Ora più che mai, dopo mesi di crisi, il mondo avverte la necessità di ricominciare, di migliorare, di riplasmare se stesso in base alle esigenze che la situazione richiede e, malvolentieri, impone. Dal lavoro alla sanità, dal quotidiano alle occasioni pubbliche, non esiste ambito della vita che non sia stato coinvolto in questi mesi di stravolgimento globale. I più scettici vedranno questa situazione come un inevitabile declino verso condizioni peggiori delle precedenti, i più ottimisti, invece, riusciranno forse a scorgere in questa momentanea e dura crisi sociale un lampo di speranza, una breccia verso un miglioramento che si può costruire ex novo. Ma quale settore può cambiare tanto radicalmente?
Charles Leadbeater, consulente d’innovazione, spiega risoluto durante una conferenza quella che secondo lui (e non solo) potrebbe essere la chiave per una nuova forma di insegnamento, un nuovo sistema educativo in grado di non perdere nessuno durante il percorso d’apprendimento e che, in modalità e tempi diversi, può rivelarsi il metodo ottimale per il successo di ciascun studente nel campo che più gli compete, senza mai pregiudicare la sua educazione scolastica. A dirlo sembra quasi un’utopia, tuttavia sono numerosi i dati raccolti in vari luoghi del pianeta a supporto di quest’ipotesi. La chiave di tutto in realtà è qualcosa che si dà per scontato, che spesso si cerca di imporre, ma che per natura può essere solamente volontaria, individuale: la motivazione. Questa strana spinta che tutti hanno per le passioni più disparate è il motore che può risanare il sistema educativo e scolastico. Ma come?
Ebbene, secondo Leadbeater, esistono due principali sistemi di educazione nel mondo. Il primo di essi è il cosiddetto push, quello che tutti conoscono, quello che molti hanno detestato, quello che in qualche modo ha pur raggiunto il suo obiettivo (l’insegnamento) ma senza davvero colpire nel segno. Questo metodo è il più popolare, nato nel XIX secolo con l’inizio dell’imprenditoria sociale e soprannominato anche bismarkiano, si basa sostanzialmente sull’impartire nozioni a studenti che per obbligo sono tenuti a frequentare le scuole e che, a volte passivamente, imparano lezioni che spesso non si dimostrano realmente efficaci sul piano quotidiano, sia dal punto di vista della percentuale di studenti che rispondono positivamente a questo tipo di insegnamento, sia dal punto di vista più generale, che vede questi individui incapaci di inserirsi nel mondo esterno non essendo loro in possesso di strumenti reali per farlo.
La seconda tipologia di sistema educativo è invece una sorta di contrario del primo: il sistema pull. Il richiamo per opposizione è evidente: mentre il primo spinge, costringe gli studenti a imparare e li priva non raramente di esprimersi, il secondo li attira, li induce di loro spontanea volontà ad assorbire concetti che loro desiderano conoscere. Certo non mancano ragazzi che siano assetati di sapere anche in situazioni di normale insegnamento di tipo push, ma, se si vuole essere realisti, bisognerà riconoscere che la percentuale di bambini e adolescenti attirati dalla scuola per il puro piacere di ascoltare passivamente è a dir poco scarsa.
In questi casi la motivazione si rivela l’unico fattore che riesce a riportare i ragazzi nelle “aule” e li tolga dalla strada. È interessante notare che in moltissimi di questi paesi del terzo mondo la spinta al desiderio di conoscenza avvenga grazie alla tecnologia. I computer che diversi imprenditori sociali locali mettono a disposizione nelle città sono la chiave di qualcosa che finora era mancato, una ricerca volontaria all’apprendimento. Che sia per l’interattività del dispositivo, che sia per le molteplici offerte di interazione o ancora per la grande varietà di esperienze che si hanno grazie alla tecnologia, questo sembra essere finora il tentativo più efficace. La noia che fa abbandonare le classi viene sostituita dall’entusiasmo di cimentarsi in nuove prove, spesso veicolate anche da sport, giochi, attività pratiche e specializzate che nei paesi europei e negli Stati Uniti sono perlopiù percepiti come secondari all’istituzione scolastica.
Di esempi simili se ne trovano già e senza dover guardare ai migliori istituti in fatto di qualità dell’insegnamento: El sistema in Venezuela, il Pratham di Madhav Chavam e tanti altri modelli si trovano dove meno ce lo si aspetta. Che sia forse giunto il momento di cambiare, di abbandonare i vecchi metodi rigidi per lasciare il passo a qualcosa di più rivoluzionario e innovativo? Se è così, il momento è arrivato e si potrebbe davvero pensare che non tutto il male vien per nuocere.