In entrambi i casi però, internet e soprattutto i social network sono essenziali. Fondamentale resta la questione legata all’identità di un individuo. I social network, secondo il sociologo Bauman, sono in grado di creare un sostituito rispetto alla comunità a cui si era tradizionalmente abituati. Con la differenza che il social network appartiene all’individuo, mentre nel caso della comunità era l’individuo che apparteneva a essa.

La persona che si approccia al social network lo fa con una convinzione, secondo quanto sostenuto da Bauman: sentirsi in pieno controllo della situazione. Ciò non potrebbe avvenire all’interno di una comunità fisica, in cui il litigio o anche solo il dissenso può essere all’ordine del giorno.

Nel caso di un social network questo non avviene: è l’individuo a decidere chi può farne parte e per quanto tempo. Qualora si incontrassero difficoltà nella gestione di quel rapporto, l’opzione “elimina” è sempre disponibile nel social. Attraverso il social network riusciamo a creare una nostra personalissima comfort zone, per questo motivo le relazioni interpersonali sui social ci sembrano più facili.

La presenza sempre più concreta dei social network permette una divisione tra due mondi, solo in apparenza distinti: l’online e l’offline. Per quanto ciascuno dei due abbia regole proprie, sostiene Bauman, la reciproca influenza è inevitabile e spesso avviene senza che se ne abbia una vera consapevolezza.

Tanto che, all’annosa questione se i social avvicinino o meno le persone, nessuno è in grado di dare una risposta univoca: sotto certi aspetti sì, sotto altri molto meno.

Sherry Turkle è una sociologa e psicologa statunitense, insegnante di psicologia sociale alla Massachusetts Institute of Technology. Nel corso delle sue indagini si è più volte soffermata sul ruolo del digitale nella vita e nelle azioni dei comportamenti umani. In relazione al suo rapporto con la tecnologia, ha dichiarato come non sia sua intenzione privarsi dei mezzi tecnologici, sempre più fondamentali, ma limitarne l’utilizzo:

I am not anti-techonology, I am pro – conversation.

L’avvento del Covid ha però stravolto tutto, togliendo la possibilità di scelta: non si tratta più di preferire l’approccio virtuale rispetto a quello fisico o viceversa, ora è diventato un imperativo.

Paura dell’isolamento in una società sempre connessa

L’esplosione del Covid ha accelerato quello che era il percorso già intrapreso dalla nostra società, ossia rendere gli individui sempre online e reperibili. Questo alimenta ansie e paure, che sfociano in disturbi veri e propri.

Uno di questi è il FOMO, acronimo per Fear of missing out, che può essere tradotto in “paura di essere tagliati fuori”. In totale opposizione ai fenomeni descritti nel primo paragrafo di questo articolo, in cui vi era invece un bisogno di uscire dalla società costantemente connessa.

Si tratta di un disturbo che è destinato ad aumentare in questo momento storico e che, se sottovalutato, rischia di tradursi in stati d’ansia sempre più difficili da gestire.

L’insoddisfazione è il sentimento prevalente. Si è scontenti delle azioni che si sono fatte perché potenzialmente ne esistevano altre migliori. Oppure si è scontenti per le persone con cui si è deciso passare del tempo, sempre perché potenzialmente ne possono esistere di migliori.

Chi è affetto da FOMO tende a entrare in una sorta di circolo vizioso: riempie la sua solitudine grazie all’uso dei social, che a loro volta contribuiscono a creare una solitudine ancora più grande data dall’idea che gli altri si stiano divertendo nel fare molte esperienze diverse.

Anno 2020: l’impatto del Covid

Nell’anno appena trascorso “isolamento” è diventato il termine più usato, necessariamente inteso in senso fisico. L’online cessa di essere un elemento accessorio ma diventa fondamentale nella vita quotidiana come mai prima d’ora.

Lo smart working, pratica quasi sconosciuta in Italia prima del 2020, si rivela l’unica strada possibile per attività pubbliche e private. L’istruzione viene rivoluzionata, o meglio, adattata al periodo. Ci sono stati esempi più virtuosi e altri meno, anche se una vera attenzione al sistema scolastico e universitario non c’è stata, se non per sterili polemiche che lasciano (e hanno lasciato) pochi segni concreti.

Il necessario utilizzo del mezzo tecnologico per compiere azioni che normalmente si sarebbero fatte in presenza ha sottolineato altri deficit italiani. Non nuovi, ma sicuramente resi più evidenti in questo momento storico.

In primis un problema infrastrutturale: non tutti in Italia hanno accesso ad una rete internet, pochi quelli che possono vantarne una efficiente. In secondo luogo, solo il 36% degli italiani riesce a usare internet in “modo vario e complesso” (dati OCSE).

Da un anno a questa parte però, i benefici legati ad internet non possono più essere nascosti o messi in secondo piano. Il suo utilizzo si è rivelato fondamentale per una serie di settori che, fino a qualche mese fa, facevano della presenza fisica il loro fulcro vitale. Reinventarsi è così diventato un must per tutti e l’unica strada percorribile nell’immediato. Lo spirito di adattamento umano, unito a una buona dose di creatività, costituiscono gli ingredienti principali di una serie di iniziative che sono nate sul web durante le quarantene. Gli esempi sono moltissimi e riguardano tutti gli ambiti; inoltre non è scontato che finiscano una volta superata l’emergenza.

Nel campo della moda, per esempio, si è assistito all’emergere delle sfilate online, grazie al web aperte a un pubblico potenzialmente illimitato. Lo stesso è avvenuto nel caso di museimonumenti, in Italia come all’estero. Un esempio tra tutti è il caso del Colosseo, il cui direttore ha organizzato visite guidate via web.

Per quanto isolati  fisicamente parlando, dunque, internet offre un numero incredibile di opportunità per entrare in contatto con culture diverse dalla propria, coltivare nuovi hobby e conoscere persone che condividono i nostri stessi interessi. Sicuramente il mezzo tecnologico richiede un approccio diverso rispetto alle medesime attività se svolte in presenza, ma non per forza deve costituire un limite o un ostacolo. Forse si arriverà a un punto in cui l’online non sarà più visto come un’alternativa ma come un complemento alla realtà fisica, tenendo però ben presente la fondamentale importanza di entrambi nella vita degli individui.

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