Il mito di Artemide e Atteone in quattro capolavori

La mitologia greca ha lasciato a pittori, scultori, disegnatori, ma anche a fotografi e cineasti un immenso patrimonio iconografico su cui lavorare e dal quale attingere. Narrate dai più grandi poeti classici, le storie che arricchiscono lo sterminato corpus mitologico dell’antichità sono state poi illustrate dai più abili artisti partoriti dalla cultura occidentale. 

Grazie alla loro potenza narrativa, emotiva e visuale, le vicende mitologiche sono entrate a far parte dell’immaginario artistico occidentale a tal punto da divenire dei veri e propri archetipi narrativi e figurativi. Particolarmente interessanti sono quei miti che descrivono l’incontro-scontro tra anthropos e theós. Tra l’uomo mortale, quindi, e la divinità immortale che irrompe nella vita umana e la sconvolge, spesso con esiti tragici. 

Il mito di Artemide e Atteone
Artemide e Atteone
Leocare, Artemide con un capriolo (conosciuta meglio come la Diana di Versailles), I-II sec. d.C., Copia romana di un originale in bronzo, Musée du Louvre, Parigi

Ed è proprio un destino tragico quello a cui va incontro il giovane cacciatore Atteone, figlio di Aristeo e Autonoe. Questo viene trasformato in cervo dalla dea Artemide (Diana per i latini) e poi sbranato dai suoi stessi cani. 

Il mito è riportato da Ovidio nelle Metamorfosi e successivamente da Nonno di Panopoli nelle Dionisiache. Racconta di come Atteone, aggirandosi tra i verdi boschi in cerca di selvaggina, accompagnato dai suoi cinquanta cani, ad un certo punto si ritrovi presso una fonte dove scorge Artemide nuda, intenta a bagnarsi circondata dal suo corteo di ninfe. A quella vista, lo sfortunato cacciatore rimane ammaliato dalla bellezza della nudità della dea e si appaga, quasi in atteggiamento voyeuristico, di quel meraviglioso spettacolo proibito agli occhi maschili.

Ad un tratto, però, Artemide, dea della caccia e della natura selvaggia, viene avvertita da una Naiade (ninfa delle sorgenti) della presenza di Atteone. Ecco che allora si scatena la furia divina. Il giovane viene trasformato in cervo dalla dea che aizza contro di lui i suoi stessi cani. Atteone è così costretto a fuggire, da cacciatore diventa preda dei suoi stessi compagni di caccia che, in balia di una rabbia incontrollabile, finiscono per sbranare il loro stesso padrone trasformato in cervo. 

Inutile dire che una storia così drammatica divenne oggetto di rappresentazione di molti artisti. Ecco allora alcuni capolavori pittorici che illustrano la tragica metamorfosi di Atteone. 

Il mito di Atteone e Artemide in Tiziano

[…] vide il corpo (tutto!) di Artemide al bagno.

Eccolo, spettatore insaziabile della dea che non è consentito vedere,

misurare con lo sguardo il corpo puro di quella vergine che è così vicina.

Tiziano dipinse due opere incentrare sul mito di Artemide e Atteone. I dipinti fanno parte della serie di tele Le Poesie, raffiguranti scene tratte dalla mitologia classica, che il pittore realizzò per la corte del re Filippo II di Spagna. Le due opere, compiute tra gli anni ’50 e ’70 del XVI secolo, illustrano la drammatica storia, disponendosi in continuità narrativa l’una con l’altra. 

Nel primo dipinto, realizzato tra il 1556 e il 1559, Tiziano rappresenta il momento in cui Atteone profana con lo sguardo la nudità della dea. Immediatamente Artemide nasconde con delle vesti il suo corpo candido e vergineo, mentre le ninfe che l’accompagnano si agitano in gruppo, sconcertate dall’intromissione del giovane cacciatore.

