Dagli abissi oceanici a un’isola esotica. Dai misteri del mare ai pericoli di un’antica foresta. Dalle fauci di un gigantesco squalo bianco agli artigli sanguinari del velociraptor. Quando parliamo del genio di Steven Spielberg è difficile dimenticare due tra le sue opere meglio riuscite: Lo squalo e Jurassic Park.
Mondi lontani, epoche differenti, una sola macchina da presa. Rispettivamente realizzati nel 1975 e 1993 e basate sugli omonimi romanzi di Peter Benchley e Michael Crichton, i due film hanno saputo scrivere la storia della settima arte, affermandosi di diritto nel panorama cult in grado di sfuggire all’oblio del tempo. Due pellicole diverse, con presupposti differenti, ma caratterizzate da numerosi elementi comuni.
Il pericolo come costante
Steven Spielberg elabora due realizzazioni fondate sul brivido del pericolo mortale. Entrambe le pellicole pongono lo spettatore di fronte a un mostro; da un lato la voracità dello squalo bianco, dall’altro la ferocia dei famigerati dinosauri.
Pericoli che trascendono la comprensione dell’uomo, presentato nella sua costante inadeguatezza e impreparazione. Pericoli che costringono a prese di posizioni forti, a scelte difficili, ad azioni coraggiose. Azioni affidate ai ciechi tentativi di sopravvivenza di squadre create ad hoc.
Dream Team
Il concetto di squadra sembra permeare con forza la morale di Steven Spielberg. Il regista tende sempre a creare i presupposti per una sfida epica, tra la ferocia del mostro animale e l’uomo. Da un lato troviamo allora il poliziotto Martin Brody, affiancato dal lupo di mare Quint e dal biologo marino Martin Hooper. Dall’altro il paleontologo Alan Grant e la paleobotanica Ellie Sattler, parte di un più ampio gruppo di comprimari tra cui spiccano i due bambini Timothy e Alexis Murphy. Sebbene con presupposti differenti le due squadre si trovano nel bel mezzo di una lotta per la sopravvivenza, l’una a bordo del battello Orca, l’altra immersa nella vegetazione preistorica del Jurassic Park.
Una “mostruosa” regia
A condire e dare sapore a questa lotta è la magistrale regia del maestro della suspence. Sebbene separate da circa un ventennio, le due pellicole sono caratterizzate da una sequenza iniziale speculare. Steven Spielberg realizza infatti un immediato focus sul mostro, forza invisibile di cui nulla vediamo ad eccezione della prima vittima. Una regia magistrale che riesce ad accrescere l’ansia dello spettatore attraverso giochi di luce e inquadrature studiate nei minimi dettagli.
Memorabili sono le soggettive de Lo squalo, che ci consentono di guardare tra le onde con gli occhi della belva. Altrettanto geniali alcuni zoom sul professore Alan Grant il cui volto, inquadrato nella penombra, preannuncia l’imminente catastrofe. Un comparto tecnico spettacolare a cui si aggiungono le splendide colonne sonore composte dal solito John Williams. Melodie uniche che attraversano la storia del cinema, sottofondo capolavoro di frasi divenute iconiche.
Guarda, si muovono in branchi. Si muovono in branchi.
Lettera al futuro
La magnificenza di Steven Spielberg trascende tuttavia la dimensione cinematografica, facendo sì che entrambe le pellicole costringano lo spettatore ad un’importante riflessione sull’arroganza umana. Sebbene inseriti in contesti diversi, i protagonisti dei due film si ritrovano infatti ad affrontare un nemico ben più temibile di quello che la natura pone loro di fronte: l’interesse economico. Ancora una volta è il vile denaro a reggere la bilancia della vita e della morte. Da un lato il volto di Larry Vaughn, sindaco di Amity, dall’altro l’ingenua avidità del miliardario John Hammond. Da una parte la testardaggine di un uomo stupido, dall’altra la pericolosa mania di grandezza di chi gioca a vestire i panni dell’Onnipotente.
Qui non si bada a spese.