Aiutare in ogni modo possibile soggetti in difficoltà, sensibilizzare su determinati argomenti di cui non tutti sono a conoscenza, è sicuramente cosa buona e giusta. L’attivismo, però, ha molte e varie sfaccettature, e nasconde non poche insidie. Lo si è visto molto bene con l’avvento del movimento antirazzista Black Lives Matter, che secondo alcuni ha portato alla luce un lato più nascosto di diverse star della musica. Ma analizziamone gli aspetti principali, con qualche esempio annesso.
La dubbia utilità dell’attivismo performativo
Il 2 giugno 2020 è scattata un’iniziativa su Instagram e Facebook chiamata Blackout Tuesday. In breve, è consistita nel pubblicare su questi social un quadrato interamente nero, con l’hashtag #blackouttuesday come didascalia, per non dimenticare le uccisioni di George Floyd, Ahmaud Arbery, e Breonna Taylor. Raccontata così, non sembra una cattiva idea: dopotutto, molti sono diventati più consapevoli di ciò che accade in America alle persone nere. I notiziari non sempre hanno riportato la realtà dei fatti, quindi perché non aiutarsi con internet?
Non ci è voluto molto, però, per far sì che il progetto divenisse un vero e proprio trend, insieme all’intero Black Lives Matter. Un esempio lampante di attivismo performativo è dato dall’ex star di Broadway e della serie tv Glee Lea Michele. L’attrice e cantante, infatti, dopo aver scritto un tweet in difesa dei diritti dei neri, è stata subito esposta dai suoi ex colleghi per il razzismo che manifestava esplicitamente sul set. L’attrice Samantha Ware dichiarerà in seguito, in un’intervista:
Sapevo dal primo giorno come sarebbe andata. Non c’è stato nulla di graduale: ha deciso subito che non le piacevo, era chiaro. Dopo il mio primo ciak, è cominciato tutto: silenzi, gli sguardi, i sussurri dietro le spalle e il comportamento passivo-aggressivo. Un’escalation continua.
Le accuse sono state appoggiate dal resto del cast, tra cui Amber Riley, che però ha – giustamente – preferito lasciar perdere i drammi inutili, concentrandosi sul sostenere le cause per cui combatte ormai da anni. Ciò non toglie, però, una cosa molto importante: i protagonisti del mondo dello spettacolo sono disposti a tutto per tenersi il proprio pubblico, anche se si tratta di fingere di sostenere dei semplici diritti umani.
Il particolare caso di Tyler Joseph
I Twenty One Pilots li abbiamo sempre conosciuti per il loro grande attivismo sulle malattie mentali. Sarà per questo, o per il fatto che il pubblico medio cerchi sempre di idealizzare chi ha davanti, ma sempre più ascoltatori del duo hanno cercato di convincere il cantante a utilizzare le proprie piattaforme social per sensibilizzare sulla questione Black Lives Matter. Il risultato? Tyler Joseph, esasperato dalle continue richieste, ha pubblicato una foto in cui indossava delle scarpe (con, attenzione, delle piattaforme alla base), vantandosene e praticamente prendendo in giro i fan.
Il messaggio dell’artista era molto semplice, in realtà: voleva dimostrare di non avere la forza mentale per fare ulteriore attivismo; il che ha perfettamente senso, se non fosse che in certi casi bisognerebbe tacere e basta. Tyler è stato (inconsapevolmente) irrispettoso, ma non c’è molto per cui biasimarlo: non si é mai espresso più di tanto riguardo al razzismo, quindi se avesse agito diversamente sarebbero state due le possibilità. O i fan lo avrebbero tacciato di grande ipocrisia, come la sopracitata Lea Michele, o lo avrebbero pressato per fare sempre di più (sensibilizzare su ancora più argomenti, donare a innumerevoli associazioni). Ciò non significa che non abbia sbagliato, anzi: a volte, come dicono, il silenzio è davvero d’oro.
Una nota positiva: Halsey
Di battaglie Halsey ne ha combattute tante: ha sempre ribadito l’importanza di riconoscere le malattie mentali come qualcosa che va curato (dato che, lei in primis, soffre di bipolarismo). Ha anche collaborato – e tuttora lo fa – con l’ex candidato alla presidenza americana Bernie Sanders. La cantante infatti non ha mai negato la sua ammirazione e il sostegno per Sanders, data la sua grande battaglia in difesa dei diritti fondamentali che appartengono a ogni essere umano (o almeno, dovrebbero).
Halsey si potrebbe ormai definire come una paladina dell’attivismo in favore dei più deboli: non ha mancato, infatti, in questi mesi, di sensibilizzare sul Black Lives Matter, la comunità LGBT (di cui lei stessa fa parte, in quanto bisessuale), e altre cause come l’immigrazione e la lotta contro le molestie sessuali. Ha anche preso parte a varie proteste negli ultimi mesi (come i suoi colleghi Yungblud e Billie Eilish), ponendosi in prima linea contro l’abuso di potere della polizia americana, prendendosi cura dei feriti e offrendo loro pronto soccorso.
Ovviamente, non è necessario che tutti siano come Halsey: quando si tratta di tematiche così delicate quanto importanti non conta essere fare l’impossibile, perché nessuno lo pretende. Attivismo non è necessariamente andare per strada e salvare vite. È fare qualcosa per rendere il mondo migliore, nel proprio piccolo, seguendo fermamente i propri ideali. Questo è un punto fondamentale, anche se poco considerato: bisogna sempre fare qualcosa con il cuore – altrimenti che attivismo sarebbe, se non mera carità? Se lo capissimo e lo facessimo ogni giorno, saremmo davvero tutti supereroi.