Abbiamo intervistato Vincenzo Elifani, co-founder di Astra insieme a Francesco Dipierro, Francesco Piccoli, Daria Urbinati e Daniele Venier. Astra è un programma di incubazione per start-up, ovvero un percorso in cui team di aspiranti startuppers verranno guidati da speaker e mentor di rilievo internazionale in un percorso che li porterà alla creazione del loro primo MVP (Minimum Viable Product). Il programma avrà la durata di dieci settimane, a partire dal 20 febbraio 2021: tra coloro che vi hanno aderito c’è anche Accademia Civica Digitale. Possono applicare ad Astra team già costituiti ma anche singoli individui che vogliono mettere in gioco le proprie competenze e unirsi ad altri team. Il team di Astra selezionerà le idee più promettenti e aiuterà i vari team a formarsi prima dell’inizio del programma.
Astra è nata dall’incontro tra Vincenzo e Francesco, unici due italiani ammessi nel 2018 a un master in business administration presso l’Università di Berkeley, in California. I due sono partiti con l’obiettivo comune di portare l’innovazione nell’ambito delle start-up anche nel nostro Paese. Una volta arrivati a Berkeley, Vincenzo ha lavorato con alcuni fondi early stage e di venture capital, mentre Francesco ha fondato un incubatore di start-up, STEP, in seguito inglobato dall’Università e oggi alla sua quarta edizione: la particolarità di STEP, a differenza degli altri numerosi incubatori presenti nella Silicon Valley, è quella di unire competenze tecniche e competenze imprenditoriali.
Una volta terminato il loro percorso nel maggio 2020, Vincenzo e Francesco, insieme agli altri tre co-founder, hanno cercato di replicare un modello simile in Italia. Da questa esperienza è nato dunque il programma Astra, che ha l’obiettivo di far fronte a due problematiche italiane essenziali: da una parte la scarsità di investimenti privati rispetto agli Stati Uniti, dall’altra il fatto che raramente gli universitari nel nostro Paese iniziano la propria carriera accademica avendo in mente un percorso imprenditoriale.
La vostra proposta segue i principi di Eric Ries per una lean start-up, in che cosa consistono? L’obiettivo della lean start-up è andare incontro ai bisogni del consumatore e allo stesso tempo ridurre il consumismo, come è possibile?
Lean start-up approach è una metodologia che consiste nello sviluppare start-up vagliandone il prima possibile l’andamento, per correggere eventualmente il tiro e capire se ciò che si sta facendo possa avere un valore commerciale e possa risolvere un problema. Si tratta di una filosofia molto veloce, fondata su diverse tappe: catturare i bisogni dei consumatori attraverso interviste e raccolta di altri dati, capire se esiste effettivamente un bisogno attraverso semplici campagne di marketing e la realizzazione di un prototipo con cui testare la propria idea. In questo modo si arriva a una validazione veloce e iterativa, che permette di imparare presto anche attraverso i fallimenti. Lo stesso approccio verrà utilizzato anche durante il percorso in Astra, al termine del quale i vari progetti saranno presentati di fronte a investitori e acceleratori verticalmente specializzati.
Nell’ideare e realizzare il vostro progetto avete replicato molto fedelmente STEP dell’Università di Berkeley: in che cosa si differenzia però Astra rispetto al modello americano?
Il nostro progetto è nato ed è stato portato avanti senza alcun budget, proprio secondo i principi del lean start-up approach. Probabilmente
Considerando che voi vi immettete nel mercato italiano, ben diverso da quello americano, quali sono le difficoltà con cui potreste scontrarvi, anche culturalmente parlando?
A livello accademico, c’è la necessità di fare comprendere che l’università è un’ottima palestra per provare, lasciarsi trasportare dalle idee e anche sbagliare. In Italia c’è una cultura piuttosto restia ad accettare il fallimento. Nel mio lavoro, negli Usa, mi capita spesso di incontrare founders che riescono a raccogliere milioni di dollari dopo che altre loro start-up precedenti sono fallite. Molto spesso infatti anche gli investitori si rendono conto del fatto che errori commessi in precedenti esperienze portino infine ad avere un prodotto o un servizio di successo sul mercato.
Questo livello di accettazione del fallimento è difficilmente riscontrabile in Italia, molto spesso si tende a nasconderlo: è forte invece la cultura di avversione al rischio che non permette di considerare l’errore come momento formativo. Bisogna spingere gli universitari, non solo del Politecnico e della Bocconi, a provare a sviluppare le idee che hanno.
Del resto, l’Italia è anche uno dei Paesi con la più alta percentuale di risparmio privato al mondo, il che, come già detto, mostra un’avversione totale al rischio. Questa è una delle grandi differenze rispetto agli Usa, dove invece il livello di indebitamento è piuttosto alto. Se una parte di questo risparmio privato venisse indirizzata a progetti a più alto rischio (come le start-up), l’Italia potrebbe avere un futuro migliore e più all’avanguardia.
Vi è la necessità di una grande rivolgimento culturale che piano piano si sta incominciando a vedere, ma la strada è ancora lunga. Noi di Astra, con la nostra esperienza e con quello che abbiamo imparato, vogliamo spingere nel nostro piccolo verso questa direzione.
La domanda successiva è più tecnica, legata proprio al funzionamento della start-up. Dal vostro sito risulta che offrite un servizio gratuito, come mai? Come vi supportate?
Il nostro programma è gratuito nel senso che non chiediamo il pagamento di un’iscrizione ai partecipanti. Per noi questo è fondamentale e ci differenzia da tantissimi programmi che sono invece a pagamento. Non prendiamo inoltre nessuna quota societaria nelle start-up che aiutiamo a nascere. Per noi si tratta in primis di portare quello che abbiamo appreso in California nel nostro Paese per dare un contributo concreto al panorama innovativo italiano. Siamo solo all’inizio e il nostro obiettivo è quello di diventare una via di mezzo tra un acceleratore e un venture studio, ma siamo consapevoli che questo richiederà del tempo. Per espanderci avremo ovviamente bisogno di capitali e quindi di qualcuno che ci supporti, sposi il progetto e dia le risorse necessarie affinché Astra raggiunga il suo potenziale massimo. A questo scopo, stiamo parlando con diversi potenziali partner.
Sempre parlando di investimenti, il progetto STEP ha fra i suoi sponsor la Blackstone Charitable Foundation, che è una filiale del fondo di private equity Blackstone, il quale ha le mani in pasta nella deforestazione dell’Amazzonia e nelle energie non rinnovabili (gasdotti in Arabia Saudita). I finanziatori sono per voi una cartina tornasole del progetto e dei valori che questo vuole trasmettere oppure sono un fattore irrilevante?
Innanzitutto, Blackstone è completamente sconnesso da noi e ha invece una relazione con Berkeley e il progetto STEP. Detto questo, per noi è
Immagini fornite da Astra