Ci ricordiamo di Hong Kong? Ci ricordiamo delle migliaia di persone scese per le strada per manifestare il loro dissenso verso la Cina? Joshua Wong, Agnes Chow e Ivan Lam i tre giovani leader delle proteste, il 23 novembre 2020 sono stati arrestati.
Il loro arresto segna la sconfitta di tutto quel movimento di giovani che avevano apertamente sfidato Pechino da soli. Il presidente Xi Jinping e il Partito comunista cinese possono dire di aver vinto. L’ordine tanto caro al regime è entrato a Hong Kong, cambiandola definitivamente.
Ripercorrere, a quasi due anni di distanza, il movimento spontaneo di libertà dei giovani di Hong Kong è importante per comprendere un momento importante della nostra storia contemporanea.
Un po’ di storia
Hong Kong fino al 1° luglio 1997 è stato un territorio inglese. La cosiddetta seconda convenzione di Pechino del 1898 firmata tra la dinastia Qing e il Regno Unito concedeva a quest’ultimo l’affitto dei territori dell’isola di Hong Kong e della penisola di Kowloon.
Il ritorno di Hong Kong alla Cina tuttavia era legato a una serie di clausole ben precise. Tra queste vi erano il rispetto dello stile di vita, dei diritti, delle libertà, comprese quelle di stampa e di espressione, e il diritto allo sciopero. Questo particolare tipo di situazione è stata definita con la formula “un Paese due sistemi”.
Le proteste del 2014
Nel 2014 Hong Kong era già stata al centro di proteste di cui uno dei protagonisti fu Joshua Wong. Il governo cinese aveva infatti deciso di cambiare il sistema elettorale di Hong Kong. L’intenzione era quella di ridurre il numero dei “chief executive” da tre a due nelle elezioni del 2017. Oltre a ciò, una commissione elettorale di 1.200 membri scelti da Pechino, avrebbe avuto il compito di vagliare tutti i candidati.
È evidente quindi che le manifestazioni sono uno degli strumenti con cui i cittadini di Hong Kong manifestano il proprio dissenso verso la loro classe dirigente. Questa negli ultimi anni è vista infatti sempre di più come più vicina agli interessi del governo di Pechino.
Le cause e gli obiettivi delle proteste del 2019
Le più recenti proteste a Hong Kong sono nate su una nuova proposta di legge sull’estradizione. Hong Kong ha già numerosi accordi di estradizione con numerosi paesi, ma non con la Cina continentale, Taiwan o Macao.
La nuova proposta di legge avrebbe esteso l’estradizione anche a questi paesi per precisi reati, come per esempio l’omicidio. I cittadini hongkongesi erano preoccupati che le richieste di estradizione verso la Cina potessero raggiungere tutti quei dissidenti politici che avevano trovato rifugio nella città di Hong Kong.
Un ulteriore timore era quella che la nuova legge sull’estradizione avrebbe legalizzato, in una certa maniera, tutti quei rapimenti che si verificavano continuamente ai danni dei dissidenti politici.
Nell’ottobre del 2015, agenti del governo cinese avevano rapito l’editore Gui Minhai, nel dicembre 2015 il collega di Gui, Lee Bo, un cittadino con doppia cittadinanza cinese-britannica, è stato rapito e riportato nella Cina continentale.
All’estradizione poi si sono aggiunte nuove e più pressanti richieste. I manifestanti volevano anche le dimissioni di Carrie Lam, la governatrice di Hong Kong dal 2017, l’inizio di un’inchiesta sulla violenza usata dalla polizia contro i manifestanti, il rilascio di tutti i manifestanti arrestati e la garanzia che molte libertà democratiche fossero rispettate dal governo di Hong Kong e da quello cinese.
La visione cinese
Basti pensare a come in particolar modo Pechino negli ultimi anni stia utilizzando l’intelligenza artificiale per controllare i propri cittadini e per ripremere il dissenso verso il partito. Dopo le rivolte nella provincia dello Xinjiang dal 2009 il governo cinese ha implementato e sviluppato forme di controllo intelligente della popolazione per prevenire nuove rivolte.
Dagli eventi di piazza Tienanmen, inoltre, l’intero territorio cinese è stato pervaso da una censura diffusa e preventiva sulle piattaforme di comunicazione. C’è spazio solo per la propaganda di regime. Per questo le proteste di Hong Kong sono viste come destabilizzanti.
