La nuova normativa europea per il mondo digitale

La frontiera americana era un luogo nuovo, inesplorato, ricco di opportunità quanto di pericoli. Un luogo molto simile a ciò che è oggi l’intero sistema digitale. Nuove opportunità, poche e vecchie regole e istituzioni poco presenti. E in questo particolare contesto, l’Unione Europea vuole, giustamente, portare regole e tutele nel mondo di Internet, così da limitare pericoli e soprusi ai danni degli utenti e assicurare il rispetto dei diritti dei cittadini: nasce così il progetto del Digital Services Act.

Questo ambizioso e innovativo progetto di riforma della normativa dell’Unione in materia di piattaforme digitali, una sorta di moderno codice per i servizi informatici, dovrebbe essere approvato dalla Commissione Europea in dicembre, per poi poter essere consegnato al Consiglio Europeo e al Parlamento, per consentire l’iter legislativo consueto. In definitiva si tratta di un atto che potrebbe definitivamente vedere la luce non prima del 2022, ma che già oggi, nel momento in cui vengono fissate le direttive principali e fondamentali di tutto il lavoro, riscuote, non a torto, molta attenzione.

I temi affrontati dalla riforma sono molteplici, come la sicurezza online, la libertà d’espressione o, ancora, l’equità delle condizioni nell’economia digitale. Infatti, secondo quanto dichiarato da Margrethe Vestager, commissaria europea alla concorrenza e principale artefice del progetto, lo scopo della normativa è quello di fare in modo che “le piattaforme servano i cittadini e non il contrario. Per questo motivo, altri punti focali del piano prevedono misure che garantiscano la concorrenza leale online per le imprese europee e un mercato più trasparente. Rendere l’Europa adatta al mondo digitale, senza però tralasciare i diritti fondamentali dell’Unione, come la sicurezza dei suoi cittadini e la protezione del mercato interno.

Gli interventi normativi proposti, che riformerebbero la fonte attuale, in vigore dal 2000 e più volte emendata per poter adattarsi alle novità tecnologiche, toccano diversi ambiti e si prefiggono molti scopi:

  • garantire più sicurezza agli utenti, in particolare riguardo l’accesso ai dati degli utenti in caso di attività illecite, truffe o reati d’odio
  • migliorare la trasparenza in relazione all’advertising online e agli smart contracts
  • tutelare i lavoratori delle piattaforme online, garantendo il diritto alla salute, alla mobilità o allo smart working senza prevaricazioni del datore di lavoro
  • individuare una possibile struttura di governance europea per il settore digitale
  • evitare un panorama giuridico troppo frammentato, di difficile comprensione e applicazione
  • affrontare le criticità legate alla posizione di gatekeeper delle piattaforme digitali, ovvero regolare il meccanismo attraverso cui vengono filtrate dai media e dagli attori informatici le informazioni
  • modificare il regime della responsabilità di soggetti come social network, mercati online e motori di ricerca

Le questioni affrontate dalla Commissione sono, quindi, davvero esaustive di tutti i rapporti tra privati e istituzioni nel mondo Internet. Una riforma universale che, evidentemente necessaria, si pone il grandioso e gravoso compito di tutelare gli utenti e le imprese europee. Per far sì che il progetto fosse democratico e onnicomprensivo di tutte le dovute istanze, l’iter legislativo ha previsto anche una parte apposita che prevedesse l’intervento dei singoli consumatori digitali: fino al 30 giugno 2020, infatti, su un portale dedicato sono state raccolte le opinioni dei cittadini a riguardo. Una consultazione formale che è stata d’aiuto per formulare proposte normative adeguate allo scopo prefissato dalla Commissione.

Non mancano, però, diversi punti spinosi che dividono le opinioni di politici ed esperti e che pongono in netto contrasto la Vestager, così come tutta la Commissione, e i cosiddetti Big Tech, cioè le grandi multinazionali del digitale. In particolare il dibattito più accesso riguarda la modifica del regime di responsabilità, fino ad oggi regolato dalla direttiva 2000/31/CE (attuata in Italia dal decreto legislativo n. 70 del 2003): se attualmente la normativa prevede una sostanziale mancanza di responsabilità delle piattaforme per quanto pubblicato dai propri utenti, le cose potrebbero presto cambiare. Tra le proposte nell’aria c’è chi si spinge a identificare i social network e i sistemi di ricerca come veri e propri editor, non più come semplici provider, equiparandone la responsabilità, ad esempio in fatto di fact checking, a quelle delle case editrici. La Commissione non si spingerebbe a tanto, ma propone un regime di responsabilità variabile, proporzionato al modello di business della piattaforma, e oneri maggiori per gli operatori che traggono profitto dalla profilazione dei propri utenti.

I dubbi dei Big Tech, in particolare di Amazon, Google e Apple, sono molteplici, dato che le aziende digitali non vogliono ricoprire il ruolo di polizia del web, tanto più che, secondo loro, non saprebbero nemmeno come riuscire ad agire secondo le nuove direttive. Una responsabilità penale a carico di questi operatori per i contenuti illegali o dannosi postati dagli utenti, che quindi dovrebbero essere eliminati attivamente dalle piattaforme, sicuramente cambierebbe il modo in cui conosciamo Internet. Attraverso quali strumenti e con quali declinazioni ancora non ci è dato saperlo.

La partita è decisamente aperta. Se vincerà la linea dura della Vestager o le più blande innovazioni proposte dalle controparti non è ancora chiaro, e l’iter legislativo si prospetta un terreno di scontro giuridico, morale e, soprattutto, economico infuocato come mai prima d’ora. Se da una parte, infatti, un progetto di revisione della normativa europea in materia digitale è necessaria e non più rimandabile, dall’altra risulta ancora difficile prevedere quali saranno gli esiti effettivi di questo progetto e se un tale principio di responsabilità sia in grado di distribuire equamente compiti, oneri ed eventuali punizioni per la trasgressione dei diritti dei cittadini europei. Ciò che è certo è che la Commissione Europea intende affrontare, e vincere, la sfida che le si staglia innanzi.

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