È il 1995. Michael Jackson pubblica uno dei suoi album più celebri, HIStory: Past, Present and Future, Book I. Il progetto si divide in essenzialmente due parti: da un lato spiccano i più grandi successi della carriera dell’icona del pop, mentre dall’altro sono raccolti dei pezzi inediti. Tra di questi ci sono alcuni brani che ancora oggi passano in radio e che tutti canticchiano, pur non conoscendo a memoria il testo. Si va dalla romantica You Are Not Alone all’emozionante Earth Song, un grido di protesta messo in musica che riporta gli abusi dell’umanità nei confronti di Madre Terra. Inoltre, fece scalpore un altro singolo: They Don’t Care About Us.
Questa volta la voce che Jackson vuole fare sentire al vasto pubblico è quella di una comunità che non ha nome. Al suo interno ci sono persone vittime di violenze, soprusi e maltrattamenti perché ritenuti diversi da delle autorità senza volto o nome. They Don’t Care About Us è un potente inno contro il razzismo, che quest’anno è tornato alla ribalta grazie al movimento Black Lives Matter.
Dietro alla canzone: l’origine di They Don’t Care About Us
A differenza di molti altri cantautori a lui antecedenti o contemporanei, Michael Jackson è sempre stato un artista impegnato sul piano sociale. Nel 1985 compariva come una delle menti principali dietro al progetto di We Are The World, canzone record nelle vendite che portò l’attenzione del pubblico musicale – e non solo – sulla drammatica situazione della fame in Africa e nei cosiddetti “Paesi del Terzo mondo”. Tre anni dopo, nel 1988, pubblicò da solista nel suo album Bad, la delicata e al tempo stesso forte Man In The Mirror. Nel brano l’artista esorta a sforzarsi per cambiare qualcosa nel mondo. Affronta anche qui il tema della povertà mondiale unito alla struggente tematica delle discriminazioni. Non stupisce, quindi, che Jackson continuò la sua lotta contro gli abusi e soprusi sotto forma di canzoni.
Tutto ciò fa da background a They Don’t Care About Us, uno dei singoli più contestati del Re del Pop. Il pezzo si apre con le voci indistinte di bambini che alternano grida di protesta sovrapposti.
All I wanna say is that they don’t really care about us.
Don’t worry what people say, we know the truth.
Enough is enough of this garbage!
In seguito, prende avvio il ritmo serrato e martellante che accompagna l’ascoltatore per tutti i 4 minuti e 44 secondi
Così Michael si fa portavoce della rabbia, della delusione e del rancore di centinaia di migliaia di persone. Diventa l’emblema di un’ira che rischia di esplodere da un momento all’altro e di cui, un giorno, non si potrà più fare finta di niente.
Le polemiche al momento dell’uscita
L’ascesa di Michael Jackson nel mondo musicale è stata alquanto singolare. Apprezzato “a capo” dei Jackson 5, è diventato una delle icone più amate di sempre all’inizio degli anni Ottanta con capolavori quali Thriller e Billie Jean. Una volta che il successo divenne stabile, il suo nome iniziò a essere legato a una serie di scandali e polemiche. Esse andavano – e tutt’oggi vanno – dalla sua fisicità e dal colore della pelle fino alla damnatio per le accuse di pedofilia. Date queste premesse, non può stupire che una canzone così critica come They Don’t Care About Us abbia potuto sollevare innumerevoli attacchi ai danni di Jackson.
La prima insinuazione che ricevette riguardò il suo presunto antisemitismo. Infatti, un verso del brano recita:
Jew me, sue me, everybody do me (Dammi dell’ebreo, fammi causa, tutti quanti lo fanno)
Kick me, kike me, don’t you black or white me (Calciami, dammi del giudeo, non darmi del bianco o del nero).
Il termine inglese “kike”, infatti, è considerato in modo dispregiativo e come attacco alla comunità ebraica. Il Re del Pop dovette scusarsi per la scelta del vocabolo, spiegando il perché del suo utilizzo. Mettendo “kike” in quella posizione del testo, Michael voleva rivolgerlo a se stesso per farsi ancora più palesemente carico degli insulti verbali che quotidianamente alcune comunità sono costrette a sopportare.
L’altra polemica scoppiò con la pubblicazione di uno dei due videoclip del singolo. Infatti, il regista Spike Lee decide di girare il primo in un carcere, dove spiccavano diverse scene di violenza. Per questo motivo ne diresse un secondo a Salvador da Bahia e nella favela di Santa Marta a Rio de Janeiro, in Brasile. Le diverse autorità brasiliane che temevano che il video potesse portare cattiva pubblicità al Paese dovettero ricredersi. Grazie al successo di They Don’t Care About Us, gli abitanti di Santa Marta riscontrano alcuni benefici, soprattutto per il miglioramento della loro situazione sociale.
They Don’t Care About Us e il movimento Black Lives Matter
Il 25 maggio 2020 il mondo intero rimase scioccato per la vicenda che ha visto protagonista George Floyd. Accusato di avere utilizzato una banconota contraffatta, l’uomo viene dichiarato in arresto dagli agenti della polizia di Minneapolis. Ne segue una colluttazione che porta alla messa a terra di Floyd, tenuto fermo da uno dei poliziotti. Durante le immagini e gli audio trapelati, si sente chiaramente l’uomo dire «I can’t breathe». Non posso respirare. Il materiale del momento dell’arresto fa il giro del globo. La violenza con cui Floyd, cittadino afroamericano di 46 anni, è stato tenuto a terra fino a morire di soffocamento, sconvolge e fa arrabbiare.
La sua morte viene sommata a quella di altri americani neri uccisi malamente negli anni dalla polizia perché sospettati – ingiustamente o meno – di vari crimini. Inoltre, l’episodio fa scatenare quella rabbia repressa da ormai troppo tempo nell’animo di coloro che non hanno – per ora – pagato con la loro vita, ma che vivono costantemente discriminazioni e soprusi a causa del colore della loro pelle. Così, prende avvio il movimento Black Lives Matter.
Durante le manifestazioni che hanno seguito la tragedia, la popolazione statunitense e non solo ha trovato l’inno per far sentire la sua voce: They Don’t Care About Us. Il brano di Michael Jackson è tornato con forza a girare per radio, aiutando a unire sempre più persone nella lotta contro il razzismo e a fare sentire meno soli chi ne è vittima. A 25 anni di distanza dalla sua uscita, il grido di protesta del Re del Pop si rivela tristemente ancora più attuale. Ci auguriamo che un giorno sia solo un monito e una canzone da cantare in ricordo delle drammatiche situazioni del passato.
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