Artemide e Atteone
Tiziano Vecellio, Diana e Atteone, 1556-1559, Olio su tela, National Gallery, Edinburgh

La scena dunque si carica di una dinamicità sorprendente che viene scandita dagli atteggiamenti e delle movenze dei personaggi raffigurati. Atteone lascia cadere l’arco sul terreno, piacevolmente sorpreso alla vista del gruppo femminile, e alza la mano destra quasi in segno di scusa. Nel frattempo Artemide e le Ninfe, assumendo ciascuna delle posture differenti, si dinamizzano in coro per proteggersi dagli occhi indiscreti del cacciatore, mentre i loro corpi nivei risaltano in classicheggianti posture. 

Le variazioni iconografiche della prima opera
Artemide e Atteone
Particolare

Pur rifacendosi alla narrazione ovidiana, con la sua versione pittorica Tiziano apporta al mito alcune piccole, ma interessanti, variazioni iconografiche. Geniale la scelta di inserire l’elemento narrativo del drappo purpureo che viene scostato da Atteone. Un elemento assente nella versione di Ovidio e che tuttavia si rivela molto efficace, sopratutto poiché rafforza il carattere accidentale dell’incontro tra il giovane e la dea.

Particolare

Inoltre, nonostante si intuisca molto bene l’ambientazione boschiva, il pittore aggiunge elementi architettonici nei quali si inseriscono diversi attributi iconografici. Per esempio, lungo il pilastro che sostiene il primo arco, e dietro al quale si nasconde una fanciulla, troviamo appeso il teschio di un cervo. Un chiaro elemento iconografico che prefigura la metamorfosi animale di Atteone e la conseguente morte, anticipata anche dalla pelle di cervo scuoiata che pende da un ramo.

Spostando poi lo sguardo al centro della rappresentazione notiamo che, a differenza del racconto di Ovidio, la sorgente è rappresentata da una grande fontana decorata con rilievi classici. Sopra questa siedono alcune ninfe, e ai suoi piedi si trova un’ampolla d’acqua, simbolo di purezza. 

Tiziano Vecellio, La morte di Atteone, 1559-1576 ca, Olio su tela, National Gallery, London
La seconda opera tizianesca

La seconda opera che Tiziano dedica al mito di Artemide e Atteone è stata compiuta all’incirca tra il 1559 e il 1576, anno della morte del pittore. Come a comporre il secondo frame cinematografico di un’unica sequenza, in questa versione pittorica del mito Tiziano rappresenta il momento più drammatico della storia. Atteone, ormai trasformato quasi completamente in cervo, è costretto a fuggire rincorso da Artemide. Lei instilla una rabbia irrefrenabile nei cani da caccia, i quali finiscono per sbranare il loro stesso padrone. 

 

La scena, circondata interamente dalla vegetazione del bosco e minacciata da nubi tempestose, si pone in continuità con l’opera precedente, proseguendo la narrazione e accrescendo la forza drammatica della vicenda. Di fronte ai due dipinti, lo sguardo dello spettatore è in grado di seguire lo sviluppo della storia, immaginandosi che quel fiume che ora scorre a lato della dea sia la diretta prosecuzione del torrente che, nella prima opera, vedevamo interrotto in basso a destra. E così come quel fiume, ora ingrossatosi, sembra scorrere impetuoso affiancando la corsa di Artemide, allo stesso modo la scena principale, che vediamo svolgersi in primo piano, assume sempre più dinamicità e tragicità man mano che l’occhio prosegue e termina nella figura di Atteone. Con la testa ormai trasformata in cervo, lo sfortunato cacciatore viene assalito e dilaniato dai cani rabbiosi, confondendosi cromaticamente con la macchia della vegetazione.

[…] i cani lentamente mordono Atteone ancora vivo,

ancora cosciente, per lacerare più forte

il suo cuore con dolori più acuti.

Nell’opera del Cavalier d’Arpino

Molto più fedele al racconto ovidiano è invece l’interpretazione pittorica che Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino, conferisce alla sua trasposizione figurativa del mito. Anche in questo dipinto, risalente al 1601 circa, il pittore rappresenta il momento in cui Atteone giunge presso la sorgente e si imbatte accidentalmente nella nudità della dea e delle ninfe, delle quali ammira la divina e immacolata bellezza. 

