Elefanti, api e contadini: cosa nasce quando uomo e natura collaborano

Pensando all’Africa, la maggior parte delle persone non può che prefigurarsi davanti agli occhi quegli spazi selvaggi, incontaminati e ricchi di flora e di fauna che l’immaginario comune e la tradizione cinematografica hanno da tempo cercato di trasmettere al mondo, rendendo questa terra uno degli ultimi baluardi sul pianeta in cui l’istintivo e primordiale contatto tra uomo e natura non sia ancora stato eroso via dall’era industrializzata.

La coesistenza tra animali e uomini non è però sempre facile e scontata come si potrebbe pensare. Il regime di vita e i bisogni degli uni e degli altri vengono spesso a incrociarsi e, talvolta, a scontrarsi, dando origine a difficoltà da non sottovalutare.

Un rapporto che nel tempo, con l’espandersi dei campi coltivati causato dall’aumento della popolazione, si è trasformato in fonte di conflitti è stato quello che lega uomo ed elefante. L’elefante africano è infatti il mammifero più grosso esistente e vive nelle foreste e savane sub-sahariane, rimanendo ancora oggi un bottino prezioso per tutti i bracconieri che intendono ricavare dalla vendita delle zanne d’avorio di questi animali ingenti somme di denaro. Oltre al problema del bracconaggio, negli ultimi anni la tranquilla sopravvivenza di questa specie si è vista intaccata anche dal malcontento che ha investito molti contadini e abitanti delle zone africane in cui gli elefanti sono soliti spostarsi: i branchi, infatti, devastano i campi coltivati, i canali e ogni struttura costruita dall’uomo, persino le case, in cerca di cibo e di acqua.

Lucy King, zoologa, ha dedicato la sua vita a studiare questi incredibili e curiosi animali per comprendere tanto i loro comportamenti quanto i modi migliori necessari a proteggerli. Con diverse ricerche sul campo è emerso che esiste qualcosa di molto più efficace delle attuali divisioni create dall’uomo per dividere le zone delle comunità da quelle in cui gli elefanti possono vagare senza il rischio di distruggere qualche villaggio lungo il percorso. Le vecchie recinzioni elettrificate si sono in effetti rivelate inutili e non sono bastate a tenere alla larga i pachidermi poiché, oltre a risultare insufficientemente forti a trattenerli, si sono dimostrate un dispositivo scomodo e pericoloso per entrambi i protagonisti, umani e non.

L’elemento chiave, secondo King, sarebbero le api. Queste instancabili lavoratrici potrebbero infatti fungere da “campanello d’allarme” ai pachidermi in cerca di cibo. Ma come?

Grazie alla conoscenza dei contadini delle zone colpite, si è visto che gli alberi in cui le api africane costruiscono il loro alveare non vengono toccati dagli elefanti. Una casualità? Assolutamente no. Nel momento in cui un elefante cerca di trarre di che nutrirsi da un albero abitato da api, disturbandole, queste attaccano l’animale e i due centimetri di spessore della loro dura pelle non basta a proteggerli: la puntura di una sola ape rilascia ferormoni che hanno la funzione di richiamare tutte le altre compagne e, così, l’elefante si ritrova ricoperto da migliaia di insetti che puntano dritto alle zone umide del suo corpo come orecchie, bocca e occhi. In questo modo, i pachidermi ricorderanno il luogo dove ciò è avvenuto e ne resteranno alla larga.

Come sfruttare allora questo metodo?

Il progetto a cui si sta lavorando consiste proprio nel rendere le vecchie recinzioni più innovative e non pericolose, in un certo senso più naturali. L’idea, che ha già iniziato a rivelarsi fruttuosa, è quella di fissare dei pali nelle zone da proteggere a circa dieci metri di distanza l’uno dall’altro, collegandoli tramite un filo di ferro e disponendo un certo numero di arnie vere alternate con arnie finte (per ridurre i costi) lungo il filo. Quando un elefante proverà a varcare la recinzione farà oscillare il filo che collega tutte le arnie e così scatenerà gli alveari che lo terranno lontano da quella zona, facendogli ricordare quali terre è meglio attraversare e quali no.

Tutto ciò è stato prima verificato riproducendo una situazione di attacco delle api sugli elefanti in modo “artificiale”: attraverso altoparlanti wireless si è riprodotto il suono di uno sciame disturbato presso il luogo di riposo di un branco di elefanti che non appena hanno avvertito il pericolo si sono immediatamente messi in allerta e ritirati, assicurandosi di proteggere soprattutto i piccoli, dalla pelle meno spessa. Una scoperta altrettanto curiosa è stata quella che durante la ritirata si sono percepiti, con i dovuti dispositivi, dei suoni infrasonici che gli stessi elefanti emettevano per comunicare tra loro, dimostrando chiaramente che, seppur difficile da comprendere, il linguaggio animale non solo esiste ma si rivela addirittura fondamentale nelle situazioni di pericolo come questa.

Un ulteriore risvolto positivo è stato l’effetto che le api hanno avuto sui raccolti circostanti. Questi insetti infatti sono melliferi e pertanto contribuiscono a impollinare molte coltivazioni dei contadini. Per questa ragione nelle zone coinvolte nel progetto si è deciso di sostituire le tipiche colture con altre a cui le api possano dare il loro apporto e che siano meno gradevoli agli elefanti come peperoncini, zenzero, girasoli e agave sisalana. Quest’ultimo prodotto, inoltre, è anche un’ottima fonte di tessuto che le contadine utilizzano per creare cesti e incrementare così le loro entrate con la vendita di questi.

Il miele ricavato dalle coltivazioni è anche il protagonista ecosostenibile di un progetto che punta a coinvolgere molte contadine africane e asiatiche nel lavoro dei campi aprendo loro uno spiraglio verso la via dell’indipendenza e non dimenticando che è esso stesso una risorsa per i locali che possono così ricavare qualche guadagno in più dalla sua vendita e usarlo come alternativa alla canna da zucchero, monopolio delle grandi aziende estere.

La coesistenza tra uomini e animali, in questo caso elefanti, è quindi non solo una speranza illusiva, ma una vera e propria realtà in atto. La competizione tra il mondo umano e animale per le risorse e lo spazio può avere quindi esiti inaspettati e piacevoli, proprio come si è visto con quest’iniziativa che è stata in grado di risolvere il conflitto e, anzi, di ricavare miglioramenti da una situazione inizialmente difficile e offrirgli un finale a dir poco dolce.

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