AOC e le ragioni del socialismo democratico (parte I)

Alexandria Ocasio-Cortez (AOC) può rappresentare la personalità politica in grado di farci fare il salto al di là del muro

Abbiamo bisogno, dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che la nostra epoca ha un ruolo nella storia.

La ridicola debolezza del dibattito politico occidentale, ormai nemmeno più in grado di prendersi sul serio. La piena adesione delle classi giornalistiche e intellettuali alle retoriche dell’establishment. L’affermazione di un imperativo economico, quello del profitto, che è stato ormai capace di mettere in questione anche le più basilari conquiste dello stato sociale. Sono tutti aspetti fondamentali di quella che qualcuno, in un eccesso sentimentale, ha definito come una “nuova era oscura”. Ma che a noi – la nuova politica progressista, l’attivismo giovanile, gli oppressi e gli sconfitti dal capitalismo contemporaneo – piace riconoscere semplicemente come “nuova era reazionaria”.

C’è stato chi, del tutto o per nulla entusiasticamente, ha parlato della nostra come di un’epoca alla “fine della storia”. Ciò non significa altro che il riconoscimento dell’affermazione della democrazia liberale (europeo-americana) come modello universale e incontestato di governo. Non c’è più un dibattito politico reale, alla fine della storia. Non c’è nemmeno il comune sentire di una dialettica tra “sistema” e “anti-sistema”, tra “cultura” e “contro-cultura”. Dal momento che nelle società contemporanee, per via di cause tanto materiali quanto “spirituali”, è stata spenta ogni possibilità di concepire una divergenza e di formulare ideologie ­– ormai demonizzate in quanto tali.

Alexandria Ocasio-Cortez (AOC) può rappresentare la personalità politica in grado di farci fare il salto al di là del muro che ci ostruisce la vista. La tipologia umana in grado di rimetterci al passo con la storia – una storia di progressi e di conquiste ­– e di tirarci fuori dall’incubo di questo eterno presente anti-sociale.

AOC come tipologia umana

Parlare di AOC come “personalità politica” e “tipologia umana” è dovuto essenzialmente a due ragioni.

La prima è che ovviamente non abbiamo intenzione di vedere nella persona di Alexandria una sorta di Messia in grado di porre fine alle nostre sofferenze mondane. Nel caso di AOC, si tratta generalmente di un modello di lotta sociale ed attivismo politico che, in quanto tale, e quindi al di fuori del singolo individuo e delle specifiche idee, può e deve avere successo nella lotta ad un sistema rappresentato dal suo esatto antagonista logico: la conservazione di un sistema di sfruttamento umano e naturale.

La seconda ragione è invece relativa al modo in cui ci piace intendere la persona stessa di Alexandria Ocasio-Cortez. Molto è stato scritto sulle umili origini portoricane e newyorkesi di AOC, sulla sua lotta popolare e “dal basso” contro i politici delle corporation miliardarie, interessati nel perpetuarsi della nuova era reazionaria. Molto è stato detto anche sul suo status etnico e di genere, che l’ha portata continuamente a essere bersaglio dei commenti misogini e razzisti dell’estrema destra mediatica e politica. Passando ovviamente per i soliti, meschini pareri del presidente Donald Trump.

A noi interessa, tuttavia, tentare di esulare il più possibile dai dettagli d’origine e d’identità della figura di AOC. E questo proprio per nobilitare la lotta di Alexandria e degli altri socialisti democratici americani contro le discriminazioni e le ingiustizie legate all’origine e all’identità. In breve, si tratta di far fare al socialismo democratico un passo all’interno della storia. Non si tratta “semplicemente” dei deplorevoli soprusi occasionali verso le minoranze etniche, le donne e le costellazioni identitarie. Non si tratta solamente di una lotta di AOC per la “sua gente”, di Ilhan Omar per i musulmani statunitensi, di Cori Bush per gli afroamericani o di Ayanna Pressley per i diritti delle donne. Si tratta piuttosto di una lotta al sistema e al sistema tutto.

I punti

Riguardo ai diritti sociali, ci si muove sul piano dell’”intersezionalità”. «Non è più possibile pensare al genere come a una categoria isolata, perché è inevitabilmente interconnessa ad altre categorie sociali come l’etnia e la classe», spiega il sociologo Jeff Hearn.

Sul piano economico – che ci spingiamo ad intendere come quello fondamentale – si associa il dibattito sulle disuguaglianze di reddito e patrimonio a quello sul cambiamento climatico, a quello sulla regolamentazione degli spazi digitali, a quello sui diritti sanitari universali, etc. Al cuore di questi e di molti altri problemi del mondo moderno, infatti, c’è un modello economico, quello neoliberista. Modello che, nel professare ipocritamente la “libertà economica”, garantisce piuttosto l’ingigantimento dei monopoli privati, la concentrazione della ricchezza e dei diritti politici e legali nelle mani dell’1% più privilegiato della società, lo sfruttamento delle classi sociali più basse e delle regioni più povere del mondo. Non da ultimo, come vedremo in seguito, lo sfruttamento suicida e incontrollato della natura e degli esseri viventi.

