Il no tanto temuto, ma prevedibile del Comitato tecnico-scientifico per la parziale riapertura degli stadi è finalmente arrivato. La richiesta era di concedere un apertura almeno al 25% della capienza totale, il comitato ha però ribadito come non siano presenti le condizioni per farlo. Tutto è stato quindi rimandato a data da destinarsi. Al momento dunque restano in vigore le direttive già in applicazione: mille spettatori all’aperto, duecento al chiuso, nonostante il parere positivo di alcune regioni sull’ampliamento degli accessi. All’interno dello stadio, le linee guida continueranno ad essere le stesse già in vigore: mascherine, obbligo di distanziamento e divieto di introdurre striscioni o altro materiale.
Le criticità in ogni caso non sono presenti solo all’interno dello stadio; un problema non secondario infatti è dato dallo spostamento verso l’impianto. Non è infatti possibile garantire la sicurezza degli spostamenti. Il ministro della Salute Roberto Speranza si è espresso chiaramente sulla vicenda: “Oggi la priorità sono le scuole, non gli stadi”. L’intervento è stato in parte semplicistico, infatti il settore calcistico in Italia genera un indotto economico da non sottovalutare.
L’unanimità non si riscontra nemmeno tra i presidenti regionali. Nicola Zingaretti, Presidente del Lazio, sottolinea come sarebbe profondamente sbagliato estendere l’apertura al 25% perché in tal modo si creerebbero “assembramenti che possono raggiungere il numero di migliaia di persone”. Di parere opposto invece Giovanni Toti, Presidente della Liguria, che punta piuttosto sulla prevenzione e auspica una ripresa non solo della serie A calcistica ma anche di altre manifestazioni sportive.
È difficile tuttavia fare un discorso sugli ingressi negli stadi parlando in generale del 25% senza far riferimento all’effettiva capienza; il dibattito potrebbe risultare sterile. San Siro, a Milano, conta una capienza di poco superiore alle 80mila persone. Lo stadio comunale in cui gioca il Benevento, neopromossa, ha una capienza di 16mila persone circa.
Si parla in ogni caso di migliaia di persone da controllare e, in caso di positività, da tracciare, il tutto moltiplicato per ogni partita di ogni giornata del campionato di Serie A. Risulta difficile pensare che al momento possano esistere le condizioni per farlo, dal momento che ci sono quotidiani casi di positività anche all’interno delle squadre.
Disparità di trattamento
Un aspetto non secondario è il fatto che la diatriba sulla riapertura o meno riguardi solo la Serie A calcistica. La Serie B, anch’essa lega professionistica, è stata lasciata fuori. “Non si comprende la ragione delle motivazioni secondo le quali il governo ha dato il via libera all’apertura parziale degli stadi solo in Serie A. Questo considerando che i protocolli di sicurezza sono i medesimi per tutti e che la B ha un valore sociale ed economico fondamentale.” Questo è quanto dichiarato dalla Lega B, che auspica al più presto una decisione governativa anche su questa serie.
Gravina, presidente della FIGC, si dice perplesso: “L’apertura degli stadi al pubblico è una bella notizia, ma il fatto che il via libera sia arrivato solo per la Serie A mi lascia perplesso. I protocolli di sicurezza sono i medesimi in tutte e tre le serie professionistiche. Sono convinto che verrà preso il medesimo provvedimento prima dell’avvio ufficiale”.
Focolaio in Serie A
Il primo focolaio in Italia, calcisticamente parlando, è quello del Genoa. Sono ben 22 i casi confermati, sia tra i calciatori che tra medici e assistenti. Si dibatte molto se questa sia una situazione così grave da richiedere l’interruzione del campionato o solo della prossima giornata per le squadre coinvolte.
Sandra Zampa, sottosegretario alla Salute, ha dichiarato come siano la FIGC e le società calcistiche a dover decidere sul campionato. Le ipotesi ventilate sono due: “Facendo recuperare partite alle squadre che non potranno giocare o mettendo in campo eventuali riserve”. Come già visto qualche mese fa, gli organi preposti hanno già messo in luce la loro abilità nel non decidere.