L’Europa e gli USA
Il sostegno internazionale verso i manifestanti di Hong Kong, anche se dichiarato, si è rivelato poco concreto.
L’Unione Europea ha presentato una mozione. Il giorno dopo l’elezione di Ursula Von Der Leyen, il parlamento Europeo si è riunito per chiedere formalmente al governo Hongkongese di introdurre riforme democratiche e chiedere un divieto di vendita di armi alla polizia cittadina.
Gli Stati Uniti, con il presidente Trump, si sono apertamente schierati con i rivoltosi di Hong Kong con una serie di provvedimenti come il Protect Act. Questo vieta la vendita di equipaggiamenti per il controllo della folla alla Cina.
Questi interventi però, più che andare davvero a interessarsi a Hong Kong si sono inseriti in un contesto molto più ampio. Infatti, Donald Trump ha lanciato gli USA in una guerra commerciale contro il colosso cinese. I provvedimenti presi vanno quindi interpretati proprio in quest’ottica.
L’assedio del politecnico
La partecipazione alle manifestazioni è sempre stata sentita con centinaia di migliaia di cittadini che si riversavano nelle strade di Hong Kong.
Durante le manifestazioni si sono verificati anche episodi di grande drammaticità. Molti studenti durante le proteste hanno occupato molte strutture universitarie.
L’occupazione del politecnico però si è trasformata in un vero e proprio assedio iniziato l’11 novembre e conclusosi il 29 dello stesso mese. Da una parte le forze di polizia che tentavano in tutti i modi di irrompere, dall’altro moltissimi studenti pronti a difendersi anche usando bombe Molotov.
Durante l’assedio durato undici giorni, molti studenti, prima di arrendersi, hanno cercato di fuggire in tutti i modi, anche calandosi dalle finestre. Questi episodi mostrano nel concreto quanto queste proteste fossero nate per difendere le libertà di Hong Kong. Studenti, manifestanti, cittadini scendevano nelle strade solo per difendere i loro diritti. Gli stessi diritti che noi esercitiamo ogni giorno.
Le elezioni distrettuali e il LegCo
Un altro forte messaggio al governo cinese era arrivato dal risultato delle elezioni distrettuali di Hong Kong. In quelle che potrebbero essere considerate simili alle nostre elezioni locali, le forze antigovernative sono riuscite a strappare moltissimi seggi alle forze di Pechino.
Dall’inizio delle manifestazioni all’interno dell’assemblea Parlamentare il partito antigovernativo LegCo ha iniziato attività di ostruzionismo contro la componente filogovernativa. L’ostruzionismo, del resto, rimaneva la loro unica arma a disposizione per colpa della loro marginalità nel consiglio legislativo.
La fine della manifestazione
La manifestazione e tutti i successi che stavano ottenendo hanno subito una battuta d’arresto a causa della pandemia di Coronavirus che ha colpito tutto il mondo. Le manifestazioni si sono progressivamente fermate o hanno assunto forma diversa. Dopo la vittoria alle elezioni distrettuali la volontà dei manifestanti è stata quella di trasferire le loro istanze nelle sedi istituzionali. Nel frattempo sono state colpite le sedi delle società presenti a Hong Kong considerate filocinesi. Manifestanti infatti hanno vandalizzato una sede della banca britannica HSBC per aver bloccato un conto di 9 milioni di dollari appartenente a un movimento di protesta.
La loro azione inevitabilmente però è diventata meno efficace con il tempo.
L’enorme battuta di arresto è arrivata però il 21 maggio 2020 quando è stata approvata la nuova legge di sicurezza nazionale con l’obiettivo di reprimere e ostacolare i manifestanti e il dissenso. Questa è potuta entrare in vigore in quanto sarebbe un’integrazione della legge fondamentale di Hong Kong, ovvero la Costituzione del 1997 che avrebbe dovuto garantire il modello “uno Stato due sistemi”.
Questa mossa ha permesso di aggirare l’opposizione del LegCo e dei distretti.
Questa legge ha portato all’arresto dei leader della protesta il 23 novembre. Non possiamo sapere se la situazione si evolverà, se le proteste a Hong Kong riprenderanno o se si sono fermate per sempre. Una lezione però deve essere chiara, la lotta per i diritti non può essere isolata in uno spazio geografico e isolata nel tempo, la lotta dei diritti è sempre universale.