25 novembre 2020. È La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Eppure il risveglio è stato nuovamente drammatico. Due donne vittime sono state uccise dal compagno. La violenza non ha date, né numeri, né celebrazioni; ricorre sempre, non vede confini e non ha pietà. Però ha volto e identità: porta il viso di tutte le donne che nel mondo quotidianamente sono vittime di abusi e soprusi per il semplice fatto di essere donne. Combattere la violenza di genere nel 2020 è un dovere affinché l’identità dell’essere donna venga rivendicata una volta per tutte. Il teatro Pacta, in collaborazione con Diana de Marchi, la Presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili, Soccorso Rosa onlus e il Consiglio per le Pari Opportunità di Regione Lombardia ha dato vita all’intervento corale Adesso libere, uno spettacolo reso disponibile gratuitamente sul canale YouTube di Pacta durante la giornata del 25 novembre.
Maria Eugenia D’Aquino e Annig Raimondi vestono i panni di Anna e Daria e in uno spettacolo a leggio raccontano la loro storia. Donne parlano di donne, nel tentativo di supportare ed empatizzare con loro. Anna e Daria sono due delle tante vittime della subdola violenza di genere che incatena e impedisce una fuga. Ne esemplificano la casistica più diffusa: la violenza domestica. Le statistiche dimostrano infatti quanto la maggior parte delle violenze venga consumata tra le mura di casa da mariti o fidanzati, trasformati in carnefici. I luoghi più sicuri si trasformano così in manicomi, gironi dell’inferno e perfino carceri e celle. Le vittime si auto imprigionano, si chiudono in sé stesse senza riuscire a denunciare, generando così un circolo vizioso che si auto alimenta e che spesso conduce a esisti fatali. Anna e Daria sono però due donne libere perché, diversamente da molte compagne, hanno vinto la battaglia.
Le storie di Anna e Daria sono prese come modello di storie di reazione contro la violenza. Sono storie vere tratte dal libro Adesso basta! Istruzioni contro l’abuso di Armando Cecatiello, un avvocato familiarista esperto di violenza di genere. Lo spettacolo nasce infatti proprio dalla collaborazione con lo stesso avvocato, che interviene in un intermezzo tra i racconti delle storie delle donne. Cecatiello si focalizza su una serie di ricerche legate all’immagine della donna nella pubblicità, in Italia e all’estero.
L’avvocato dimostra in primo luogo quanto le affissioni pubblicitarie rappresentino un corpo quasi sempre mercificato e sfruttato per la sua immagine ed estetica. Il mondo della pubblicità è purtroppo ancora oggi vincolato a stereotipi di genere. Gli uomini, come sostiene l’avvocato, sono infatti spesso ritratti “per ciò che fanno e le donne per come appaiono”. Basti ricordare, per fare un esempio, la ponderosa polemica scoppiata intorno all’app Immuni, in cui la figura maschile era associata al lavoro, mentre quella femminile alla cura della casa e dei figli. Ciò dimostra la diffusione di una comunicazione legata a stereotipi di genere anche a livello istituzionale.
La figura femminile è inoltre frequentemente sfruttata per generare allusioni di tipo sessuale, al contrario di quella maschile. I doppi sensi e le ironie incrementano la disparità sociale, rendendo la figura dell’uomo egemonica e superiore a quella della donna, spesso ridotta a solo corpo. I media, in quanto svolgenti attività di framing (filtri della società) riflettono spesso un’immagine distorta e scorretta della figura femminile, che tuttavia influenza in modo ineluttabile il pensiero della comunità. Gli studi notano inoltre quanto la diffusione di stereotipi di genere sia pratica diffusa anche nelle pubblicità rivolte ai bambini. Banalmente ciò è visibile nell’ambito dei colori: il rosa è associato alle bambine e l’azzurro ai bambini, così come esiste una netta distinzione tra i giochi femminili e maschili. I media, in quanto mediatori, dovrebbero dunque al contrario promuovere un’immagine emancipata della donna, o quantomeno paritaria rispetto a quella maschile.
Ma perché le vittime non scappano? Lo spettacolo risponde a una delle più attanaglianti domande offrendo l’intervento del professore di psicologia clinica Carlo Clerici. Egli si sofferma sul concetto di “immobilità tonica” e, in modo semplice e divulgativo, spiega i suoi effetti. Come le ricerche hanno dimostrato, la vittima in condizioni di pericolo estremo, si immobilizza di fronte all’aggressore. Ciò la rende impossibilitata alla fuga e alla reazione. La mancata difesa non è dunque volontaria, ma è dettata da un meccanismo fisiologico tipico di tutti i tipi di animali. Lo stato di immobilizzazione può spesso durare giorni e questa, secondo il professore, è la ragione per cui le vittime ritardano nella denuncia.
Lo spettacolo è inoltre incorniciato da due canzoni rap che trattano il tema della violenza sulle donne: Uomini contro di Ensi e Vestita di lividi di Jonny Scandal.
Lo spettacolo ideato da Pacta rappresenta molto bene il modo in cui la cultura può spendersi per il sociale. Il teatro, anche in una condizione di estrema chiusura delle attività, entra nelle case dei cittadini milanesi per parlare di un tema essenziale, purtroppo estremamente attuale. Scegliere di raccontare la storia di due donne che si sono liberate dalla violenza significa prima di tutto dare speranza a tutte le vittime e invogliarle a denunciare e dare fiducia alla giustizia.
Il video corale di Pacta deve essere allora visto e rivisto non solo il 25 novembre, per ricordare quotidianamente che la violenza sulle donne non è una ricorrenza, ma una piaga sociale che va combattuta, giorno dopo giorno.
CREDITS
Copertina – Ufficio Stampa Pacta
Immagine 1 – Ufficio Stampa Pacta