Al di là di tutti i buoni auspici, il 2021 non ha avuto l’inizio sperato, specialmente oltreoceano. Ancora una volta gli Usa sono riusciti ad attrarre su di sé l’attenzione di tutto il mondo, sospendendo temporaneamente gli ormai noiosissimi discorsi su vaccini, covid e Renzi. Il 6 gennaio 2021 si è consumato infatti il primo colpo di stato nella storia degli Stati Uniti d’America. Sostenitori del presidente Trump, come mostrano le immagini, si sono riversati all’interno del Campidoglio con estrema facilità. Questa intrusione ha interrotto il processo di certificazione della vittoria del president-elect Joe Biden, che era in corso al Senato. Solitamente si tratta di un passaggio formale, di rito, dove non si incontrano grandi ostacoli. L’ultimo dibattito si era tenuto nel 2005, quando i democratici avevano tentato in maniera fallimentare di mettere in discussione l’assegnazione dell’Ohio a Bush Jr.
Così come nel 2005, anche nel 2021 c’è stato un tentativo di mettere in discussione l’assegnazione degli stati, in particolare Arizona, Pennsylvania e Georgia che, come ben ricorda chi ha seguito le elezioni del 3 novembre, erano tra i famosi “swing States” da tenere d’occhio. La voce più “autorevole” era quella del senatore texano Ted Cruz, che aveva raccolto intorno a sé una dozzina di senatori repubblicani, ma anche numerosi representatives (membri della Camera bassa). Tuttavia, questo elaborato teatrino, criticato dall’(ex) leader della maggioranza repubblicana in Senato Mitch McConnell, è stato interrotto da una più farsesca ma anche inquietante invasione dell’aula del Senato. La notizia è giunta tramite l’assistente del senatore dell’Oklahoma James Lankford che in quel momento aveva la parola.
D’improvviso tutti si sono alzati e, seguendo un protocollo ben definito, si sono recati in postazioni sicure che ovviamente non sono note al pubblico. Alcuni giornalisti dalle tribune sono invece rimasti più a lungo per filmare e a loro dobbiamo le immagini delle barricate di fronte agli ingressi del Senato e quelle della polizia con le pistole puntate. Alcuni di questi giornalisti, ma anche dei politici, indossavano inoltre un curioso dispositivo il cui scopo è proteggere da fumi e gas nocivi.
Gli eventi che hanno portato all’intrusione e la ripresa dei lavori
Il tutto è iniziato con la marcia organizzata già da tempo chiamata emblematicamente “Save America”. In realtà gli eventi autorizzati erano due: uno a Freedom Plaza, l’altro nel prato antistante alla Casa Bianca, denominato “The Ellipse”. Gli organizzatori erano rispettivamente Cindy Lafian, precedentemente parte di Women for America First, e Kylie Jane Kremer membro di Women for America First. È in occasione di questa protesta che Trump ha ripetuto le parole fatidiche che già in precedenza aveva pronunciato: “Non concederemo mai la vittoria”. Tuttavia, se nelle occasioni precedenti si erano potute giustificare le affermazioni citando le varie cause intentate nei diversi Stati, in questo caso l’unica alternativa era l’insurrezione. E così è stato.
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Dal luogo della manifestazione alle porte di Capitol Hill ci sono solamente trenta minuti di cammino. Ad attenderli c’erano giusto qualche poliziotto e le transenne che poi le stesse forze dell’ordine hanno provveduto a spostare per far affluire la folla prima verso le scale e poi all’interno dell’edificio. Alle 14:15 la seduta della Camera e quella del Senato sono state sospese e i parlamentari hanno abbandonato le aule. Il processo di certificazione è ripreso alle 17:45 e si è concluso regolarmente. Molti senatori, tra cui Kelly Loeffler, fresca di sconfitta in Georgia, hanno poi annunciato che non avrebbero supportato i ricorsi dei colleghi e la certificazione si è chiusa più velocemente di quanto previsto. Vale anche la pena ricordare che la deputata Ilhan Omar ha affermato circa un’ora fa di aver finito di preparare l’incartamento per riproporre l’impeachmente del presidente Trump. Mentre altri senatori invocano l’articolo 25 della Costituzione che richiederebbe un processo ancora più lungo.
Quando le Forze dell’Ordine fanno con comodo
Giunta nei pressi del Congresso, la folla è stata accolta senza particolare ostilità dalla Capitol Hill Police. Nonostante le schermaglie, infatti, principalmente condotte con spray al peperoncino, non c’è stato un confronto particolarmente violento e i poliziotti si sono limitati a tenere unite le barricate. Ciò che più ha sconvolto l’opinione pubblica sono state le immagini di poliziotti che aprivano varchi nelle transenne per permettere il passaggio dei sostenitori di Trump. Infatti, a differenza di quanto accaduto ieri, i manifestanti di Black Lives Matter erano stati accolti da forze dell’ordine armate fino ai denti e disposte sulle scalinate del Campidoglio.
Tutto ciò è stato interpretato come un ulteriore riprova della disparità di trattamento che le persone di colore subiscono negli Usa, specialmente da parte della polizia. Del resto, nel fallimentare golpe di ieri non si è visto nessun manifestante ammanettato e sanguinante trascinato dalla polizia. Proprio questa mansuetudine, per nulla tipica delle forze di polizia americane, è stata fonte di sdegno e stupore.
