È successo il 4 agosto 2020, a Beirut, quindici anni dopo l’autobomba che uccise il Primo Ministro del Libano, Rafiq Hariri. Un’esplosione causata da tonnellate di nitrato di ammonio travolge la zona del porto, investendo cittadini fino a un chilometro di distanza. L’incidente, assieme all’attuale stato di emergenza economico-sanitaria, aggrava ancora di più la crisi di un Paese già nel vivo di una tra le più violente recessioni della sua storia.
Testimone di questo terribile inferno di controversie e fragilità è la statua senza nome dell’artista libanese Hayat Nazer. Questa, in affinità con il proprio nome, Hayat, letteralmente “vita” in arabo, ha deciso di iniziare a creare opere artistiche nella speranza di un futuro migliore, vivo e disposto ad aver fede nella vita.
La speranza di una volontaria
Nata a cresciuta a Tripoli, la pittrice autodidatta si è dedicata molto al volontariato fin da adolescente, soprattutto nei quartieri vulnerabili in cui vivono palestinesi e libanesi. Dopo aver conseguito un Master in Media e Communications a Londra, ha iniziato a lavorare con il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) e con l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).
Nel 2017, però, limitata e insoddisfatta degli incarichi svolti, ha deciso di dimettersi e di calzare l’abito di artista a tempo pieno. Il suo obiettivo: produrre un maggiore impatto mediatico sui problemi del proprio Paese. Attraverso i suoi sforzi artistici ha così tentato di affrontare diverse questioni politiche e sociali. E queste, apparentemente separate, sono in realtà interconnesse dal carattere umanitario e dall’obiettivo di voler creare un cambiamento positivo nel mondo.
Il simbolo della resistenza
Inizia dunque a ottenere un crescente riconoscimento, proprio all’inizio della rivoluzione libanese del 2019. Qui realizza sua prima statua in assoluto: The Phoenix, la fenice, eretta in Piazza dei Martiri a Beirut. L’opera è creata con i residui delle tende distrutte dalle autorità durante le proteste e raffigura l’uccello mitologico che risorge dalle ceneri. Simboleggia quindi la resilienza del popolo libanese nei confronti del governo oppressivo. Pochi giorni dopo la sua istituzione, però, è stata distrutta dai protestanti filo-governativi.
Tuttavia l’artista non si è lasciata scoraggiare e un anno dopo, a seguito dell’esplosione del 4 agosto a Beirut, si è attivata subito attraverso i social, facendo appello a volontari che la aiutassero a ripristinare la gloria della città. Proprio questo esercizio di volontariato, assieme al testo di Beirut, Lady of the World della cantante libanese Majida El Roumi, le ha dato l’ispirazione per la creazione di una statua femminile come simbolo di speranza e pace.
Una nuova idea catarchica
Per settimane, la Nazer ha camminato per le strade di Beirut, raccogliendo metalli contorti, vetri rotti e chiedendo agli abitanti se volessero donare un oggetto da poter includere nella progettazione della statua. Sorprendentemente, le persone le hanno regalato molti oggetti preziosi, appartenenti alla loro infanzia, ai loro nonni morti nella guerra civile, o ai loro figli, contribuendo alla realizzazione di un vero e proprio trionfo di emozioni.
La statua si è rivelata, sia per l’artista che per il popolo, un modo catartico per incanalare il dolore e le emozioni in qualcosa di trascendentale e significativo. Così da incoraggiare l’unità a favore della ricostruzione di un Paese devastato da una crisi politica ed economica senza precedenti.
L’amazzone del Libano
La scultura della donna, già presente nei progetti dell’artista, ma senza avere uno scopo ben preciso, è la personificazione di Beirut. Una figura femminile bellissima, ma profondamente ferita e segnata dalle morti di chi ha lottato al suo fianco. A rappresentare questa linea sottile tra bellezza e dolore è il suo viso.
Questo è scalfito da una rivoluzione che sembra ancora essere molto lontana dal concludersi. C’è poi quella sua coperta rossa, come il sangue di coloro che sono morti lottando. La donna, poi, alta quasi tre metri, presenta la mano destra tenuta giù, inerte, troppo stanca anche per essere sollevata. Ma a compensarla sopraggiunge la sinistra, che al contrario è alzata, forte, risoluta e desiderosa di continuare a combattere.
Nello stesso modo, la gamba destra, realizzata come la sinistra con dei vetri rotti, è un po’ piegata, come se stesse per camminare o come se si fosse appena rialzata dopo una caduta. I capelli, invece, sembrano ancora fluire nell’aria, a rappresentare la forza e la pressione presenti durante l’esplosione.
Un fenomeno interattivo
Alcune immagini la vedono sollevare una spada, altre una torcia, altre ancora una bandiera o uno specchio. Il motivo di questa interattività è data dal fatto che inizialmente la statua avrebbe dovuto portare uno specchio, così che le persone si potessero vedere nel riflesso, ma durante uno spostamento si è rotto. L’artista allora ha deciso di farle imbracciare una torcia, proprio come fece la popolazione libanese il 17 ottobre, durante l’anniversario della Rivoluzione.
In seguito, però, dietro richiesta dei manifestanti, la guerriera ha sostituito la torcia con la bandiera libanese, fino al giorno seguente, quando il vento se l’è portata via. Ha lasciato solo l’asta di legno, che da lì in poi ha iniziato a essere vista come una spada. Aguzzando l’occhio è infatti possibile notare, inoltre, un orologio rotto, posto alla base del monumento, fermo alle 6:08, l’ora dell’esplosione. L’artista l’ha incluso per sottolineare il trauma non ancora passato, il blocco mentale e fisico in cui gli abitanti di Beirut si trovano ancora adesso.
Parallelismi contro la corruzione
La reazione delle persone nei confronti di questa statua è stata immediata. Come durante le proteste antigovernative, i libanesi si sono radunati per donare i pochi oggetti preziosi a loro rimasti. Hanno dato vita così a una sorta di Libertà che guida il popolo, con una spada puntata contro la corruzione del sistema politico che continua a dominare il Paese, proprio come accadeva ai tempi di Delacroix.
Ora, come allora, il popolo persevera nelle insurrezioni, sperando di potersi rialzare, un giorno, con la stessa forza della loro Donna Guerriera. Tuttavia, per evitare che il monumento facesse la stessa fine della Fenice, l’artista ha deciso di spostarla dal porto e di crearne una replica molto più grande. Questa funge da memoriale per tutti coloro che sono morti o rimasti feriti durante l’esplosione.
Verso un cambiamento positivo del mondo
Pioniera dell’arte partecipativa che affronti questioni di interesse nazionale, la Nazer, nei suoi progetti, attiva sempre una dinamica orientata al gruppo. Realizza così un senso di integrazione inter-societaria, che possa comprendere anche gli individui emarginati.
Inoltre crea i suoi pezzi scultorei principalmente a partire da materiali scartati, aumentando così la consapevolezza su questioni ambientali, come il consumismo inconscio, l’inquinamento dei rifiuti solidi, il riciclaggio e la gestione dei rifiuti.
Dopo un’esplosione come quella di Beirut, può risultare più facile ricostruire case ed edifici, rispetto al riportare indietro i ricordi, soprattutto se il governo contribuisce a rimuovere la storia del proprio Paese. Certo, senza un porto, la città faticherà a rialzarsi, ma proprio come la sua audace Amazzone del Libano intraprenderà un viaggio personale verso una nuova ragion d’essere, ispirando così speranza, determinazione e cambiamento.
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