Arte Povera: quando dal niente nasce il tutto

La maggior parte degli episodi riguardanti l’Arte Povera sono legati alla figura di Germano Lucio Celant, critico d’arte genovese. Fu proprio lui, nel lontano 1967, a coniare il termine, affermando che:

L’Arte Povera ha messo in crisi il packaging dell’oggetto: l’assunzione che un’opera artistica debba essere un’unità chiusa e statica, senza energia vitale e performativa all’interno di sé stessa. In tal senso con i suoi frammenti effimeri e indefiniti, costituiti da vetri rotti, carbone, acqua, zolfo, animali pietre, fili di rame, spezzoni di gessi, è risultato un ‘format’ contro la forma congelata e cadaverica dell’arte tradizionale.

La duplice finalità dell’Arte Povera

L’Arte Povera è sempre stata considerata una prospettiva artistica d’avanguardia. Emersa nell’Europa degli anni Sessanta, definisce una tendenza più che una corrente pittorica e artistica.

Germano Lucio Celant

Una tendenza durata solo quattro anni, che mira al rifiuto di una società tecnologicamente ormai troppo avanzata. Così materiali di recupero di origine vegetale, animale e minerale diventano protagonisti. Terra, acqua, legno, metalli, tessuti, plastiche e scarti industriali sono solo alcuni degli elementi utilizzati.

L’Arte Povera ha quindi una duplice finalità. Se da una parte mira alla considerazione di materiali di seconda scelta, dall’altra – complice l’industrializzazione – è ben aperta allo sfruttamento di oggetti tecnicamente molto avanzati, quali vetri, specchi e neon. Quindi, si può dedurre che sia povera, certo, ma fino ad un certo punto.

Spiega ancora Germano Lucio Celant:

Considerato l’uso del fuoco e tubi al neon, macigni e statue rotte, gomme e piombo, l’Arte Povera è risultata incompatibile e inconciliabile con le condizioni casalinghe degli appartamenti dei collezionisti e delle gallerie tradizionali.

L’importanza del concetto

Questo perché tale tendenza avanguardistica nasce proprio contestando ciò che il capitalismo mosse durante gli anni Sessanta. L’opera d’arte non è più disponibile al consumo. Per evitare quindi il rischio di mercificazione, l’artista riduce l’opera a un’idea non commerciabile né collezionabile. In completa antitesi rispetto alle tendenze della Pop Art, corrente artistica sviluppatasi qualche decennio prima.

Ciò che ora importa è il concetto. Per questo motivo si parla anche di Arte concettuale, cioè di quell’espressione artistica in cui le idee e i pensieri stanno al di sopra del risultato estetico dell’opera stessa. L’Arte Povera è, quindi, concettuale.

Tra le opere più iconiche in questo senso, ricordiamo la serie degli Igloo dell’artista milanese Mario Merz, scomparso nel 2003. Per lui, il concetto di casa si materializza nella costruzione dell’igloo, che rispecchia perfettamente il rapporto umano-natura.

Siccome io considero che in fondo oggi noi viviamo in un’epoca provvisoria, il senso del provvisorio per me ha coinciso con questo nome: igloo.

Quindi, una casa è considerata solo provvisoriamente tale. Perché il mondo si trasforma continuamente e con lui chi lo abita. È tutto un continuo divenire.

Mario Merz e “Igloo”
Un’arte da condividere

Queste opere sono caratterizzate, per la maggior parte, da una struttura metallica rivestita dai materiali più disparati, anche se rigorosamente di scarto come juta, vetro, argilla, acciaio. Così ricorda l’artista la figlia Beatrice Merz. 

Per mio padre l’igloo era un luogo di condivisione.

Il messaggio che voleva trasmettere era quello della condivisione e del rapporto dell’uomo tra l’interno e l’esterno. tra uno spazio intimo come quello casalingo e uno più ampio come quello della natura o quello urbano. Tutti gli elementi che compongono gli igloo sono legati, infatti, anche al lavoro umano: dalla terra alla fabbrica, dall’architettura alla poesia.

Sebbene si tratti di Arte concettuale, non bisogna erroneamente pensare ad un’arte priva di significato. Anzi, al contrario, tocca l’emotività dello spettatore ancor più rispetto alle classiche avanguardie artistiche. Questo perché non ha confini, o limiti, o barriere. Si lascia trasportare, semplicemente. E lo fa affidandosi al prossimo, a colui che vuole capirne le più svariate sfumature.


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