Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. (Luca; 2, vv 7-9)
Sotto il periodo natalizio, ai cultori dell’arte occidentale non possono che tornare alla mente le decine e centinaia di opere che, nel corso della Storia, hanno affrontato il tema della Natività. Ogni volta secondo specifiche coordinate stilistiche, ma sempre in modo costante. E non è nemmeno il caso di precisare, data la centralità di un simile evento per la cristianità, quante volte nel corso della storia dell’arte l’iconografia della Natività sia stata ripresa. Dunque, anche solo cercare di radunare le più significative sarebbe un’impresa ardua, facile a perdersi nei meandri dell’arte occidentale. Cerchiamo allora di selezionarne alcune, provando a fare una ricognizione storica che, dalle origini dell’arte cristiana (III/IV secolo circa) conduce fino al ‘600.
I rilievi dei sarcofagi paleocristiani
Pare che i primissimi esempi della Natività in arte si ritrovino già nei secoli della paleocristianità. Nello specifico, le prime rappresentazioni in rilievi del tema provengono da sarcofagi romani databili attorno ai secoli III e IV. Qui, molto spesso, compare solo la mangiatoia, Gesù bambino e gli immancabili animali, sia per scelte iconografiche, sia per mancanza di spazio sulla superficie.
Un esempio in tal senso è possibile rintracciarlo proprio a Milano. Nello specifico lungo i rilievi che decorano il celebre sarcofago di Stilicone, situato al di sotto dell’ambone (pulpito) della basilica di Sant’Ambrogio. Il sarcofago, originario del tempo di Teodosio e databile attorno alla fine del IV secolo, venne utilizzato come supporto alla struttura dell’ambone e si credeva che contenesse una tomba imperiale. Tra i vari rilievi che esso offre alla vista, nella parte alta di una delle quattro fronti, troviamo proprio una delle prime rappresentazioni in rilievo della Natività.
La resa è tra le più essenziali. Al centro, infatti, vi si trova solo il piccolo Gesù avvolto nelle fasce e vigilato dal bue e l’asino che stanno simmetricamente da una parte e dall’altra del piccolo. Tuttavia, l’iconica presenza del bue e dell’asino non viene citata nei Vangeli ufficiali, ma soltanto in quelli apocrifi (in particolare il Vangelo apocrifo di Pseudo-Matteo).
La Natività nell’arte medievale
Nel corso del periodo medievale, permeato da cima a fondo di iconografia cristiana, le rappresentazioni della Natività si moltiplicarono a dismisura. Possiamo così rintracciarle nelle pagine degli evangelari miniati, ma soprattutto nelle pitture murali, molte delle quali però sono andate perdute per ovvi motivi di conservazione, dato lo stato non sempre eccellente delle campiture stese solo raramente a “buon fresco”.
Bisogna quindi attendere almeno la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo prima che Giotto dia inizio a una rivoluzione della pittura, recuperando quella “maniera moderna” di cui parla il Vasari. Ma soprattutto conferendo alle pitture murali anche una grande qualità tecnica, oltre che artistica, attraverso la ripresa del “metodo delle giornate”. Questo consiste nello stendere gli strati di intonachino finale giorno per giorno in base alle singole zone da dipingere.
Il contributo di Giotto
Dunque, tra i riquadri raffiguranti la vita di Cristo, nel ciclo della Cappella degli Scrovegni non può mancare di certo la rappresentazione della Natività, databile agli inizi del ‘300. Rispetto a quella realizzata nel ciclo della Basilica superiore di Assisi mostra un deciso passo in avanti, verso una pittura già straordinariamente moderna. E in effetti, la centralità dei gesti è indubbia. Questi sono osservabili nel modo con cui Maria, sotto una pergola, viene aiutata da un’ancella a porre Gesù nella mangiatoia e nel modo con cui gli angeli in cielo volteggiano annunciando la nascita del figlio di Dio.