Tutto ciò è una lotta storica, una guerra allo status quo. Non una continuazione di battaglie passate, ma la nuova coscienza di un mondo digitale, globalizzato e febbricitante. Un mondo che pena da quarant’anni sotto i colpi di una finanza al di là della legge, capace di creare crisi e arricchirsi sulle spalle dei molti senza poi pagare il conto. Di petrolieri, giganti dell’agricoltura industriale e magnati dei trasporti che inquinano il mondo a fini di profitto e non si curano delle conseguenze umane e biologiche. Dei politici incompetenti, privi di ideali e asserviti alle leggi di mercato, che sono utili solamente a dare una facciata democratica ai meccanismi reali che muovono il mondo – intollerabilmente cinici e del tutto anti-democratici.

Il socialismo democratico

AOC

Si può dare un nome a tutto questo? Si possono dare delle coordinate a quella politica di dissenso e rifondazione statunitense che, a partire dall’ormai mitologica figura di Bernie Sanders, rappresenta una vera spina nel fianco dell’establishment politico liberale e corrotto (omogeneamente democratico e repubblicano), e che è in grado di avere un’eco rivoluzionaria nel Vecchio Mondo, esprimendo un ideale universale di affermazione democratica e riscatto sociale?

Il nome di tutto ciò, a sentire gli stessi Sanders e Ocasio-Cortez, pare essere quello di “socialismo democratico”. L’aggettivo “democratico” è utile innanzitutto, nell’opinione dei suoi seguaci, per distinguersi dal socialismo totalitario e dalla sua centralizzazione autoritaria del potere. Ovviamente, in questa lettura, è presente il pregiudizio statunitense nei confronti della nozione stessa di “socialismo”, velocemente e superficialmente associata alla dittatura staliniana. Tuttavia, a prescindere dalla debolezza di certe adozioni storiche, la “democrazia” di questo “socialismo” intende affermare il diritto all’uguaglianza di tutti nel rispetto del governo pubblico e dei diritti fondamentali e inviolabili affermati dalla modernità occidentale.

C’è bisogno, tuttavia, di ulteriori interpretazioni, delle quali il redattore di questo articolo si assume la piena responsabilità. La dottrina economica del francese Thomas Piketty, incentrata su un calcolo statistico puntuale della storia delle disuguaglianze economiche globali, offre nella formulazione di un “socialismo partecipativo” il progetto di un’uscita rivoluzionaria e democratica da un sistema politico-economico che, come è osservabile, è orientato allo sfruttamento economico da parte dei pochi sui molti. In realtà il lavoro scientifico di Piketty è molto neutrale nello svolgimento, “obiettivo” nelle premesse e “moderato” nelle conclusioni. È tuttavia possibile individuare in queste e in molte altre ricerche di economisti a lui affini il motore assertivo del socialismo democratico. Ovvero la povertà, espressione estrema ma comune delle disuguaglianze, è un effetto diretto e inequivocabile, nelle sue manifestazioni contemporanee, di un sistema economico-politico incapace di garantire un’uguaglianza sostanziale.

L’uscita da un sistema del genere non comporta semplicemente un progetto di riforme più o meno in continuità con esso. Ma l’uscita sostenibile e partecipativa dal paradigma di produzione, distribuzione e governance capitalista.

Fuori dal capitalismo

Quest’ultimo punto, quello dell’uscita dal capitalismo, è ciò che distingue il socialismo democratico dalla “socialdemocrazia”. Quel modello politico nel quale, almeno formalmente, vive attualmente una parte importante degli stati europei, e in cui non è contemplata l’uscita dal modello capitalista, pur affermando principi di carattere sociale nello sviluppo di uno welfare state o di un diritto dei lavoratori.

Sanders e i suoi seguaci tendono a prendere a modello le socialdemocrazie europee – in particolar modo quelle scandinave. Ma è comunque possibile osservare come lo spirito propriamente “rivoluzionario” che caratterizza il socialismo statunitense (e non i partiti socialdemocratici europei) sia più o meno coscientemente legato ad una consapevolezza dell’impossibilità di affermare i pari diritti e la democrazia sostanziale all’interno di un modello economico basato sul profitto.

Proprio a partire dal tema dell’”uscita dal capitalismo”, nella seconda parte di questo articolo stringeremo il discorso sul “socialismo democratico” intorno alla figura AOC.


FONTI

T. Piketty, Capitale e ideologia, La nave di Teseo, Milano, 2020

 

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