L’arrivo dello straniero, categorizzato spesso come immigrato, o di qualsiasi altra persona esterna che irrompe lo spazio personale o lavorativo di un’altra, non significa necessariamente pericolo, insicurezza o danno economico. Non è sempre sinonimo di meno lavoro e salari più bassi per i lavoratori locali. Dipende sempre da che prospettiva si è disposti a guardare il fenomeno. A confermarlo è lo studio effettuato in Svizzera sugli immigrati transfrontalieri, che sfata svariati miti e credenze parlando con numeri e fatti.
L’arrivo dello straniero: il caso svizzero
Uno studio condotto in Svizzera sugli immigrati transfrontalieri ha portato ad alcune delucidazioni riguardo al fatidico quesito: l’arrivo dello straniero in un Paese nuovo arreca danno, crea concorrenza, toglie opportunità al lavoratore locale?
Secondo l’Unione democratica di centro (Udc), il partito svizzero promotore del referendum “l’iniziativa per la limitazione” programmato per il 27 settembre scorso, riguardante il ridurre la circolazione nel paese dei lavoratori provenienti dall’Unione europea, è qualcosa di primario e fondamentale. L’arrivo dello straniero in campo lavorativo crea danno al paese. Sostenere la libera circolazione, secondo Udc, significherebbe indurre le grandi aziende ad assumere lavoratori stranieri a basso costo, penalizzando gli svizzeri stessi.
A prima vista l’argomentazione sembrerebbe accettabile e logica: se arrivano più persone fuori nel paese, la concorrenza aumenta con gli abitanti e gli stipendi subiscono una pressione verso il basso. Ma è davvero così? L’arrivo dello straniero porta sempre e solo a questo tipo di narrazione? In realtà, lo studio di un gruppo di economisti sfata tale tesi. Pubblicato sulla prestigiosa rivista <<American Economic Review>>, mette in discussione molti punti.
Gli accordi dal 1999 in poi
Dal 2004, inoltre, l’arrivo dello straniero si è radicato in quanto sintomo di integrazione e opportunità. Le aziende hanno avuto la libertà di assumere queste persone come se fossero cittadini svizzeri. Negli ultimi vent’anni il numero dei pendolari in tale situazione è più che raddoppiato: oggi sono circa 330.000. Tra il 2004 e il 2010 il loro tasso di occupazione nelle regioni di confine è aumentato di dieci punti percentuali. Nelle regioni più interne non ci sono stati particolari effetti.
L’arrivo dello straniero e i numeri in salita
Tali numeri, secondo il gruppo di ricercatori in campo, sono dimostrazione di un grande colpo di fortuna. Andreas Beerli e Michael Siegenthaler, dell’Economic research center del politecnico di Zurigo, dichiarano di aver potuto osservare, quasi come in laboratorio, lo sviluppo dei salari e dell’occupazione nelle regioni frontaliere rispetto al resto della Svizzera.
La testi dell’Ud sembra quindi non trovare senso già in questa prima osservazione. Se fosse corretta ci si dovrebbe aspettare una riduzione dei salari in quelle aree di confine. Ma i numeri dicono altro: in media l’occupazione e gli stipendi della popolazione locale non sono calati. Al contrario, gli svizzeri più qualificati hanno perfino beneficiato della presunta concorrenza: i loro salari sono aumentati del cinque per cento in più rispetto a quelli delle regioni interne.
Come si spiega tutto questo? Andreas Beerli ricorda che prima della liberalizzazione, in alcuni settori come quello informatico o farmaceutico, era difficile cresce. Le leggi sull’immigrazione e la carenza di lavoratori qualificati ne ostacolavano lo sviluppo. Dopo il 1999, invece, è stato possibile assumere personale specializzato straniero. Così gli investimenti e la ricerca sono aumentati progressivamente, con risultati evidenti. Le aziende più vicine al confine hanno depositato più brevetti rispetto a quelle delle aree interne. Inoltre, l’accesso al personale qualificato ha anche stimolato la nascita di nuove imprese.
Aziende nuove, occupazione in crescita
Quando le aziende crescono o se ne costruiscono di nuove, servono anche più dirigenti, ruoli che secondo i ricercatori sono spesso rivestiti dagli svizzeri. Ecco come si spiega l’aumento percentuale dei loro stipendi. Finora, insomma, la liberalizzazione non è stata un gioco di sole sconfitte, bensì di molte vittorie. Grazie alle nuove politiche migratorie le aziende, che avevano raggiunto il limite del loro sviluppo, hanno potuto trovare i dipendenti di cui avevano bisogno per crescere.
Due terzi dei nuovi pendolari transfrontalieri sono altamente qualificati, possiedono cioè laurea o diploma di un istituto parauniversitario. Ma cosa succede agli stipendi dei lavoratori meno qualificati? Lo studio non arriva a una conclusione certa. Dato che la distinzione tra lavoratori qualificati e gli altri viene registrata solo in modo approssimativo. Beerli, tuttavia, è convinto che da un punto di vista statistico non ci sono stati effetti negativi sull’occupazione o sui salari neanche in questa categoria.
L’arrivo dello straniero non è un pericolo
La libertà di movimento per i lavoratori non ha quindi nel tempo danneggiato nessuno. Anzi ha portato a dei vantaggi per la popolazione locale. Eppure, sopratutto in tempi presenti, l’arrivo dello straniero provoca scetticismo. Lo dimostra anche la crescita dell’elettorato di partiti come l’Udc.
Allora è forse proprio da qui che bisognerebbe interrogarsi. Dalla motivazione che spinge la popolazione a considerare nemico chi in realtà non lo è. L’altro, seppur diverso, è sempre fonte di arricchimento o completamento. Che siano, a questo punto, non solo i numeri a dimostrarlo, bensì anche le azioni e le scelte sociali di ciascun individuo.