Lo sfruttamento minorile nella pittura del tardo ‘800

A partire dal seconda metà dell’Ottocento, nella sensibilità creativa degli artisti emerse una nuova esigenza: la denuncia sociale. Naturalmente non si trattò di un fatto casuale o spontaneo, ma fu il frutto della maturazione di un sentimento di mobilitazione sociale e civile diffuso un po’ ovunque nell’Europa del XIX secolo. Questo trovò la sua piena espressione negli artisti – letterati e pittori – che raccolsero e fecero propri gli ideali di quei movimenti e partiti sensibilmente vicini alle classi sociali meno abbienti. 

L’inchiesta Franchetti-Sonnino
Carusi siciliani all’ingresso di una zolfara (fotografia del 1899)

Erano tempi in cui non ci stupiva affatto che bambini di dieci anni venissero avviati ai lavori agrari o che bimbi ancor più piccoli si occupassero parzialmente delle faccende domestiche, naturalmente privi di istruzione. Ed erano anche tempi in cui la politica – distante più che mai dalla realtà – non era affatto consapevole delle precarie condizioni in cui vertevano lavoratrici, lavoratori e bambini impiegati in modo abominevole nelle zolfare siciliane.

Nel 1877, quindi, il governo del Regno d’Italia si vide costretto ad intervenire per verificare con propri occhi le bestiali condizioni di sfruttamento dei lavoratori delle zolfare siciliane, sollecitati dalla celebre inchiesta condotta l’anno precedente. I suoi fautori furono i positivisti Leopoldo Franchetti e Giorgio Sidney Sonnino, che pubblicarono il loro lavoro sulla rivista, Rassegna settimanale.

Da un’inchiesta giornalistica a una corrente artistica e culturale

Nelle province di Girgenti (Agrigento ndr.) e di Caltanissetta avvengono sotto i nostri occhi parecchie ingiustizie verso i minori che vengono sfruttati nel lavoro delle miniere. […] il lavoro è uguale per tutti, sia per grandi che per piccoli. In Sicilia il lavoro minorile nelle gallerie è più duro di quanto si possa immaginare, perché il lavoro dei fanciulli consiste nel trasporto del minerale sulla schiena, in sacchi o ceste.

Da questi fatti, e dalla collaborazione con Franchetti e Sonnino, Giovanni Verga trasse alcune delle sue novelle più note e realisticamente pregnanti. L’autore è stato il capostipite della letteratura verista del secondo ‘800, ossia quella tendenza letteraria discendente dal naturalismo francese che si pose come obiettivo primario la descrizione della realtà più vera e quotidiana, anche nella sua violenza e nelle sue ingiustizie sociali. Ma la tendenza verista non si manifestò solo in letteratura. Anche i pittori italiani, infatti, risentirono profondamente dei nuovi influssi realistico-veristi e fecero della denuncia sociale e della tendenza a rappresentare la realtà “così come si dà” il loro nuovo indirizzo espressivo. 

Lo sfruttamento minorile nella pittura del tardo ‘800
Plinio Nomellini, La diana del lavoro, 1893, Olio su tela

Ne è un’esempio il dipinto La diana del lavoro (1893) del pittore Plinio Novellini che, sfruttando pienamente le risorse impressionistiche della tecnica divisionista, rappresenta l’alba di una massa di lavoratori e operai, tra i quali notiamo anche un anziano con la vanga (sulla destra). Tutti si dirigono verso il luogo di lavoro, o sarebbe meglio dire di sfruttamento, per iniziare la giornata lavorativa. In questo dipinto, considerato come il capolavoro di Novellini, sussistono due aspetti che colpiscono il nostro sguardo.

Anzitutto l’efficacia della tecnica divisionista che, con la sua resa tipicamente impressionista, qui è particolarmente efficace ed esatta nel rappresentare la massa vibrante della schiera di lavoratori. Così questi affollano la strada col capo abbassato, la schiena ricurva e le spalle già cariche della fatica dello sfruttamento a cui ogni giorno sono sottoposti.

Ma vi è anche un altro aspetto che rende questo dipinto significativo, ossia il suo valore documentaristico nel rappresentare la realtà così come si presenta, con un taglio fotografico che ci immette direttamente nella scena. L’artista dunque non teme brusche interruzioni e non si astiene dal raffigurare in primo piano il volto di profilo di un bambino – sembrerebbe di 10/12 anni – che scruta preoccupato davanti a sé. 

I Carusi di Onofrio Tomaselli

I carusi sono quei poveri ragazzi che trasportano il minerale. La maggior parte dei carusi ha tra gli 8 e gli 11 anni, ma alcuni iniziano il loro lavoro a 7 anni.

Onofrio Tomaselli, I carusi, 1905, Olio su tela, Palermo, Galleria d’Arte Moderna

Così Franchetti e Sonnino descrissero a parole, con un piglio decisamente giornalistico e d’inchiesta, quei carusi tra gli otto e gli undici anni, talvolta anche di sette. Nel suo capolavoro del 1905, Onofrio Tomaselli li rappresenta in una tela di dimensioni piuttosto grandi – quasi due metri di altezza e tre di lunghezza – e con una potenza descrittiva che pochi hanno saputo raggiungere nel genere della rappresentazione verista.

Nell’opera è ritratto un gruppo di carusi siciliani, che  escono in fila dall’imbocco di una miniera, trasportando sacchi di materiale. Tutt’attorno il paesaggio è aspro, severo, impervio, così come aspra è la condizione di sfruttamento nella quale questi ragazzini vertono. Tra di essi, infatti, ne vediamo uno che sembra addirittura aver perso le brache.

La denuncia veicolata dall’arte

Mentre il sole batte sulle pietre e sui loro corpi giovani, ma già provati dalla fatica, la nostra attenzione non può che essere attratta dal ragazzino a sinistra che riposa all’ombra, esausto dal lavoro sfiancante. Questo attira su di sé lo sguardo anche dell’altro ragazzo, che si volta di tre quarti assicurandosi rapidamente delle sue condizioni. 

Purtroppo i genitori rovinano la salute fisica e morale delle loro creature per guadagnare di più, e nemmeno per campare, questo però non dovrebbe mai passare inosservato al legislatore.

Così nel 1876, chiudevano la loro inchiesta Franchetti e Sonnino. Un grido di denuncia contro lo sfruttamento minorile in Sicilia, che abbiamo visto urlato anche dai pennelli di Novellini e Tomaselli, ma che non smette nemmeno oggi di richiamare la nostra attenzione. 


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