Che ne sarà della letteratura, con l’avvento della digitalizzazione? Una domanda frequente, questa, nell’uomo del XX secolo, dal momento in cui fa il suo ingresso nel mondo il primo computer programmabile della storia. Dalla metà del Novecento la tecnologia ha indubbiamente (s)travolto l’esistenza umana, relegando scartoffie e documenti cartacei nella dimensione di ricordi lontani e neanche tanto nostalgici. Ma se la burocrazia, alleggerita dall’intervento delle macchine, ha cessato di essere una seccatura, che ne è stato invece dei libri?
Questo articolo è la prima parte di un confronto interno alla sezione di Letteratura su vantaggi e svantaggi della digitalizzazione nell’ambito della lettura.
La letteratura, mai come in questi anni, ha dovuto aggrapparsi al presente con tutti gli artigli di cui è provvista, pur di non essere travolta dall’ondata delle nuove tecnologie. Al giorno d’oggi, social network e televisione possono essere considerate a pieno titolo armi di distrazione di massa, la quale nella maggior parte dei casi preferisce trascorrere il proprio tempo libero navigando su Facebook, piuttosto che sfogliando le pagine di un romanzo. La letteratura, di conseguenza, ha dovuto ingegnarsi per stare al passo con i tempi, optando per metodi di fruizione alternativi. A tal proposito sono nate, nel corso di tutto il XXI secolo, numerosissime applicazioni funzionali alla lettura online – Kobo, Kindle, My Books – al fine, appunto, di avvicinare il maggior numero di lettori possibile al mondo delle lettere.
Parliamoci chiaro: nessun tablet, per quanto rapido ed efficiente, sarà mai in grado di sostituire il profumo tipico della carta stampata. Per non parlare, poi, – e qui il popolo dei lettori si dividerà – della bellezza insita nel sottolineare le frasi più emozionanti del proprio libro preferito, o nel ”fare le orecchie” alle pagine più significative. Eppure, per quanto si possa essere restii a tale cambiamento, è innegabile che il digitale stia rapidamente sostituendo l’inchiostro. E di questo, anche i pochi inguaribili romantici rimasti, sostenitori delle lettere d’amore scritte a mano, dovranno farsene una ragione.
Google è il nemico di ogni scrittore, perché sta uccidendo l’immaginazione di tutti.
Joel Dicker
Joel Dicker, autore del successo mondiale La verità sul caso Harry Quebert, sostiene che il web stia letteralmente uccidendo l’immaginazione dell’uomo. Quante volte, magari durante una cena da amici, si utilizza Google per controllare una citazione, una definizione o una data? O ancora, si pensi ad un appuntamento organizzato, al quale la persona amata non si presenta. La situazione crea tensione e mistero, ma è sufficiente che l’altro avvisi del contrattempo con un messaggio per svelare l’enigma.
Ognuno di noi è concorde nel ritenere che il poter avvisare o essere avvisati in tempo reale dell’annullamento di un impegno sia da considerarsi un progresso. Come la tecnologia in generale è senza dubbio l’emblema dell’evoluzione della civiltà: essa consente di collegare persone distanti milioni di chilometri, e di trasmettere in tempo reale informazioni che, in sua assenza, giungerebbero con abbondante ritardo. Ma questa è soltanto una delle innumerevoli facce della tecnologia. Si pensi a quanto, ogni giorno, compaiano su Facebook o su qualsiasi altro social network fake news che la gente, tranquillamente, assorbe come vere. Oppure, ancora, a quanto l’uomo sui social network sia disposto a fornire un’immagine falsata di se stesso, attraverso foto ritoccate o contenuti non inediti.
Oggi esiste una terza dimensione, l’approvazione di sconosciuti sui social media. Se mi capita di vedere un tramonto, ecco l’istinto di fotografarlo. In sé non c’è niente di male, i telefonini oggi hanno obiettivi fantastici, le foto vengono benissimo, perché no. Il passaggio successivo è condividere quell’immagine, metterla su Instagram ma aggiungendo prima un filtro. Perché per quanto quel tramonto sia bello, non sarà mai bello abbastanza, bisogna comunque migliorarlo.
Questo modo angosciato di rapportarsi al giudizio degli altri, questa necessità di ottenere l’approvazione di sconosciuti, è una caratteristica inquietante della modernità. Nella maggior parte dei casi l’uomo nega di badare all’opinione altrui, rimarcando fieramente la propria individualità e trasparenza. Puntualmente, però, nei momenti di solitudine si ritrova a ritoccare una piccola imperfezione della pelle, o ad aggiungere un filtro alla foto del piatto di pasta mangiato a pranzo.
Una considerazione importante da fare, inoltre, riguarda il lockdown dovuto all’epidemia da Coronavirus, che il mondo intero ha da poco affrontato. E’ innegabile che la tecnologia abbia reso meno angosciante la clausura forzata nelle proprie abitazioni, aggiornando in tempo reale circa gli avvenimenti del mondo esterno e collegando parenti e amici. Fortunatamente oggi, dopo mesi passati su Zoom, le persone sembrano di nuovo alla ricerca del contatto fisico, più reale e meno virtuale. Ognuno di noi brama di frequentare gli amici di persona, di pranzare dalla nonna la domenica, di andare a teatro o al cinema; insomma, di poter tornare alla tanta agognata normalità. Ma è anche vero che questi mesi sono stati addirittura più virtuali del solito, e forse, inconsciamente, hanno reso l’uomo ancora più dipendente dalla tecnologia. Sinceramente parlando, chi, al giorno d’oggi, riuscirebbe a vivere senza telefono, computer e connessione internet?
In questo contesto, leggere un libro di 400 o più pagine diventa quasi un atto di ribellione contro i tempi dei social network. Una sorta di antidoto alla falsità del touch, di salvezza nei confronti di un desolante panorama umano, il cui unico valore sembra essere l’apparenza. Così pensata, la letteratura si configura davvero come l’unico espediente capace di riportare alla luce il ”vero io” di ciascun individuo, la polpa che si nasconde dentro il guscio delle foto postate su Instagram.
Credo davvero che la letteratura possa salvarci dall’abbrutimento. La lettura è ormai uno dei rari momenti in cui una persona può essere in pace con sé stessa, senza distrazioni. Non c’è bisogno di riservare tre ore al giorno ai libri, basta tenere un romanzo in tasca e dedicargli quei 15 minuti in coda alla posta o in attesa dal dentista, quel tempo che di solito si perde in scrolling nervosi sui social media. Tutti amano leggere, solo che alcuni ancora non lo sanno.
In un mondo in cui, ormai, le dita stringono più cellulari che mani, la letteratura diventa uno strumento per preservare l’umanità.
Stefano Montefiori, L’uso del web uccide il lavoro degli scrittori, Sette «Corriere della sera», 12/06/2020