Chiunque si fermi a guardare il mondo di oggi e abbia alle spalle un poco di conoscenza storica potrebbe forse chiedersi in che modo tutto sia cambiato così radicalmente. Dai viaggi a cavallo agli aerei, dai ritratti alle macchine fotografiche digitali, dalla caccia alle buste dei surgelati. Che cosa è fondamentalmente cambiato nell’uomo perché un processo di tale impatto e velocità potesse avvenire? Si è forse modificato il cervello umano? O è cambiato il modo di pensare?
Secondo James Flynn gran parte del merito andrebbe al quoziente intellettivo. Questo infatti è proprio la “valutazione del livello di intelligenza di soggetti in età evolutiva, espressa con un numero che costituisce il rapporto percentuale tra l’età mentale, valutata con uno speciale test, e l’età cronologica calcolata in mesi (…)”. Un valore ottenuto mediante dei test rivelerebbe infatti che le capacità intellettive degli individui odierni sarebbero di non poco maggiori di quelle dei loro antenati. Con il succedersi dei secoli, i meccanismi che il cervello umano si è abituato a mettere in azione sarebbero avanzati al punto da rendere molti passaggi intermedi dei ragionamenti addirittura ovvi, se non superflui.
L’effetto Flynn è, non a caso, la teoria secondo la quale nei punteggi ottenuti dai test del quoziente intellettivo si rileva un aumento significativo nel tempo con conseguente obsolescenza delle norme (“The “Flynn effect” refers to the observed rise in IQ scores over time, resulting in norms obsolescence”). Secondo lo stesso Flynn, filosofo morale, se si confrontassero i valori medi attuali con quelli di un secolo fa, gli individui di oggi avrebbero un quoziente intellettivo di circa 130 (soglia che sfiora la genialità), mentre quelli del passato sarebbero molto vicini a un 70 (che, in termini pratici, equivarrebbe a un ritardo mentale).
Quale connessione all’interno del cervello umano ha permesso agli uomini di fare un balzo in avanti, di concepire un mondo diverso da quello esistente e ispirarsi a quel modello per realizzarlo concretamente? James Flynn pensa all’ipotesi. Le capacità di categorizzare, di usare la logica sull’astrazione o anche solo di prendere sul serio ciò che è ipotetico sono le chiavi essenziali del cambiamento.
Diversi dati ed esperimenti hanno chiaramente dimostrato come fino a poco tempo fa tutta la conoscenza umana si basasse sul fatto, sul reale, su una tradizione di certezze. Porre una domanda del tipo “Cosa faresti se…?” e continuare con un’ipotesi per assurdo, oggi scatenerebbe diverse congetture, alcune valide, altre meno, ma pur sempre dei ragionamenti. La stessa domanda posta a una persona di cento anni fa avrebbe avuto invece un’unica reazione: uno sguardo confuso, e forse beffardo, dell’interlocutore rivolto al parlante. Come mai? Semplicemente perché più indietro si va nel tempo, più l’ipotetico come categoria del pensiero è difficile da concepire tra la maggior parte delle persone (come si sa le eccezioni esistono e sono i motori del progresso). Tutto quello che alla gente comune importava nel passato era occuparsi di quello che si trovava di fronte agli occhi, qualcosa di vero e reale che le persone potessero controllare con le loro forze e adattare ai bisogni che nelle diverse situazioni si presentavano.
Nessuna supposizione, solo fatti. Consuetudini e usi hanno costituito per secoli la base necessaria e sufficiente al vivere quotidiano per la quasi totalità delle comunità del mondo. Se oggi questo “limite” non esiste più si devono ringraziare l’educazione e le occupazioni intellettualmente impegnative. La prima ha saputo forgiare la mente di una fascia sempre più estesa di popolazione permettendo l’assimilazione di riflessioni e meccanismi fondamentali alla riuscita del pensiero ipotetico e universalizzante; le seconde, con il loro aumento e miglioramento, hanno fatto progredire le abilità di chi le pratica, mettendoli alla prova con difficoltà sempre maggiori e richiedendo loro una più complessa elaborazione cognitiva.
Ciononostante, l’avanzata capacità del cervello umano di instaurare legami tra sfere apparentemente lontane e a vedere “l’invisibile” nel visibile non basta a fare del mondo un luogo ineccepibile. Se da un lato gli antenati non sapevano scrollarsi di dosso le tradizioni vecchie di secoli che regolavano la loro vita, le persone che si apprestano a imporsi sul mondo di oggi come individui partecipativi spesso dimenticano molte delle utili esperienze passate e tanti degli errori già compiuti da qualcun altro. Per dirla con Flynn, sono individui astorici (ahistorical).
Che sia un equilibrio quasi utopico da trovare per persone la cui indole è pur sempre umana, è cosa certa. Bilanciare vecchio e nuovo senza permettere a uno di prevalere sull’altro, e viceversa, potrebbe però diventare l’obiettivo di chi intende coniugare coscienza passata e conoscenza futura, disponibilità a ricordare e desiderio di imparare. Nell’attesa che quest’unione si compia, non rimane che sperare che tra altri cento anni, quelli obsoleti saremo noi.