Tutto quello che le cartoline non mostrano, le foto non rendono abbastanza bene, i libri di storia spesso dimenticano e i giornali evitano, lo racconta Kapuściński – e lo fa con il suo sguardo da testimone polacco. Kapuściński racconta l”immensa terra che prende il nome di Africa, tra magia e sfruttamento.
Il giornalista e scrittore, nato in Polonia nel 1932 e morto nel 2007, è stato corrispondente estero dell’agenzia di stampa polacca Pap e si è occupato di inviare corrispondenze e testimonianze da -tra gli altri- moli paesi del continente africano. Nonostante le controversie sorte in merito all’attendibilità di alcune parti dei suoi libri, il suo lavoro di giornalista/reporter e le sue conoscenze della vita in Africa non possono essere messe in discussione e, come affermò nel 2010 il giornalista e saggista Neal Ascherson:
Nessun dubbio sussiste, per quanto mi riguarda, sui dispacci ed i resoconti che inviava ai giornali o alla Pap. Diverso il discorso per i suoi libri […] Scrupoloso nella sua attività giornalistica, nei libri era capace di inventare con la finalità di rendere la verità ancor più vera. Era un grande scrittore di storie, ma non un bugiardo.
Ebano
Uno dei libri, che è piuttosto una raccolta di saggi, particolarmente significativo, dedicato all’Africa, è Ebano. Edito in Italia nel 1998 da Feltrinelli, racchiude una sorta di diario dell’autore, dei suoi viaggi africani che partirono nel 1957 in Ghana e gli entrarono nel cuore. È complesso, però, conoscere l’Africa. Non sembra mai di conoscerla davvero. Una terra così distante da quella Europea, nonostante i miliardi di contatti avvenuti nei secoli. Una terra sempre un po’ sconosciuta, sempre un po’ sfocata, forse perché in pochi la raccontano, o perché in pochi la leggono.
Con le testimonianze di Kapuściński non si può rimanere indifferenti: sembra di viaggiare leggendo, non solo in quei paesi, ma anche nel tempo e nelle guerre che racconta. Conoscendo da vicino gli abitanti e vivendo in prima persona alcuni eventi cruciali che hanno fatto la storia del continente, Kapuściński racconta qualcosa che va oltre un semplice libro di storia.
Gli Stati di cui parla hanno governi di gente avida e insensibile ed eserciti che giunti al potere seminano distruzione. Nell’Uganda dei conflitti armati e nel genocidio in Ruanda, nella carestia etiope e nella guerra civile in Sudan, quello che vediamo nelle parole di Kapuściński è un bilico continuo: trionferà la vita o la morte?
Kapuściński tratteggia poi un reportage sulla complessa società che è stata per secoli sfruttata (a volte dichiaratamente, a volte no): una società che, dopo il primo colonialismo e il colonialismo commerciale, ha dovuto anche affrontare il colonialismo moderno, che l’ha vista soggetta allo sfruttamento delle risorse. Questo non deve essere motivo di pena o colpe, ma almeno di comprensione per un popolo così complesso.
Negli anni dell’indipendenza i diritti fondamentali dell’uomo sono stati brutalmente violati dal governo. Si è rifiutato agli uomini il diritto alla libertà e al rispetto reciproco. Non avevano il diritto di avere opinioni personali. Un gangsterismo politico organizzato e una politica della menzogna hanno trasformato le elezioni in una farsa. Invece di servire il popolo, i politici non hanno pensato che a riempirsi le tasche. La disoccupazione e lo sfruttamento sono cresciuti a vista d’occhio, mentre la piccola cricca dei fascisti feudali al potere infieriva senza riguardi sulla popolazione.
Dallo sfruttamento alla rivoluzione
In un altro suo libro, dedito da Feltrinelli nel 2013, Shah-in-Shah, è presente la citazione sottocitata sul rapporto potere-rivoluzione. Non parla di Africa: questo libro è in realtà ambientato in Iran (altro Paese in cui l’autore è stato reporter), ma le parole seguenti sembrano quasi avere valenza universale e, in particolare, per alcuni popoli del continente africano che dopo sfruttamenti e oppressioni, alla fine, si ribellano.
È sempre il potere a provocare la rivoluzione. Non certo di proposito. Tuttavia il suo stile di vita e di governo finisce per diventare una vera e propria provocazione. Ciò avviene quando tra i personaggi dell’élite si instaurano il senso dell’impunità e la convinzione di poter fare qualunque cosa, di potersi permettere tutto. È un’illusione, certo, ma non priva di giustificazioni razionali. Per molto tempo sembra realmente che i membri dell’élite possano fare quello che vogliono: per quanti scandali e illegalità commettano, la passano sempre liscia. Il popolo pazienta e tace: non si è ancora scrollato di dosso la paura, non si rende conto della propria forza. Al tempo stesso, però, tiene minuziosamente conto dei torti subiti: tirerà le somme nel momento debito. La scelta di questo famoso momento è uno dei massimi enigmi della storia. Perché proprio quel giorno, piuttosto che un altro? Perché mai quell’elemento scatenante, e non un altro? Fino a ieri il potere si permetteva gli eccessi più estremi senza che nessuno fiatasse. “E oggi che avrò mai fatto,” si chiede stupito il sovrano, “da farli imbestialire così di colpo?” Che cosa ha fatto? Ha abusato della pazienza del popolo.
Ryszard Kapuściński, Ebano, Feltrinelli, 1998
Ryszard Kapuściński, Shah-in-Shah, Feltrinelli, 2013