Un motivo essenziale per il quale è possibile vedere in AOC il “simbolo” del giovane progressismo statunitense è il ruolo protagonista della congresswoman newyorkese nella redazione di quello che, ragionevolmente, Marina Catucci definisce “il manifesto del socialismo americano“.
Il Green New Deal
Il Green New Deal è un pacchetto di riforme (o, più genericamente, un programma ideologico) volto al riconoscimento e alla battaglia contro il cambiamento climatico. È stato fin da subito il cavallo di battaglia di Ocasio-Cortez. La risoluzione si divide in due parti. La prima è dedicata all’esposizione delle riforme da attuare per portare il consumo dei combustibili fossili negli Stati Uniti allo 0%: unica cifra moralmente, politicamente e storicamente accettabile. La seconda alle strategie di riassorbimento da parte dello stato rispetto a tutta quell’ondata di disoccupazione che, necessariamente, seguirebbe al totale abbandono del mercato dell’inquinamento.
Il secondo punto, che può sembrare l’ammissione di una debolezza sostanziale del programma, è in realtà il vero punto di forza del GND. Abbandonare i combustibili fossili significherebbe abbandonare l’economia capitalista, orientata al profitto incontrollato e allo sfruttamento incondizionato. E lasciarsi alle spalle un mercato e un’industria che si arricchiscono dalla devastazione degli ambienti naturali.
Questo mercato, questa industria, sono gli stessi che da quarant’anni, col benestare di una politica interessata e consenziente, hanno operato un immiserimento delle classi lavoratrici. Abbassamento del potere d’acquisto, perdita di diritti sul posto di lavoro, facilitazione dei licenziamenti, precarizzazione e instabilità economica, disparità gerarchica, stagnazione delle carriere, azzeramento di garanzie, ferie, etc. La distruzione del welfare (sanità inaccessibile, istruzione superiore inaccessibile, annullamento delle misure contro la povertà estrema, immiserimento della tutela per madri e care-giver, restringimento delle pensioni, etc.). E, in generale, una consacrazione di ogni parte della vita e della società alle logiche del profitto di pochi esseri umani.
Distruggere questa economia dalle sue radici – le sue radici petrolifere, carbonifere, inquinanti – significa allo stesso tempo combattere le insostenibili eppure crescenti disuguaglianze sociali della nostra epoca, le spinte devastatrici e cannibaliche dell’anarchia di mercato e le derive barbariche alle quali tutto ciò sta portando.
Per questo, il GND è un manifesto ed AOC è il volto della trasformazione da esso intimata.
È un’uscita dal capitalismo nel senso in cui si tratta del colpo di grazia alla logica dello sfruttamento degli esseri umani e dell’ambiente. L’alternativa alle “zero emissioni” non è solamente il lungo perpetuare di questa situazione già eccessivamente apocalittica e degradante. Ma è l’arrivo tempestivo di nuovi, disastrosi problemi che non siamo pronti ad affrontare, che nessuna comunità umana sarebbe mai stata o sarà mai in grado di affrontare. Parliamo di migrazioni e guerre climatiche, moltiplicazione dei cataclismi naturali fino alla distruzione di interi territori e città, ricorso disperato e incosciente a tecnologie di geoingegneria, che non farà che devastare ulteriormente la biosfera e i suoi ritmi…
Alexandria Ocasio-Cortez è il volto di una politica di tempi duri, durissimi, che tuttavia tenta di ascoltare, da un lato, le teorie della scienza climatica e di chi ci spinge a un’urgente consapevolezza. Ma dall’altro, soprattutto, alla voce di quella stragrande maggioranza della comunità, disperata nel dover continuare a subire un saccheggio materiale, civile e psicologico solo per continuare ad alimentare l’insaziabile ricchezza di qualcuno.
La AOC argomentatrice
Nei suoi interventi in parlamento, AOC ha messo alle strette i rappresentanti delle Big Tech statunitensi. I politici paladini di un sistema patriarcale e i capibranco delle più importanti banche d’investimento, le quali, colpevoli di aver generato la disastrosa crisi dei mutui subprime del 2008/2009, non hanno visto tuttavia nessuno dei veri responsabili condannato per le loro azioni. Responsabili che, come messo in luce da AOC, hanno continuato, come niente fosse, ad operare come prima, senza che le loro amicizie a Washington D.C. battessero ciglio.
Di fronte a Zuckerberg e agli amministratori delegati delle più grandi banche americane, lo stile argomentativo e retorico di AOC si è rivelato un aspetto caratteristico e centrale della sua azione pubblica e politica. A tal proposito, Daniela Fabbri ha operato un’analisi accurata per individuare i tratti fondamentali di un atteggiamento comunicativo così familiare al linguaggio popolare e, tuttavia, fortemente improntato sul fact-checking e sull’affermazione di un rigore della linea politica.