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Altra fonte di sconcerto è stata la lentezza della risposta a un attacco diretto al cuore della democrazia Usa. La seduta, come abbiamo detto, è stata tolta alle 14:15 e la prima Guardia Nazionale a essere mobilitata è stata quella del Virginia, Stato governato dal democratico Ralph Northam. Alle 15:29 egli stesso annunciava su Twitter che, su richiesta del sindaco di Washington, stava inviando la Guardia Nazionale. Molto più lenta è stata la reazione della Guardia Nazionale del District of Columbia (dove si trova Washington D.C.). Questo perché il controllo spetta al Secretary of Army, presieduto da Ryan McCarthy, che deve avere la conferma dal Ministero della Difesa, tutti uomini del Presidente. Il sottosegretario alla Difesa Jonathan Hoffman ha poi confermato alle 15:52 che la Guardia Nazionale del District of Columbia era stata attivata.
Le reazioni dei giornali e della politica americana
Non c’è nessuno che a parole non abbia condannato gli avvenimenti della giornata di ieri. Tuttavia, dopo un atto di terrorismo interno le parole hanno poco significato. Senatori del calibro di Marco Rubio e Ted Cruz si sono detti disgustati e hanno affermato che si è trattato di qualcosa di assolutamente non patriottico e non americano, aggiungendo che le immagini paiono quelle di un Paese del terzo mondo. Ovviamente, sembra inutile dirlo, ma il terzo mondo non c’entra nulla e la gentaglia che si è introdotta con la forza nel Parlamento è americana, duro colpo per i conservatori. Rubio e Cruz, così come tutti i parlamentari repubblicani e i media a essi legati, sanno benissimo che questi sono loro elettori. I fatti di ieri sono il risultato più ovvio della loro politica leninista, ovvero intesa non come gestione tecnica della cosa pubblica ma come guerra senza quartiere tra schieramenti opposti.
Tra le commentatrici di Fox News, il network televisivo più seguito negli Usa, spicca Laura Ingraham che ha tentato disperatamente sia nella sua trasmissione che su Twitter di dimostrare che i “liberals”, che in italiano potremmo rendere col termine “progressisti”, sono perlomeno altrettanto violenti dei supporters di Trump. Uno dei suoi ultimi tweet è infatti un articolo che parla degli eventi violenti successivi all’elezione di Trump nel 2017. Anche Megyn Kelly, ex anchorwomen di Fox e protagonista del film Bombshell, ha cercato di mettere una toppa, affermando che gli eventi violenti di ieri non possono screditare tutta la presidenza Trump.
Altrettanto ridicolo ovviamente è stato il videomessaggio di Trump che rappresenta l’epitome del detto “gettare benzina sul fuoco”. Non è infatti ovviamente riuscito a rinunciare per un secondo al narcisismo più totale, concentrandosi su di sé e sull’elezione rubata. Le citazioni e i voli pindarici dei repubblicani sono molti e spesso divertenti, se non fosse per la drammaticità delle immagini di ieri. Conviene quindi concludere con Lindsay Graham, senatore del Sud Carolina, che alle primarie presidenziali del 2016 aveva criticato strenuamente Trump affermando che sarebbe stato la rovina del partito per poi fare marcia indietro e divenirne uno stretto alleato. A quasi cinque anni da quel tweet dobbiamo tutti dargli ragione.
Notizie dall’Italia
Anche l’Italia, sebbene abbia un rigetto profondo per quanto riguarda gli affari esteri, specialmente nei media, ha seguito con attenzione quanto accadeva. Esperti come Francesco Costa e Giovanna Panchieri hanno seguito e commentato l’evento con attenzione, mandando costantemente aggiornamenti sui social. Tutti quanti: giornalisti, politici e opinionisti di varia natura si sono subito schierati contro questo farsesco tentativo di golpe.
C’è stato poi chi, come Marco Bentivogli, si è domandato se Conte avrebbe condannato o meno gli eventi negli Usa e chi come Meloni che ha cercato di far passare Trump per colui che cercava di calmare la folla disubbidiente. Salvini invece ha sferrato un temibile attacco alla violenza in generale ed elogiato libertà e democrazia; vago e indefinito come piace a Leopardi. E allora ricordiamo la Meloni che vuole importare il modello americano in Italia e fa le foto con Steve Bannon e Salvini che indossa la mascherina della campagna elettorale di Trump e fa le foto con Trump. Quanto ci dobbiamo preoccupare della destra nostrana lo sapremo però solo prossimamente.
Un hapax legomenon storico
Hapax legomenon è il termine greco per indicare una parola utilizzata una sola volta; è infatti la prima volta dalla guerra contro gli Inglesi che qualcuno tenta un golpe irrompendo nel Congresso Usa. Si può dunque continuare ad affermare che si tratta di una frangia di estremisti e che sono una minoranza, ma non si può negare l’evidenza. Questa minoranza è infatti composta da uomini e donne bianche, alcuni dei quali appartenenti a gruppi di estrema destra e altri “normali” cittadini, che alle elezioni del 3 novembre del 2020 hanno votato per Trump e che il 6 gennaio 2021 si trovavano a Washington D.C. per assistere al suo comizio.
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Lungi dal negare alcuni possibili dati positivi soprattutto nella politica estera e nell’economia della presidenza Trump, questo non dovrebbe però spingere a condonare una linea politica generale completamente inaccettabile anche per chi si dice di destra. Il rischio sennò è di finire come Vespa e pubblicare libri che fanno la corte a Mussolini. Al di là della disputa su chi abbia fondato l’INPS, che in realtà risale al 1898, è ridicolo valutare i provvedimenti positivi alla luce di un’esperienza che nasce da un’idea marcia in sé e per sé. Gli eventi di ieri non sono che un degno e disperato finale per la presidenza Trump, un horror come non se ne vedevano dai tempi di Shining.
FONTI
CREDITS
Un commento su “Assalto a Capitol Hill: un degno finale per la presidenza Trump”