La Freccia Azzurra film

Guardare “La Freccia Azzurra” per riscoprire Gianni Rodari

Quando La Freccia Azzurra uscì per la prima volta era il 1996 e fu una novità per il cinema d’animazione italiano. Il film, basato su una delle fiabe di maggior successo di Gianni Rodari, raccontava di un gruppo di giocattoli in fuga dalla bottega della Befana; e riuscì a farlo con uno stile piuttosto particolare, che si guadagnò diverse attenzioni anche all’estero. In occasione dei festeggiamenti per il centenario della nascita di Rodari, in questi giorni La Freccia Azzurra è di ritorno nei cinema in versione restaurata 2K. Ed è un’ottima opportunità per riscoprire una storia che sembra quasi più attuale oggi di quando fu scritta.

Di cosa parla La Freccia Azzurra?

La Freccia Azzurra è una fiaba natalizia un po’ fuori dagli schemi. Rodari la inventò nel 1954, all’inizio della sua carriera di scrittore di romanzi, racconti, filastrocche per bambini, per cui nel 1970 vinse anche un Premio Andersen, il più importante riconoscimento per la letteratura per l’infanzia. Era il secondo dopoguerra, periodo di pieno boom economico, quando il consumismo iniziava a prendere piede, acuendo anche le disuguaglianze sociali.

La sua Befana, perciò, è tutt’altro che una vecchina buona che porta doni ai bambini. La Befana di Rodari si crede “quasi una Baronessa”, bistratta la sua aiutante maldestra e i doni li porta per guadagno, mica per magnanimità. La Befana di Rodari è una specie di stratega del visual merchandising. Nel suo negozio – ebbene sì, la Befana ha un negozio – i giocattoli vengono esposti con la cura necessaria ad attrarre l’attenzione su quelli che potrebbero fruttare di più. Così che, nell’arco dei mesi che trascorrono da un’Epifania all’altra, i bambini del paese hanno tutto il tempo di appiccicare i propri nasi sulla vetrina, adocchiare il loro giocattolo preferito, e chiedere ai genitori di riferirlo alla Befana.

Il problema però è che quest’ultima accontenta soltanto chi può permettersi di pagare in anticipo. Per tutti gli altri bambini l’Epifania non riserva sorprese. Tra loro c’è anche Francesco, che ha dieci anni, è orfano di padre e se non va a scuola, lavora. Il giocattolo preferito di Francesco è la Freccia Azzurra, un trenino elettrico tutto azzurro. E quando la Befana infrange il suo desiderio liquidandolo alla svelta, i giocattoli in vetrina decidono di fuggire tutti insieme per andare a casa sua e farlo felice. Tuttavia, tappa dopo tappa del loro viaggio rocambolesco, i giocattoli capiscono di poter far felici molti altri bambini, oltre a Francesco.

La Freccia Azzurra film

Cosa ha di speciale La Freccia Azzurra

Chi almeno una volta ha letto La Freccia Azzurra avrà probabilmente conservato un’immagine mentale dei personaggi molto simile alle illustrazioni che ne accompagnano il testo, e che cambiano di edizione in edizione. Ma c’è anche chi se li figura come i disegni della trasposizione cinematografica degli anni Novanta.

La Freccia Azzurra è un film dallo stile visivo abbastanza singolare: colori pastello e figure molto semplici ma non meno umane di quelle dei cartoni disneyani o giapponesi. Il regista Enzo D’Alò e lo studio di produzione Lanterna Magica – all’epoca entrambi al loro primo lungometraggio animato, seguito poi da La gabbianella e il gatto – crearono un film significativo per il cinema italiano.