Lo dimostra il fatto che in Italia il regolamento in vigore è il protocollo UEFA, formalmente non adottato perché non ancora stato votato dall’assemblea. In ogni caso questo stabilisce l’obbligo di scendere in campo se la squadra, Primavera inclusi, dispone di un portiere e dodici giocatori di movimento non positivi al covid.
Il presidente del Genoa, Preziosi, ha rilasciato un’intervista in cui spiega come la partita in programma con il Torino (il 3 ottobre) non possa essere giocata, facendo appello al buon senso, rispolverato sempre più spesso in tempi di covid. Di fatto, sulla stessa linea si pone il presidente Cairo del Torino, ribadendo la necessità di un’uniformità di trattamento anche nelle prossime giornate.
In questo caso, un rinvio non è difficile da programmare dato che sia il Genoa che il Torino non partecipano alle competizioni europee. Ben diverso è il caso di altre realtà, il cui calendario è molto più fitto. Senza contare che quest’anno il campionato non potrà finire ad estate inoltrata perché ad attendere i calciatori c’è l’Europeo, già rinviato quest’anno.
Terremoto nella massima serie: Juventus – Napoli non si gioca
La giornata di domenica è stata tra le più assurde che il campionato italiano di serie A ha attraversato nei tempi recenti. Juve Napoli avrebbe suscitato proteste a prescindere, come avviene puntualmente ogni anno in occasione degli scontri diretti. Le motivazioni sono infinite, la rivalità tra le due squadre altrettanto. Nessuno però si sarebbe aspettato un simile epilogo, anche se il caos normativo che si è creato lasciava supporre che fosse solo questione di tempo prima che il problema si palesasse.
Il regolamento attualmente in vigore imponeva al Napoli di scendere regolarmente in campo, la mancata presenza implicherebbe la vittoria a tavolino per 3 a 0 della Juventus e un punto di penalizzazione. Il presidente del Napoli, De Laurentis, ha già dichiarato di essere pronto al ricorso a tutti i gradi della giustizia sportiva e, nel caso, al Tar. I documenti che il Napoli presenterà per la difesa sono le circolari emesse dall’Asl della Campania, in materia di salute pubblica infatti il parere regionale prevale sul protocollo sottoscritto da tutte le società di Serie A.
Il presidente della Juventus, in conferenza ieri sera, ha dichiarato che la squadra era pronta a giocare perché non vi erano i presupposti per un rinvio della partita, stando al regolamento in vigore. La sfida ora passa agli avvocati. Nel caso in cui la partita dovesse essere giocata, la prima data disponibile è gennaio 2021.
“Brutto precedente”
“Quello di ieri sera è stato un brutto precedente, si pensava ci fosse un protocollo molto chiaro a cui tutte le società avrebbero dovuto attenersi e invece le Asl locali lo hanno bypassato provocando un caos. Da adesso qualsiasi società che interpelli la Asl locale, anche con un solo positivo, potrà non giocare perché decide qualcun’altro“. Queste le parole di Preziosi, presidente del Genoa, in riferimento a quanto sta succedendo nelle ultime ore.
Tra i nervi tesi della giornata un nuovo intervento del ministro della Salute peggiora la situazione, per quanto possibile. “Non si giocherà (in riferimento alla partita, ndr), è già una notizia consolidata. Ma attenzione che le cose importanti sono altre, come il lavoro negli ospedali. Le priorità non possono essere gli stadi“. Tralascia che nessuno nella giornata di ieri parlava di stadi quanto di possibilità o meno del giocare la partita. In ogni caso un intervento che poteva tranquillamente essere evitato.
La questione è delicata perché rischia di far saltare l’intero campionato, il precedente creato infatti apre potenzialmente ad una pluralità di interventi delle Asl. Un impianto normativo certo è necessario anche e soprattutto a causa di un calendario ai limiti dell’assurdo, fitto di impegni nazionali e internazionali. Un incontro chiarificatore è atteso in queste ore tra il ministro dello Sport Spadafora, Gabriele Gravina (presidente della FIGC) e Paolo Del Pino (presidente di Lega).
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