Il trattato internazionale chiamato “Domestic Workers Convention” è stato adottato da diversi Stati nel giugno del 2011. È stato il primo trattato a prevedere degli standard globali per le lavoratrici domestiche.
Dieci milioni di donne nel mondo lavorano come domestiche in abitazioni private e sono la categoria di lavoratrici più sfruttate al mondo. Lavorano dalle quattordici alle diciotto ore al giorno, sette giorni a settimana per essere sottopagate e vivere in condizioni al limite della decenza umana. Spesso intrappolate in una casa in cui subiscono abusi fisici, mentali e sessuali.
Il dibattito sullo sfruttamento delle domestiche nel Regno Unito
In questo periodo, è scoppiato un grande dibattito sul visto per le domestiche provenienti dall’estero nel Regno Unito. Molte associazioni sostengono che sia necessario re-implementare le misure e i requisiti precedenti al 2012 per evitare che le persone possano ritrovarsi in situazioni di schiavitù.
La campagna iniziata da Kalayaan e Voice of Domestic Workers vuole ristabilire la versione originale del visto per il lavoro domestico ed è supportata da diversi membri del Parlamento, come il laburista Jess Philipps. Prima del 2012, le lavoratrici domestiche potevano lasciare il loro datore di lavoro senza mettere a rischio la loro vita e senza cadere nell’illegalità.
Dal 2012 , il visto per i lavoratori domestici provenienti dall’estero ha subito delle restrizioni. Molti diritti dei lavoratori sono stati limitati. Ad esempio, le domestiche non potevano cambiare datore di lavoro e rinnovare il loro soggiorno nel Regno Unito. Anzi, i lavoratori erano costretti ad acquisire un visto di sei mesi, non rinnovabile.
Nel 2016 c’è stato un cambiamento. Le lavoratrici domestiche hanno ottenuto la possibilità di cambiare datore di lavoro durante i sei mesi del loro visto. Sono state anche abilitate a richiedere un permesso di soggiorno della durata di due anni previo riconoscimento della loro condizione di schiavitù moderna da parte del National Referral Mechanism (NRM)(istituzione del Regno Unito che si occupa di identificare le vittime della schiavitù moderna).
I dati della schiavitù moderna
Tuttavia, la situazione non è migliorata. Molte organizzazioni che supportano la causa dello sfruttamento delle domestiche affermano che le donne che riescono a fuggire ai loro datori di lavoro sono destinate ad una vita marcata dalla costante paura di essere deportate. Le organizzazioni principali che si occupano dei diritti delle domestiche sono Kalayaan e Voice of Domestic Workers. A loro parere, le lavoratrici domestiche sono costantemente sottoposte a situazioni border-line fatte di abusi e sfruttamento. Questo è dovuto alla natura irregolare del lavoro domestico, allo stato di migrante del lavoratore e alla sua dipendenza dal datore di lavoro.
Un sondaggio di cinquecentotrentanove lavoratrici domestiche nel Regno Unito condotto da Voice of Domestic Workers nel 2018 ha confermato la condizione di sfruttamento delle domestiche. Più di tre quarti ha subito abuso fisico, verbale o sessuale. Metà ha dichiarato di non aver ricevuto abbastanza cibo al lavoro e sei su dieci non avevano una stanza privata nella casa del datore di lavoro. Inoltre, la maggioranza era sottopagata, ricevendo tra le trecento e quattrocento sterline lavorando sessanta o ottanta ore settimanalmente.
La storia di Mimi
Una testimonianza molto importante è stata quella di Mimi. Ha quarantaquattro anni ed è filippina. Il suo datore di lavoro emiratino l’ha portata nel Regno Unito come domestica sei anni fa. Nel descrivere il suo ruolo da domestica per questa famiglia ricca a Londra, Mimi parla di uno scenario straziante: non aveva pause durante la giornata o giorni di riposo. Doveva persino inventarsi degli escamotage per bere l’acqua durante i suoi turni. Nascondeva una bottiglietta d’acqua nel secchio dei detersivi affinché potesse bere mentre puliva i gabinetti cosicché non potesse essere scoperta. Mimi è una delle tante donne che giungono nel Regno Unito dall’estero, spesso da Paesi extra-europei, con il loro datore lavoro grazie al visto di lavoro.
Il caso simile del Libano
Anche in Libano qualcosa si sta muovendo: il Ministero del Lavoro sta valutando un nuovo format unificato del contratto di lavoro per le lavoratrici domestiche. Il nuovo modello è stato proposto da un gruppo formato da associazioni, tra le quali Human Rights Watch, guidate dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) stabilito nel 2019. Il loro obiettivo è l’abolizione del sistema Kafala, il quale viola i diritti dei lavoratori e dei migranti.
