Come la pandemia consapevolizza l’uomo e l’artista

Speravamo di cavarcela con qualche mese di sacrifici, pane fatto in casa e andrà tutto bene, ed ecco che invece aleggia l’ombra oscura di un nuovo lockdown. Pensavamo che la pandemia ci fortificasse, che ci rendesse persone migliori, più solidali e altruiste verso il prossimo. Ed ecco che quando la situazione si allenta un attimo, subito gli egoismi pervadono i nostri comportamenti, e quando la situazione si indurisce, ciascuno non pensa ad altro che a tirare acqua al proprio mulino, come si suole dire.

Pensieri divergenti e autoconsapevolezza
Miniatura di XV secolo, malato di peste nera

C’è chi, correttamente, ritiene che dovremo imparare a convivere con il nuovo Coronavirus e chi invece si dispera. Chi  parla di distanziamento sociale quando dovrebbe dire distanziamento fisico (dal momento che il metro di distanza non ci impedisce di socializzare).

Certo è che la pandemia – ormai è banale dirlo –  ci sta mettendo alla prova. Ci costringe a rivalutare non solo il nostro stile di vita, ma perfino il nostro stesso modo di pensare, il nostro rapporto con l’informazione, con la scienza e con gli altri.

Come si comportò Milano nel XVI secolo?

Eppure, nonostante tutto appaia così catastrofico, in un 2020 che non vediamo l’ora finisca presto, la storia non smette mai di ricordare le immense sfide che l’uomo ha dovuto affrontare in passato.  Rispetto a queste, la pandemia di Coronavirus attuale sarebbe una passeggiata.

Pensiamo a Milano, che verso la fine del XV secolo si trovò costretta ad affrontare contemporaneamente tre epidemie di tre malattie differenti. Le soluzioni adottate? Isolamento dei malati, coprifuoco serale, seppellimento dei morti fuori dalla città – come sempre avveniva del resto- affidamento a Dio. Eppure i commerci continuavano, eccome se continuavano, semplicemente isolando e differenziando quelle merci che si pensava potessero essere veicolo delle malattie. 

Cosa ne sarà del mondo dell’arte e della cultura?

Anche la vita culturale continuava, eccome se continuava, e parimenti quella artistica. A tal proposito: cosa ne sarà del mondo artistico? Quali sono gli effetti che la pandemia ha avuto sul mondo dell’arte e che avrà sulle coscienze delle nuove generazioni di artisti?

Eugene Atget, Rue de la Montagne-Sainte-Geneviève, 1924

Non occorre sottolineare il contraccolpo economico che la situazione emergenziale ha avuto e sta avendo sul mondo della cultura, specie in quello artistico e tutto ciò che riguarda il settore turistico a esso affine. Sicuramente non bastano i tre miliardi di euro stanziati dal MiBACT a supporto della attività culturali e del turismo per risollevare un settore, come tanti altri, falcidiato da una crisi globale.

Soprattutto se questo vive della mobilità delle persone, della loro interazione e del rapporto tra loro e lo spazio urbano, costituito da quelle magnifiche piazze che abbiamo visto svuotarsi nei mesi più duri della pandemia. Un po’ come le piazze senza volti di un De Chirico o le vie spettrali delle fotografie parigine di Eugene Atget.

L’arte che sostiene l’economia di un Paese

Non dimentichiamoci infatti che l’esperienza artistica, come ogni esperienza umana, è un’esperienza di incontro con l’altro. Per altro s’intende ciò che è altro da me, ma che può diventare parte di me. Quindi un’altra cultura, un’altra civiltà, altre persone.

Il teatro alla Scala in una litografia del 1850

E non dimentichiamoci che ogni mostra di prestigio cancellata, ogni città messa in lockdown provocano la perdita di un intero indotto turistico. Questo è fatto di ristorazione, trasporti, servizi di alloggio e molto altro, che costituiscono una delle principali fonti di entrate, reddito e occupazione del nostro Paese. 

Insomma, parlare di arte in senso lato non significa rivolgersi solo all’intrattenimento comico. E la politica, che dovrebbe essere per definizione lungimirante, sembra ignorare come l’attività artistica sia un fattore preponderante dell’attrattività di un Paese.

Pensiamo alla storia del teatro d’opera. Tra il XVIII e il XIX secolo il melodramma divenne uno dei generi di spettacolo più apprezzati della nostra cultura. Gli intellettuali, i critici e chi se lo poteva permettere soggiornavano per giorni in città come Venezia, Roma o Napoli. Assistevano alle opere liriche dei più importanti compositori dell’epoca, cogliendo l’occasione per visitare le città.