Artemide e Atteone
Giuseppe Cesari (detto Cavalier d’Arpino), Diana e Atteone, 1601, Olio su tavola, Musée du Louvre, Parigi

Rispetto all’interpretazione tizianesca, il Cavalier d’Arpino ambienta la scena interamente in un contesto naturale, senza alcun tipo di aggiunta architettonica. Da questo punto di vista quindi, questa versione si attiene molto più alla narrazione del mito così come la sviluppa Ovidio. Resta talmente fedele alle parole del poeta latino che addirittura il Cesari raffigura la dea Artemide nell’atto di immergere le braccia nella fonte per spruzzare Atteone con l’acqua a dispetto dalla sua inaspettata intromissione.

Le peculiarità della versione più fedele a Ovidio

L’accidentalità dell’evento è poi ben visibile nelle reazioni dinamiche delle fanciulle, che tuttavia appaiono molto più composte e molto meno espressive rispetto al dipinto di Tiziano. Di fronte all’atteggiamento pudico delle ninfe, che nei volti sembrano incuriosite piuttosto che sconcertate, Atteone pare poi compiere una sorta di contro-movimento. Accentuato dalla torsione del busto e dalla gestualità della mano destra, e quasi imbarazzato, sembra voler dire: “me ne torno indietro, scusate”.

Artemide (particolare) 
Ninfe (particolare)

Ma il tragico destino del giovane cacciatore sembra essersi già compiuto. Mentre Artemide sta per spruzzare l’acqua, ecco che sono spuntate sul capo di Atteone quelle corna ramificate che preannunciano la sua imminente metamorfosi in cervo. Nel frattempo i cani al suo seguito sembrano non riconoscerlo già più e iniziano a scagliarsi contro il loro padrone. 

Sotto il profilo formale, il dipinto del Cavalier d’Arpino presenta un’omogeneità cromatica tendente al verde-azzurro, adatta per illustrare più efficacemente l’ambiente fluviale. La tranquillità e la pacatezza dei colori si ripercuote anche nei corpi delle figure femminili. Parzialmente immersi nello specchio d’acqua, non risaltano bruscamente all’occhio, ma si inseriscono in un’atmosfera paradossalmente armoniosa che avvolge la scena, anche se sotto il profilo anatomico i corpi presentano una certa mascolinità (di michelangiolesca memoria). Appare evidente, in ogni caso, il tripudio di classicità insita nei copri marmorei delle ninfe. 

La versione di Rembrandt

Anche Rembrandt nel 1635 realizza una sua variante figurativa del mito di Artemide e Atteone. In questo lavoro però l’artista si spinge anche oltre. Nell’opera, infatti, il pittore olandese fonde due iconografie differenti, riuscendo nell’intento di far convivere insieme, nel medesimo dipinto, due vicende mitologiche distinte, ma molto simili tra loro: la vicenda di Atteone e al tempo stesso quella di Callisto, ancella di Artemide che, persuasa da Zeus sotto mentite spoglie, violò il patto (comune a tutte le ninfe della dea) di conservare la verginità. 

Rembrandt, Diana al bagno, 1635, Olio su tela, Museum Wasserburg Anholt

Ciò che però interessa maggiormente in questo dipinto è il modo in cui Rembrandt tratta la rappresentazione. A sinistra si può facilmente riconoscere Atteone, con i cani al seguito, che si bea alla vista di quell’intreccio di corpi femminili. Tuttavia è molto evidente il timbro artistico del pittore olandese. Siamo infatti di fronte a un’impostazione decisamente paesaggistica, nella quale la vegetazione domina su tutto e sembra quasi inghiottire le figure che dovrebbero fungere da protagoniste del dipinto. Al carattere scultoreo e classicheggiante si sostituisce così un’impronta fortemente naturalistica, nella quale il tratto distintivo è dato dal gioco di contrasti cromatici che si creano tra l’oscurità avvolgente della vegetazione e la luminosità dei nudi femminili. 


FONTI

Zanetto G. (a cura di)I miti greci, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2007

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