Emerge però anche l’attenzione per la resa dello spazio naturale e prospettico, con quelle figure in parte interrotte e rappresentate di tre quarti o di spalle (come i due pastori sulla destra). Infine è fondamentale l’eccelsa resa volumetrica. Tutti aspetti che conferiscono a questa rappresentazione giottesca della Natività un carattere già potentemente moderno, rendendolo sicuramente uno dei grandi capolavori del tema.
La natività nel Rinascimento di Lorenzo Lotto
Ma è soprattutto dal ‘400 e ‘500 che l’iconografia della Natività trova la sua epopea rappresentativa. Anche in questo caso, però, citare gli straordinari esempi rinascimentali di questo tema iconografico significherebbe scomodare tutti i pittori che hanno caratterizzato la rinascenza artistica del periodo. Tuttavia, agli inizi del ‘500, vi è un’opera in particolare che colpisce, sia per lo straordinario equilibrio compositivo e la resa dei passaggi tonali, sia per la maniera peculiare con cui il tema viene trattato. L’opera in questione è l’Adorazione del bambino di Lorenzo Lotto, realizzata nel 1523 e conservata attualmente alla National Gallery of Art di Washington.
Non si tratta propriamente di una Natività, ma del gesto immediatamente successivo a essa, ossia l’adorazione di Maria e Giuseppe al figlio di Dio. Resta tuttavia la straordinarietà del dipinto, nel quale Lotto dimostra di aver raccolto e fatto propria l’eredità di Raffaello. Questo lo si desume in particolare dalla qualità dei passaggi tonali, ma anche dall’attenzione alla resa volumetrica e compositiva. Nel dipinto però si trova un particolare che più di altri rende l’opera significativa dal punto di vista delle scelte iconografiche adottate.
Se infatti scostiamo lo sguardo dalla vibrante vitalità del Gesù bambino su cui la luce, pur naturale, si proietta, all’angolo alto a sinistra si può notare l’incombente presenza di un crocefisso appeso alla parete e avvolto nell’oscurità. Proprio qui emerge una delle qualità più straordinarie della pittura di Lotto, ossia la capacità di racchiudere in una singola scena una molteplicità di eventi caratterizzanti il soggetto. Il pittore, nel medesimo dipinto, mette in mostra al tempo stesso la nascita e la morte di Gesù, ossia le due condizioni indispensabili alla redenzione cristiana. E le soluzioni adottate aderiscono a un ambiente quotidiano e spontaneo: un bimbo raggiante che allunga le piccole braccia verso la madre e al tempo stesso un crocefisso in miniatura nell’ombra.
La natività “perduta” di Caravaggio (1600 ca.)
Ancor più straordinaria e peculiare sarebbe la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Michelangelo Merisi, ossia il Caravaggio. E del resto non potrebbe che esser di Caravaggio questo straordinario capolavoro che apre le porte al ‘600. Qui si trovano tutti gli elementi propri dello stile caravaggesco. Anzitutto il sorprendente e sferzante realismo e teatralità dei gesti con cui il pittore compone la scena, quasi da farla sembrare, in un certo senso, uno scatto fotografico. Ma anche l’uso dei chiaroscuri, con le figure che non si trovano immerse nella luce diffusa e naturale, bensì emergono come da una messinscena dall’oscurità del fondo e si atteggiano tutti in pose straordinariamente diverse.
Degno di nota è ad esempio il modo in cui è rappresentato Giuseppe, ossia di spalle, volto a dialogare verso destra con un pastore che si trova a lato di San Francesco. Straordinaria è però soprattutto la figura di Maria, seduta al suolo di fronte a Gesù, con i vestiti che le cadono lasciando scoperta la spalla destra e con gesti estremamente eloquenti. Il volto leggermente malinconico e proiettato verso il basso potrebbe forse presagire il destino del piccolo, ma la mano destra poggiata sul ventre sembrerebbe quasi, in modo dirompente, suggerire un parto naturale, sofferto, comune. Vi è però un altro aspetto che rende quest’opera rara, anzi letteralmente introvabile. Essa infatti venne trafugata la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e a oggi non è stata ancora recuperata.