Il sistema Kafala è un insieme di leggi, regolamenti e usi che legano la domestica la datore di lavoro. Difatti, le lavoratrici domestiche non possono lasciare il lavoro senza il consenso del datore, causando così un rapporto di sottomissione. In più, come nel Regno Unito, scappare dallo sfruttamento del datore di lavoro implica la perdita della residenza legale nel Paese e il rischio di essere deportate.
In Libano, si calcolano 250.000 lavoratrici domestiche, per la maggioranza immigrate dall’Africa e dai Paesi asiatici del sud-est. Non sono protette dalla legislazione del Libano sui lavoratori in quanto non ricevono lo stipendio minimo, non hanno un limite di ore a settimane o un giorno alla settimana di riposo.
Il gruppo coordinato dall’OIL ha previsto degli step fondamentali per garantire la protezione dei diritti delle lavoratrici domestiche del Libano. Il contratto unico standard, che possa garantire la protezione internazionale dei diritti delle lavoratrici, sarebbe il primo passo verso l’abolizione del sistema opprimente.
La crisi economica provocata dal Covid-19 ha peggiorato esponenzialmente la vita delle domestiche. Molte di loro hanno riportato che i casi di abusi sono aumentati durante il lockdown, mentre altre hanno visto il loro salario essere dimezzato, e in casi estremi totalmente azzerato. Da maggio, molti datori di lavoro hanno abbandonato centinaia di lavoratrici fuori dal loro consolato o ambasciata, senza soldi, documenti o oggetti personali.
Lo sfruttamento in Qatar
In Qatar, i lavoratori domestici migranti sono circa 173.000. Un nuovo rapporto di Amnesty International ha rivelato che le condizioni delle lavoratrici domestiche in Qatar non è molto diversa. Orari lunghi, assenza di giorni di riposo e abusi fisici e sessuali sono la norma.
Nel 2017, il Qatar ha introdotto la Legge sul lavoro domestico cercando di garantire una minima protezione alle lavoratrici. Ma, a conti fatti, la legge non è stata presa in considerazione . Amnesty International ha dichiarato che novanta delle centocinque donne intervistate hanno lavorato più di quattordici ore a settimana, ottantanove lavorano tutta la settimana e a ottantasette donne è stato confiscato il passaporto.
Alcune di loro hanno anche riferito di non essere pagate con regolarità e di essere state abusate fisicamente. Le violenze subite sono il risultato di diversi fattori: mancanza di controlli per assicurare il rispetto della legge sul lavoro domestico e il sistema di sponsorizzazione simile a quello del Libano che conferisce troppo potere ai datori di lavoro.
La violenza sessuale da parte dei datori di lavoro è un fenomeno fin troppo comune, a partire dal palpeggiamento fino allo stupro. La maggior parte delle donne non sporge denuncia per timore di subire ripercussioni.
Negli ultimi anni, sono state introdotte delle riforme per migliorare le condizioni di impiego dei lavoratori. Tra queste, risaltano le riforme riguardanti l’introduzione del salario minimo e l’abolizione dell’obbligo per i lavoratori di ottenere il permesso dei propri datori di lavoro per cambiare impiego o lasciare il Paese.
La situazione delle lavoratrici domestiche in Messico
In Messico si registra un grande flusso migratorio proveniente dal Guatemala: le lavoratrici domestiche di origine indigena. Partono dal Guatemala e cercano di costruirsi una vita migliore ma finiscono in una situazione di sfruttamento. Ricevono stipendi bassi, di cui la maggior parte viene mandata alla propria famiglia in Guatemala, lavorando almeno 12 ore al giorno senza pausa o giorni di riposo.
In uno studio nella città di Tapachula, si è riscontrato che circa il 90% delle lavoratrici domestiche sono minorenni, e quasi la metà subiscono almeno una forma di abuso. Vincolate legalmente al proprio datore di lavoro, anche queste giovani domestiche non possono allontanarsi dal proprio capo senza la paura di essere deportate. La violazione dei loro diritti è ancora più facile. Vivendo con i loro datori di lavoro, subiscono facilmente abusi. Spesso è loro impedito di tornare nel loro Paese per visitare le proprie famiglie.
Il processo di reclutamento delle giovani domestiche è molto simile ad un mercato di moderna schiavitù. Le ragazze vengono “comprate” in piazza, dove sono esposte ai potenziali datori di lavoro, e caricate e portate nella propria abitazione per lavorare immediatamente.
Recentemente, il Messico ha ratificato il convegno dell’organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) assicurando dei diritti alle lavoratrici domestiche. Tra queste concessioni c’è quella del diritto ad un contratto scritto, ad un certo stipendio, ad un orario di lavoro e ad un giorno di riposo stabiliti ma soprattuto il divieto di lavoro minorile.