Occhio alle uova!

Uovo proveniente da un allevamento biologico tedesco

Sode, strapazzate, in camicia; e poi frittate, torte, pancake, occhio di bue: insomma, ci sono decine di modi in cui le troviamo nei nostri piatti. Ovviamente stiamo parlando delle uova di gallina, alimento notevolmente presente nella nostra dieta, anche se a volte in forma indiretta. Ma quali sono le loro origini? No, non stiamo parlando del tipico quesito su chi sia nato prima tra uovo e gallina; bensì di come queste uova vengono prodotte. La risposta parrà ovvia: tramite le galline. Eppure non tutte le galline sono uguali, e soprattutto, non tutte vivono nelle medesime condizioni.

Forse non tutti fanno caso al numero stampato sulle confezioni, oltre che sul guscio, di questo alimento. La classificazione indica le modalità di allevamento degli animali: 0 (zero) corrisponde alle uova biologiche, prodotte da galline libere di razzolare a piacimento e nutrite con alimenti certificati come biologici e senza mangimi OGM; 1 designa le uova provenienti da animali allevati all’aperto. Entrambe le categorie assicurano alla gallina la possibilità di esprimere i propri comportamenti naturali, come becchettare, camminare liberamente e sbattere le ali.

Il numero 2 individua, invece, i volatili allevati a terra. Bisogna fare molta attenzione a questa definizione, che può facilmente risultare fuorviante, soprattutto perché spesso sulle confezioni troviamo delle immagini di allegre gallinelle che becchettano, affiancate da contadine sorridenti con un fazzoletto in testa. Si tratta di una grave falsità: questi animali, infatti, spesso non vedono mai la luce del sole lungo l’intero arco della loro vita! Sono cresciuti all’interno di capannoni chiusi, frequentemente illuminati da potenti luci artificiali sempre accese per invogliare il pollo a mangiare continuamente e dormire di meno. Questo fa sì che producano più uova o che ingrassino in meno tempo, a seconda della tipologia di gallina (ovaiola oppure da carne). È necessario, dunque, stare molto attenti quando si fa la spesa e non farsi ingannare dalle strategie di marketing dei venditori.

Galline allevate in batteria, in Brasile

Veniamo quindi al numero 3: le galline allevate in gabbia. Si tratta indubbiamente degli animali che vivono nelle condizioni peggiori: numerosi capi convivono in gabbie di pochi metri quadrati, disposte verticalmente in capannoni chiusi, dove sia luce che ventilazione sono artificiali. Si tratta prevalentemente di volatili destinati alla produzione di uova. Questi animali, a causa delle condizioni inadatte in cui si trovano, spesso sviluppano gravi disturbi di comportamento, come la pica delle penne, il cannibalismo e, in generale, un atteggiamento aggressivo. Per prevenire questi modi di agire innaturali, molti adottano una soluzione preventiva quantomeno spaventosa: gli uccelli vengono debeccati con una lama arroventata a 650-750° alcuni giorni dopo la nascita. Il tutto senza anestesia.

Attualmente la Direttiva europea 199/74/EC vieta le cosiddette “gabbie di batteria convenzionali” a partire dal 1° gennaio 2012. L’Italia, anche se con un certo ritardo, ha applicato correttamente le nuove normative. Tuttavia, nel nostro Paese oltre il 60% delle galline ovaiole vive ancora in gabbia. È lecito sapere che non vi sono cambiamenti rilevanti dal punto di vista della qualità delle uova in base all’ambiente in cui vive l’animale; benché diversi studi affermino che quelle categorizzate 0 oppure 1 abbiano un contenuto più elevato di acidi grassi Omega 3 e un rapporto più favorevole tra Omega 3 e Omega 6 rispetto a quelle delle galline allevate in batteria. Gli squilibri non sono però particolarmente significativi; ciò che è in gioco è prevalentemente il benessere animale, a cui dovrebbe essere garantita quantomeno una certa libertà di movimento.

Per invogliare i produttori a preoccuparsi maggiormente dello stile di vita dei propri volatili, nel 2007 è stato istituito il premio Good Egg, un riconoscimento che ricompensa le aziende le quali utilizzano, o si impegnano a farlo entro cinque anni, solo uova e/o ovoprodotti di galline non allevate in gabbia. Un altro problema, infatti, è relativo al fatto che molti prodotti che consumiamo contengono, tra gli ingredienti, anche le uova. Un esempio sono le merendine confezionate: spesso le uova utilizzate sono proprio quelle provenienti dagli allevamenti in gabbia. E non vi è alcuna indicazione sulla confezione circa la categoria dei prodotti.

Vi è poi un’altra classificazione riguardo la qualità di questo alimento: A, uova fresche o extra fresche; B, di seconda qualità o conservate; C, declassate e destinate all’industria alimentare. Anche in questo caso, a meno che il nostro snack confezionato non sia connotato dal marchio Bio, probabilmente le uova contenute tra gli ingredienti sono di categoria C.

Insomma, c’è ancora molta strada da fare per garantire una vita più naturale possibile alle galline. Iniziative come il premio Good Egg sono certamente lodevoli, ma quello che possiamo fare noi consumatori è prestare più attenzione a che cosa mettiamo nel carrello quando facciamo la spesa. Pur sapendo che alcune classificazioni non sono precisamente indicate…cominciamo con il leggere attentamente le etichette.

 

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