Il ruolo dell’arte come riflesso della società
Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del cattivo governo (1338-1339), affresco parete sinistra della Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena

Non solo, l’arte è anche il motore spirituale di una società. In nessuna comunità del mondo, dalla più tecnologica a quella meno sviluppata, l’attività artistica manca. Ci sarà un motivo. Forse perché è nell’arte che una società riversa i moti spirituali e valoriali che la pervadono, i dubbi e le incertezze che la assalgono, la gioia e la prosperità che la investono. 

Non si sta dicendo che “la bellezza salverà il mondo”, come scrisse felicemente Dostoevskij, ma che forse possa servire a ricucire l’animo umano, quello sì. L’essere umano si nutre anche d’arte e di bellezza, nella misura in cui conferisce un significato a ogni azione che compie ed esperienza che vive.

Il gesto artistico per scoprire sé stessi

Qui che inizia la civiltà e quel senso religioso che ciascuno si porta dentro. È nell’arte e nella bellezza che l’uomo cerca di raggiungere Dio, oppure di conoscere se stesso. Ancora una volta il gesto artistico è un gesto di riflessione, ossia un gesto di ripiegamento interiore alla scoperta di sé, per poi portare alla luce tutto quel “sottosuolo”, come lo chiamava sempre Dostoevskij, che implode dall’interno.

William Turner, Battello a vapore al largo di Harbour’s Mouth, 1842, Olio su tela, Tate Britain (Londra) 

A questo punto, osservando l’altra faccia della medaglia, un evento sconvolgente come una pandemia, figurato nella dimensione artistica, può essere letto anche come un’opportunità. Quella di un’intera società per leggersi dentro. Così qualsiasi fenomeno dirompente può trovare ordine e controllo nella bellezza dell’arte.

Trasformare il dolore in bellezza

È questo il miracolo del gesto artistico: trasformare il dolore in bellezza. Pensiamo a un evento disastroso, come può essere una tempesta. Immaginiamoci di trovarci nel bel mezzo di essa, al largo della costa, senza poter ricevere aiuto. Una situazione certamente spaventosa.

Eppure, quando noi vediamo la tempesta rappresentata in un dipinto, non possiamo fare altro che ammirare la bellezza di quelle onde sinuose, l’armonia dei passaggi tonali, il volume delle nubi minacciose. Tutto lo sgomento è stato ricomposto nell’ordine del quadro, l’evento a cui siamo di fronte è sotto il nostro controllo.

Questo meccanismo estetico è alla base del più primordiale gesto artistico ed è un meccanismo che ben compresero i pittori e i poeti romantici. Trovare bellezza nell’orrido, nello spaventoso, nel sublime come evento che pone l’uomo di fronte alla sua condizione di precarietà. 

Giacomo Borlone de Buschis, Trionfo della morte, 1485 ca., affresco dell’oratorio dei Discplini, Clusone (Bg)
La paura e l’incertezza del futuro come stimolo artistico

Tutto questo sottolinea come la sensibilità artistica non muore nella crisi economica, né in una pandemia, poiché si nutre di qualsiasi esperienza, dalla peggiore alla migliore. Anzi, tanto più sconvolgente è un evento, tanto più quello resta inciso nella sensibilità artistica degli individui. Questi contribuiscono a costruire lo specchio artistico entro cui una società si riflette nelle sue complessità. 

Così oggi, rileggendo i grandi cicli di affreschi del passato, come le celebri rappresentazioni del Trionfo della morte, ammiriamo quei capolavori apprezzandone le qualità artistiche e il pregio tecnico. Ci dimentichiamo però spesso che essi nacquero proprio dal terrore delle malattie/epidemie (peste in primis) e dalla consapevolezza dell’incertezza del futuro.

Ecco perché alle nuove generazioni di artisti spetta ancora una volta il compito di fornire alla società gli strumenti per riflettere su sé stessa, a maggior ragione in questo momento. E la politica invece, quando tutto questo sarà finito, dovrà rivalutare il ruolo civile dell’arte, tanto come mondo produttivo, quanto come riflesso spirituale della società. 


FONTI

E. Surian, Manuale di Storia della Musica, Vol. II, Cap. 19, ed. Rugginenti

Fëdor M. Dostoevskij, Memorie dal Sottosuolo

MiBACT

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