Quando si parla di scuola italiana, non si può non menzionare l’insegnante grazie al quale quasi un milione e mezzo di italiani hanno imparato, benché già adulti, a leggere e a scrivere: il suo nome è Alberto Manzi, più noto semplicemente come Maestro Manzi. Un docente fuori dal comune, dotato di notevole lungimiranza, noto soprattutto per la sua collaborazione con la RAI nella trasmissione “Non è mai troppo tardi”. Tuttavia, Alberto Manzi è stato un maestro per tutta la vita – e non solo in Italia.
Nato a Roma nel novembre del 1924, il piccolo Alberto, figlio di un tranviere e di una casalinga, frequenta la scuola con ottimi voti. Da ragazzo studia presso l’Istituto Nautico, e contemporaneamente si diploma anche all’Istituto Magistrale. In seguito, questa doppia formazione gli sarà utile nella formulazione della propria innovativa metodologia didattica. Nel 1943 partecipa alla Seconda Guerra mondiale come soldato della Marina; dopo l’8 settembre fa parte del battaglione da sbarco San Marco, divisione aggregata all’VIII armata inglese.
Facendo la guerra, poi, ho scoperto che tante cose per cui si pensava valesse la pena vivere erano solo delle falsità. […] Soprattutto dopo l’esperienza della guerra, l’idea fissa che avevo era di aiutare i ragazzi. […] rinnovare un po’ la scuola, per cambiare certe cose che non mi piacevano.
(dall’intervista videoregistrata del 13 giugno 1997, rilasciata a Roberto Farné e interamente trascritta in: E. Morgagni (a cura di), Adolescenti e dispersione scolastica, Carocci, Roma 1998)
L’esperienza della guerra lo segna profondamente, ma non gli impedisce di continuare a studiare. Nel 1947 si laurea in biologia, nel 1950 in pedagogia e filosofia. Poco tempo prima aveva iniziato ad insegnare nel carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma: Manzi riesce a favorire uno spirito di collaborazione tra i ragazzi anche grazie a un racconto, che si tramuterà poi nel suo primo romanzo, ovvero Grogh, storia di un castoro. Quest’ultimo viene premiato nel 1948 con il premio Collodi per le opere inedite, due anni dopo è pubblicato dalla Bompiani e in seguito tradotto in 28 lingue; infine, nel 1953 la RAI ne ricava una riduzione radiofonica. Presso il carcere riesce inoltre a coinvolgere i giovani detenuti nella redazione de La Tradotta, il primo giornale degli Istituti di Pena.
Tuttavia, Alberto Manzi non ha un buon rapporto con le istituzioni scolastiche. Non approva i metodi del suo tempo, da lui ritenuti retrogradi e spesso controproducenti, ma soprattutto è molto critico nei confronti della corruzione esistente nel mondo della scuola. Troppo spesso le persone riuscivano ad accaparrarsi un lavoro tramite conoscenze e parentele; così, i meritevoli finivano per rimanere soli e infine arrendersi. Nei Pensierini sulla scuola d’oggi afferma persino “Scuola d’oggi: rovina di un prossimo futuro”.
Nel 1950 Manzi scrive addirittura una lettera aperta dai toni taglienti al Ministro della Pubblica Istruzione Gonella, nella quale prevede che, continuando così, “la nazione andrà a rotoli”. Polemizza con lo “stipendio da fame” dei docenti, che non permette a questi ultimi di dare a mangiare ai propri figli, e dunque rende impossibile la tranquillità necessaria all’insegnamento.
Come si è accennato inizialmente, Manzi non fu docente soltanto in Italia. Nell’estate del 1955 parte per l’Argentina, con lo scopo di effettuare delle ricerche scientifiche sulle formiche per conto dell’Università di Ginevra. Non si dimentichi, infatti, che il maestro aveva innanzitutto una formazione scientifica. Eppure, una volta giunto in Sud America, viene a conoscenza delle condizioni in cui vivono i popoli indigeni, spesso tenuti nell’ignoranza per evitare che possano costituire una minaccia. Dopo aver conosciuto le specificità di numerosi popoli sudamericani, decide di aiutarli. Per vent’anni, ogni estate, insegna a leggere e scrivere agli indios, con lo scopo di dare loro uno strumento – lo strumento – con cui combattere per difendere i propri diritti: l’istruzione.
Inizialmente si reca ad insegnare da solo, successivamente viene accompagnato da studenti universitari che appoggiano il suo operato; infine ottiene il sostegno dei missionari Salesiani. Non si tratta solo di scolarizzazione, ma anche di progetti volti a incentivare la nascita di attività imprenditoriali presso le diverse popolazioni della Foresta Amazzonica. L’impegno per la promozione sociale di questi popoli non è apprezzato dalle autorità locali, che lo bollano come un “guevarista” collegato ai ribelli. Benché sia stato dichiarato “non gradito”, Manzi continua a frequentare il Sud America fino al 1984. Questa esperienza favorisce una produzione letteraria vasta e mirabile: i romanzi più noti sono La luna nelle baracche (1974), El loco (1979), E venne il sabato (2005), Gugù (2005); gli ultimi due pubblicati postumi.
La fama del Maestro Manzi è però collegata principalmente al suo ruolo di conduttore di “Non è mai troppo tardi”, dal 1960 al 1968. Il programma Rai è pensato come un ausilio alla lotta contro l’analfabetismo; viene trasmesso nel tardo pomeriggio, esattamente come un corso di scuola serale. Per molti italiani, quest’appuntamento assume una grandissima importanza, perché grazie alle sue metodologie innovative Manzi riesce coinvolgere i propri “studenti” anche a distanza. Le lezioni prevedono l’ausilio di una classica lavagna nera e di una, più moderna ma soprattutto più accattivante, lavagna luminosa. Manzi è solito affiancare alle scritte un simpatico disegno di riferimento, per rendere più semplice la comprensione delle parole.
Lo stile di Manzi è inimitabile. Riesce facilmente a catturare l’attenzione degli adulti, esattamente come a scuola era in grado di coinvolgere i bambini. “Non è mai troppo tardi” è considerato uno degli esperimenti più riusciti di alfabetizzazione adulta a livello internazionale, tanto che è citato nella letteratura pedagogica di tutto il mondo. Nel 1965, al congresso internazionale degli organismi radio-televisivi che si tenne a Tokyo, riceve addirittura il premio dell’UNESCO!
La genialità del programma è dovuta, oltre che all’innata bravura del docente, alla sua grandissima e poliedrica preparazione. Stupisce ancora di più sapere che per condurre la trasmissione lo stipendio di Manzi rimane quello di un maestro elementare, più un “rimborso camicia” perché il gessetto nero che usa per fare i disegni, essendo molto grasso, rovina i polsini della camicia. Grazie alla sua passione per l’insegnamento, tantissimi adulti riescono a ottenere, anche se tardivamente, la licenza elementare, tanto che Manzi è soprannominato “il maestro degli italiani”.
Ci sarebbe ancora molto da dire sulla biografia del maestro. Ad esempio, la sua lungimiranza nell’utilizzo della radio come strumento didattico; oppure, il suo amore per la poesia (lui stesso è stato autore di numerose liriche); la sua collaborazione in ambito pedagogico con diversi paesi del mondo. Concludiamo, infine, con una bella frase di Alberto Manzi, dedicata ai propri alunni di V elementare, nel 1976.
Non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, ad essere voi stessi. Siate padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. […] Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello SEMPRE in funzione; con l’affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, e ancora onesta, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo e voi dovete ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa riuscire ad amare, e… amore, amore.
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