“Polytechnique”: all’odio risponde l’amore

Il 6 dicembre 1989, un ragazzo di venticinque anni, Marc Lépine, si introduce all’École Polytechnique di Montréal e uccide a colpi d’arma da fuoco quattordici donne, prima di togliersi la vita.

Distribuito nel 2009, Polytechnique è il terzo lungometraggio diretto da Denis Villeneuve. 77 minuti. Una pellicola breve, ma intensa. Una pellicola in bianco e nero per omaggiare le vittime della terribile strage di Montreal.

Tre storie, tre vite, tre destini

Denis Villeneuve ci racconta una storia vera, intrisa di paura. Una storia di violenza, odio e amore. Una storia dove il male non ha nome e il bene sembra non avere scampo.
Il regista canadese ripercorre i momenti salienti della strage seguendo tre personaggi diversi. Da una parte l’assassino, dall’altra due studenti, Jean-Francois e Valérie, amici e compagni di scuola. Da una parte il sentimento d’odio, l’incapacità di amare. Dall’altra l’amicizia sincera, pura, priva di retorica e colma di realtà quotidiana. Tre vite diverse destinate a un differente epilogo.

L’assassino

Marc Lépine non esiste. Non qui almeno. Denis Villeneuve non gli concede spazio. Polytechnique non ci parla mai del vero responsabile della tragedia di Montreal, abbandonando il suo nome anagrafico alle tenebre dell’oblio. Il male non ha identità, solo un viso freddo, colmo di rabbia e follemente calmo. L’assassino è un ragazzo non meglio identificato, la cui voce domina le prime sequenze della pellicola per raccontare le motivazioni che lo spingono alla strage. Il discorso, lucido e al contempo delirante, lascia ben poco spazio alla riflessione. La rabbia dell’assassino nasce da un odio generico, colmo di ignoranza. Il suo attacco alle femministe di tutto il mondo tradisce un atteggiamento di puro maschilismo, di chiusura. A guidare la sua arma è un desiderio di rivalsa infantile, privo di ogni logica o prospettiva. È il male puro, privo di senso o argomentazioni; un sentimento di odio che cela una follia mitomane destinata al suicidio.

Jean Francois

Là dove il male rimane celato nel buio, il bene e l’amicizia trovano lo spazio che meritano. Jean-Francois è il ritratto fedele di un amico. Sincero, generoso, privo di falso eroismo. La sua triste parabola inizia con una giornata come tante, fatta di studio, di compiti, di appunti. Il punto di rottura è l’incontro con il killer. Davanti alla paura Jean-Francois si fa figura humanitatis, incarnando alla perfezione l’indecisione di un amico fedele e il timore legato a un primordiale istinto di sopravvivenza. La sua reazione spontanea alla paura è quanto di più reale troviamo all’interno di una pellicola vera. Politechnique non è racconto epico o  eroismo fumettistico, bensì fotografia sincera di quotidianità. È lo sguardo spaventato e impotente di Jean-Francois, il suo ardimentoso tentativo di medicare una ferita, il senso di colpa dilaniante che lo conduce a un destino ingiusto e crudele.

Polytechnique [2009] | Bel Zamarbide | Flickr

Valérie

Al di là dell’odio, del suicidio, della voglia di farla finita. Lì dove la speranza trova ancora appiglio, Polytechnique disegna il volto e la vita di Valérie, giovane studentessa con ambizioni di ingegnere meccanico. Ad ostacolarla una società prettamente maschilista, una visione del mondo retrograda e discriminante e, in un freddo giorno d’inverno, l’istinto omicida di un folle.
Valérie ha il volto dei sogni, delle speranze, del futuro. L’arbitrio del destino sceglie di preservarla dalla tragica sorte toccata a molte compagne e di donarle una possibilità preziosa per riprendere le redini di una vita che ha conosciuto paura e disprezzo. Il suo futuro è tutto da scrivere, il suo amore un frutto da fare maturare e trasformare in dono.

Se avrò un figlio gli insegnerò ad amare, se avrò una figlia le insegnerò che il mondo le appartiene.

Silenzio e bicromia

Denis Villeneuve dirige un film breve, ma dalla forte intensità narrativa. La scelta del bianco e nero sembra quasi voler fissare nel tempo una tragedia che è manifesto di odio discriminatorio. Un odio fatto di poche parole, che si insinua nella società come un nemico invisibile e minaccioso. Il regista lascia che il silenzio domini la narrazione, soffermandosi, in un’eco leoniana, sullo sguardo dei protagonisti. La freddezza degli occhi del killer, la spensieratezza di Jean-Francois, fiamma destinata ad affievolirsi, e la gioia mista a paura di Valérie. Emozioni complesse che trovano una magnifica realizzazione nella bicromia che avvolge la narrazione, là dove è solo il sentimento a dare vero colore.

Le poche parole della pellicola disegnano una struttura simmetrica, lasciando che odio e amore marchino a fuoco incipit e finale. Al killer risponde la vittima, al figlio la madre, alla rabbia il desiderio di osservare il mondo con occhi diversi.

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