Il progetto durò cinque anni e coinvolse Lella Costa e Dario Fo al doppiaggio, mentre Paolo Conte compose la colonna sonora. La Freccia Azzurra fu il primo lungometraggio d’animazione in Italia a utilizzare effetti speciali e riprese digitali, nonché uno dei pochi a ritagliarsi un discreto successo internazionale. Nei paesi anglofoni il film fu distribuito da Disney con il titolo How the Toys Saved Christmas, riadattando la Befana ad aiutante di Babbo Natale. Inoltre vinse un David di Donatello e due Nastri d’argento.

La particolarità principale del film però giunge dalla scrittura di Rodari, che non edulcora il risvolto sociale della fiaba, sovrapponendo realtà e immaginazione.

Le fiabe di Rodari prendono situazioni e personaggi molto confortevoli e familiari per i bambini, per poi collocarli nel mondo reale e trattare questioni attuali. Da personaggio “magico” del folklore italiano, la Befana viene così umanizzata: per sopravvivere si adegua al periodo storico di industrializzazione e consumismo. Anche i giocattoli subiscono un processo simile: Rodari applica un meccanismo di gioco tipico dell’infanzia – chi non ha mai fatto parlare i propri pupazzi? – ma facendoli ribellare dà loro il compito di colmare un’ingiustizia sociale.

Perché il film non è proprio uguale al libro

Rodari insomma fece confluire i suoi trascorsi di giornalista politico nel suo passato di bambino che leggeva libri mangiando pane e cioccolata accovacciato nelle ceste del padre fornaio. Lui stesso disse che

La fiaba è un modo di entrare nella realtà, anziché dalla porta, dal tetto, dal camino, dalla finestra.

Il suo stile semplice – ma non semplicistico – e il sottile umorismo che rende la realtà più digeribile si ritrovano nel film. Ma lo stesso non si può osservare con i temi sociali. O almeno, non del tutto. La Befana non è più il simbolo del capitalismo. Al suo posto c’è il malvagio e goffo dottor Scarafoni, che la fa ammalare apposta per poi distribuire giochi in cambio di denaro. I giocattoli restano invece simbolo di democrazia egualitaria, che ristabiliscono cooperando tra loro, sebbene manchi un personaggio fondamentale.

Nel film non c’è la Bambola Nera, che rappresenta quanto il pensiero di Rodari fosse avanti per l’epoca in cui scriveva. Non solo la Bambola Nera ha un debole per l’aviatore Pilota Seduto, che la ricambia (“Perché? Cos’hai contro di lei?” dice allo scettico Capitano Mezzabarba); ma i due decidono accasarsi nella stanza di una bambina (“Gli aeroplani sono forse adatti soltanto per gli uomini? Al giorno d’oggi le donne volano nel cosmo tanto quanto i signori maschi”). Questa tappa del libro viene anzi sostituita nel film da una scena che un po’ smentisce il suo messaggio antisessista: il Capitano Mezzabarba finisce con la sua barca nelle grinfie di una bambina che lo imbelletta come una bambola, e una volta fuggito trova il compagno perfetto in un bambino.

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Per quanto sia un adattamento piuttosto fedele, La Freccia Azzurra resta comunque un film liberamente ispirato al libro di Rodari. E pur alleggeriti, i temi di cui parla continuano a essere sorprendentemente attuali.

Il suo ritorno nei cinema in versione restaurata (quella originale si può trovare su RaiPlay) è un progetto di Alice nella Città, sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma dedicata alle giovani generazioni, con il sostegno di SIAE, e in collaborazione con Lanterna Magica, CSC – Cineteca Nazionale e Biblioteche di Roma. Si tratta soltanto di una delle tante iniziative previste nel corso del 2020 per festeggiare i cento anni dalla nascita di Rodari. Tutte ottime occasioni per riscoprire tanto le sue opere quanto le altre loro trasposizioni artistiche, come il film sovietico Cipollino (1961) o La torta in cielo (1972), con la voce di Paolo Villaggio. Con consapevolezza adulta, infatti, si coglie ancora meglio la straordinaria lungimiranza di Gianni Rodari.


 

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