Egualmente lontana da un modo di porsi svalutabile come “giovanile” e da una pragmatica comunicativa “rivoluzionaria” tradizionale, AOC mantiene un tono informale e diretto. Né sguaiato né sostenuto, né inappropriato né “politichese”. Fabbri parla di “disintermediazione”, e sicuramente questa marca comunicativa riguarda sia la forma che il contenuto.
Le sue linee tematiche si muovono essenzialmente nel raggio del cambiamento climatico e delle disuguaglianze sociali. Pur sconfinando, spesso e volentieri, nei grandi temi della politica sandersiana. Salario minimo, istruzione gratuita, Medicare for All, etc. L’affermazione di un “noi” al di sopra dei singoli “io” e la riaffermazione dell’interesse popolare al di sopra degli interessi privati, sono l’area di senso in cui si colloca ogni battaglia politica di AOC. Per cui ogni pretesa di diritti ed istanza di uguaglianza fa capo al coraggio del contesto democratico di collocarsi al di sopra del potere non democratico del mercato e dei suoi interessi.
Le battaglie – dal climate change al Medicare – riguardano un “noi” proprio perché, per il loro stesso essere poste, stanno facendo un passo al di là dell’individualismo del profitto. Verso una ricucitura effettiva tra potere e società, che si manifesta innanzitutto nell’imporre soluzioni per i disastri del sistema ai danni degli ultimi.
Pop AOC
L’elemento comunicativo più interessante e più caratteristico della personalità politica di AOC, che di certo è servito a renderla famosa e ben voluta a livello globale, al di là di ogni precedente aspettativa, è di certo l’utilizzo efficace dei social network.
La congresswoman si pone genuinamente come una figura “pop”, senza tuttavia scadere nella mercificazione e nell’appiattimento culturale. L’utilizzo di piattaforme come Instagram e Twitter l’ha resa un polo d’attrazione comunicativo incredibilmente forte. Tanto che non sembra affatto casuale l’eccessivo – ed altrimenti ingiustificato – accanimento dei media di destra ed estrema destra statunitense (Fox News, tra gli altri) contro la sua persona. Ogni intervento pubblico di AOC dà l’occasione ai giornalisti e agli opinionisti conservatori di ridurre la newyorkese ad icona dei mali del mondo. Spesso ridicolizzando la sua linea come “ribellione di gioventù”, ma anche attraverso attacchi sessisti e razzisti.
Insomma, il suo modo di parlare è spigliato e audace, nel modo più entusiastico e facilmente comprensibile, con contenuti diretti ai punti dolenti del sistema e ai responsabili di esso. Riesce ad attirare con impressionante rapidità grandi comunità di sostenitori e moltissime voci critiche. Eccezion fatta per gli attacchi meschini e personali, la critica sembra orientarsi prevalentemente alle supposte modalità “populiste” di comunicazione e alla supposta “inesperienza” o “dilettantismo” di AOC.
Tenendo conto che l’intero sistema “liberal” è messo sotto attacco dal socialismo democratico, non sorprende come non siano solo i repubblicani e i trumpiani a vedersi accusare della formazione e difesa di un sistema politico e socio-economico insostenibile e ingiusto, ma anche i “centristi”, per i quali tutto dovrebbe continuare essenzialmente così, i “moderati”, che condividono con Trump e compagnia l’amore per un sistema di libero mercato e disparità sociali, pur sentendosi di attutire l’apologia sostenendo i matrimoni omosessuali e la libertà di culto. Nei temi essenziali (diseguaglianze, prevalenza del pubblico sul profitto, creazione di una società di uguali, etc.) non parrebbe cambiare molto, agli occhi del socialismo democratico, tra centrismo liberale moderato e conservatorismo efferato. La conservazione di un mondo ingiusto “così com’è”, attraverso tutti i mezzi disponibili, silenziosi a disastrosi, è al primo posto nei programmi di entrambi.
Una Politica, non un politico
AOC è un politico, e in quanto tale, probabilmente, sbaglierà, cambierà e ci deluderà. Quello che questo articolo vuole mostrare, tuttavia, è che a prescindere dai volti del progressismo, ciò che resta e ciò che conta sono le ragioni stesse del progresso. E non si tratta, come da tradizione, della visione di una storia fatta di “distruzione creativa” e avanzamento dei vizi antropocentrici ai danni del mondo.
Il socialismo democratico si è sviluppato negli USA per l’assenza, in quella politica, di una precedente storia socialista, di cui l’Europa ha purtroppo già raccolto i frutti più marci e deludenti. Si tratta pertanto di un’ideologia giovane e sensibile all’attuale. Che chiede di espandersi nel Vecchio Mondo insieme alla seria speranza, in esso contenuta, che le democrazie prendano consapevolezza del collasso, e si riapproprino del potere di decidere su ciò che è giusto per la società, per la natura e per la democrazia stessa.