La Gioconda è così universalmente nota e ammirata da tutti che sono stato molto tentato di utilizzarla per dare scandalo. Ho cercato di rendere quei baffi davvero artistici.
Marcel Duchamp, 1919
Visitata ogni anno da milioni di turisti la Gioconda viene fotografata, travisata, ritoccata e modificata in chiave humor centinaia e centinaia di volte. A partire da quel 1897, quando l’illustratore francese Eugène Bataille ne realizzò una versione in bianco e nero con pipa fumante. Oppure dal 1919, quando Marcel Duchamp cercò di rivelare, a suo modo, l’arcano mistero celato dietro al sorriso di Monnalisa. Lo riassunse nell’anagramma fonico L.H.O.O.Q. (“Elle a chaud au cul”, tradotto “A lei scotta il culo”, ovvero “Lei è eccitata”).
La Gioconda tra interessi nazionali e romanzi gialli
Addirittura è diventata spesso pretesto per gelosie nazionali, in ottica Italia vs Francia, con l’italiano che, quando perde i mondiali, lancia invettive ai Francesi al grido di “ci avete rubato la Gioconda!”, ribadendo il carattere nostrano dell’opera.
Senza però sapere, il più delle volte, che Leonardo era così ossessionato da questo suo ormai leggendario lavoro (datato 1504-1505), da non separarsene mai, a tal punto da portarlo sempre con sé fino alla morte, avvenuta in Francia, ebbene sì, nel 1519.
Insomma, l’opera più conosciuta e fotografata al mondo, precorritrice dei memes ed emblema della ritrattistica rinascimentale, non ha mai smesso di creare attorno a sé subbuglio e mistero. Pensate quindi a cosa è in grado di fare quest’opera! Il suo mistero col tempo è cresciuto in rapporto direttamente proporzionale al trascorrere dei secoli, fino ad arrivare ad alimentare le fantasie esoteriche di una mente come quella di Dan Brown.
Codice Da Vinci a parte, la Gioconda continua imperterrita ad accumulare dubbi su dubbi, ma anche novità su novità. Un segno, quindi, che la ricerca storico-artistica è un’attività in costante aggiornamento.
Le analisi spettrometriche
L’ultima novità è quella sollevata dalle analisi spettrometriche condotte da Pascal Cotte, fisico e ingegnere dei laboratori Lumière Technology, e da Lionel Simonot, specialista in proprietà ottiche dei materiali dell’Università di Poitiers. Lo studio, sviluppato in oltre 15 anni, è stato eseguito utilizzando l’innovativa tecnologia a scansione multispettrale progettata da Cotte stesso presso i laboratori di Lumière Technology.
Inizialmente un gruppo di restauratori del Louvre aveva richiesto l’analisi per comprendere meglio la stratificazione pittorica della tavola e la natura dei pigmenti utilizzati dal pittore. Ma le evidenze riscontrate hanno rivelato anche altro. Come spesso accade, infatti, le analisi spettrometriche hanno condotto a risultati inediti e inaspettati, rivelando nuovi importanti dettagli sulla natura del dipinto. Questi inducono ad una revisione, seppur minima, della genesi stessa dell’opera.
I dettagli nascosti
La prima scoperta consiste nell’aver individuato, sotto lo strato di pittura accanto alla nuca di Monnalisa, la presenza di un piccolo disegno a matita. Sembrerebbe una sorta di bozza di disegno di una spilla per capelli. Un ulteriore conferma delle costanti modifiche che Leonardo apportò al disegno iniziale della Gioconda prima della versione definitiva. In realtà non è affatto una novità, dal momento che era ed è sostanzialmente di norma che un pittore modifichi in modo reiterato il disegno sul supporto, prima della sua stesura definiva.
La novità più sostanziale sollevata dalle analisi di Pascal-Cotte è stata l’individuazione di chiare tracce di spolvero al di sotto dello strato di pittura e localizzate sulla fronte. In particolare in prossimità della linea quasi impercettibile del velo trasparente – e non all’attaccatura dei capelli, com’è stato erroneamente scritto – e poi lungo la linea di contorno della mano destra.
Leonardo e la tecnica dello spolvero
Per “chiare tracce di spolvero” s’intende la presenza, al sotto dello strato di pittura, di piccoli punti neri allineati. Un evidente indicatore che testimonia l’ausilio della tecnica dello spolvero, molto usato nel Rinascimento e adottata altre volte da Leonardo stesso in opere come La dama con l’ermellino (1490).
La tecnica dello spolvero consisteva nel realizzare un disegno su un cartone preparatorio, che veniva poi punzecchiato con un’apposito strumento a punta lungo le linee e i contorni del disegno al fine di formare piccoli fori. Dopodiché, l’artista posizionava il cartone con il disegno punzecchiato sulla tela o tavola, dove avrebbe realizzato il dipinto.
Poi, con un setaccio imbottito a fagotto stendeva della polvere di carboncino sulla superficie punzecchiata. Questa, essendo forata, traspirava il carboncino trasponendo in questo modo il disegno dal cartone preparatorio alla tela. A quel punto il pittore ripassava i contorni della figura e procedeva con la continuazione del dipinto.
La vera genesi del dipinto
Insomma, quei piccoli punti neri visibili ad analisi spettrometrica sulla fronte e sul contorno della mano destra della Monnalisa inducono a ripensare la genesi del dipinto. E ad affermare con certezza che Leonardo Da Vinci si avvalse della tecnica dello spolvero per trasporre sulla tavola il disegno primordiale della figura. Utilizzò dunque un cartone preparatorio. Un aspetto che gli storici dell’arte non avevano mai riscontrato nella Gioconda, non essendo mai stato rinvenuto.
A questo punto però si apre una questione. Se Leonardo Da Vinci fece uso dello spolvero per il disegno della Gioconda, allora dovrebbe esiterebbe anche un cartone preparatorio, che però non è mai stato trovato. L’ipotesi più plausibile è che il cartone sia stato utilizzato per altre bozze o disegni. Magari dagli allievi di bottega di Leonardo e magari proprio dagli stessi che nel ‘500 realizzarono tutta una serie di copie della Gioconda, come quella conservata attualmente al Prado e datata 1503-1515.
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