Kublai è il nuovo progetto targato Teo Manzo, che dedica il suo nome all’imperatore mongolo del XIII, nipote più noto del celebre Gengis Khan. Come vuole rievocare il titolo, si tratta di un “figlio d’arte” che deve dimostrarsi all’altezza dei suoi predecessori. Ad essere raccontata è l’amicizia tra Kublai e Marco Polo, il celebre esploratore veneziano giunto in Oriente alla corte del primo.
Il singolo di debutto, uscito il 22 settembre 2020, nasce come omaggio a Riccardo, un amico regista scomparso negli ultimi anni, ideatore della sceneggiatura, che però non ha mai potuto vedere il progetto ultimato.
Dialogo di un’amicizia improbabile
I due personaggi protagonisti si presentano come nati agli antipodi, uniti dalla stessa solitudine, ma con due vite assai contrapposte. Marco è sempre in viaggio, alla scoperta di nuove culture e regioni, mentre Kublai vive segregato nel suo palazzo imperiale, all’oscuro delle meraviglie del suo regno, accontentandosi dei racconti del viaggiatore, ogni volta che torna nella capitale dopo un’esplorazione.
L’intero progetto musicale di Kublai, dunque, si presenta come un dialogo tra due amici che trascorrono del tempo insieme: l’uno irrequieto, sempre in viaggio; l’altro in stasi, al punto di preferire infine il suicidio.
Incuriositi da questa atmosfera onirica, noi de «Lo Sbuffo» abbiamo incontrato Teo, ponendogli delle domande.
L’intervista a Kublai
Kublai è un personaggio storico ma anche leggendario, unito alla figura di Marco Polo. Perché questa scelta?
È una scelta legata ai contenuti delle canzoni di questo progetto. Ho iniziato a scriverle immaginando un dialogo tra due amici, poi un giorno mi è ricapitato tra le mani Le città Invisibili di Calvino e ho capito cosa stessi cantando. Spesso le scelte in musica non sono completamente premeditate; la strada si illumina a percorso inoltrato.
I due protagonisti sono essenzialmente agli antipodi. In chi ti identifichi maggiormente?
Nella mia lettura, sono agli antipodi con posizioni intercambiabili. La loro empatia si fonda anche su questa alternanza, su questo scambio di ruoli perpetuo. In questo senso mi identifico in entrambi, nessuno è una cosa sola, un monolite.
Kublai Khan è anche il protagonista di una poesia del letterato inglese Samuel Coleridge. La scelta del tuo nome d’arte ha a che fare anche con questa?
Non ho letto il poemetto di Coleridge, può darsi vi siano connessioni, ma non con la scelta del nome.
Marco e Kublai sono uniti dalla stessa solitudine. Pensi che la musica possa alleviare questa condizione?
Può alleviarla come peggiorarla. Ad ogni modo, non attribuisco alla musica poteri “curativi”, la trovo un’idea un po’ sciocca. Le riconosco invece una facoltà propedeutica, un aiuto per connetterci a uno stato di grazia, di consapevolezza superiore. Parliamo comunque di uno strumento, la musica, che va coordinato con noi stessi. L’arte, da sola, non serve, è un lusso per definizione. Ecco, anche riuscire a farsi aiutare dalla musica è un lusso, una dote di livello già avanzato. Per arrivare a questo stadio serve un lavoro precedente, in cui la musica non c’entra niente.
Il videoclip, realizzato da Elena Meneghetti, si presenta come un omaggio molto toccante. Com’è nata la collaborazione tra voi due?
Il video è un omaggio al suo autore, Riccardo, che purtroppo ci ha lasciati tre anni fa. La collaborazione con Elena è nata quando cercavo qualcuno che potesse portare alla luce quelle idee, fino a quel momento rimaste sulla carta. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, non potevo sperare di trovare una mano e una sensibilità migliori.
“Orfano e Creatore” sembra descrivere il dialogo tra due amici, con uno scenario, per così dire, notturno: è misterioso, malinconico, e vengono fatti anche veri e propri riferimenti alla notte. Ci puoi parlare del brano?
“Orfano e Creatore” è un po’ l’entrata in scena dei due protagonisti, l’ouverture dell’album. L’ambientazione è notturna, ma il testo allude a due notti diverse, forse a distanza di anni. Nella prima si racconta un abbandono, nella seconda un ritrovamento. A queste due storie possiamo associare le figure di Kublai e Marco Polo, nell’ordine e nella combinazione che preferiamo.
Ti presenti come un cantautore: che cosa raccontano i tuoi pezzi?
Più che altro sono gli altri a presentarmi come tale, e so per esperienza che è un’usanza difficile da combattere. Però, in verità, Kublai è un progetto che prende le distanze dal mondo dei cantautori, non per ripudio, ma per necessità. La mia scrittura non è narrativa o esplicita, quindi non è autonoma dal contesto sonoro; inoltre, è vincolata ad altri fattori, come ad esempio le scelte fonetiche, la distribuzione sillabica, l’interpretazione canora. Tutte cose da cui un cantautore, se vuole, può benissimo prescindere.
Quanto c’è di Teo nel progetto di Kublai? Possiamo parlare di musica autobiografica?
C’è molto, come è inevitabile che sia. Però Kublai è pensato per essere corroborato da molte collaborazioni con altri artisti o musicisti, già a partire dalla composizione dei brani. Non mi sento l’autore esclusivo nel progetto e non mi interessa esserlo.
Come definisci la tua musica?
Conturbante.
Puoi darci qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri?
A breve uscirà un LP, che sarà il primo capitolo di Kublai. Nel frattempo, sto già lavorando a quelli successivi. Al di là di questo, Covid permettendo, vorrei portare dal vivo questi pezzi, credo sia il loro ambiente naturale.
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