“Ti odio, ti odio/Ti odio Peter Pan” canta Antonio Ciulla, in arte solo Ciulla, nel suo singolo Mamma Ho Perso Lo Stereo. Il brano è stato pubblicato lo scorso 28 luglio 2020 per Costello’s Records.
Un salto nel vuoto, la maturità
Non sai quanto, nel letto, paura mi fa
Ti odio, ti odio, ti odio, Peter Pan.
Antonio è un cantautore, produttore e compositore di colonne sonore. Ama scrivere canzoni dalla terza media, e sa già che è vuole continuare a farlo per tutta la vita.
“Voglia di cambiare per non cambiare mai“
La sua carriera inizia nel 2010 con i Violacida, band con cui incide i due album Storie mancate e La migliore età. Dopo numerosi successi, come la partecipazione al MI AMI e la composizione di colonne sonore per diversi progetti, inizia la sua carriera da solista.
Ed è così che nasce il primo album Canzoni dal quarto piano, che lo porterà a suonare sugli stessi palchi di artisti come i Canova, Giorgio Poi, Fulminacci, Galeffi e Postino.
Il divorzio dei miei, il trasferimento da una provincia all’altra, il sesso, gli amori non ricambiati, quelli mai confessati, la maturità, le crisi nel mezzo della notte, le canzoni, il sogno della vita e la voglia di cambiare per non cambiare mai.
Tutto questo, e molto di più, lo ha portato a scrivere il brano Mamma Ho Perso Lo Stereo.
Album dei ricordi
Il concept di questo nuovo progetto di Ciulla è molto intrigante: parte tutto da una call to action Instagram, con la quale si fa una piccola richiesta ai fan dell’artista: raccontare, con una nota vocale, il ricordo più bello della propria infanzia (o adolescenza). A completare il tutto è stato un album di figurine realizzato da Veronica Moglia, basato sui ricordi dell’artista che hanno ispirato la creazione del singolo.
Noi de «Lo Sbuffo» abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Ciulla in occasione dei suoi nuovi lavori, ecco cosa ci ha raccontato!
L’intervista
Ciao Antonio, come stai? Ci spieghi chi è Ciulla e quando hai capito che la musica sarebbe diventata qualcosa di più che una semplice passione?
Ciao, direi che in questo periodo sto abbastanza bene. Ovviamente mi sento un po’ frastornato visto il momento che stiamo vivendo e anch’io, come tanti altri, faccio fatica a prendere sonno. Ho quasi trent’anni, un futuro incerto e solo ultimamente credo di avere iniziato a rendermi conto della gravità di quello che abbiamo passato nei mesi scorsi.
Allo stesso tempo, però, sono molto eccitato perché a livello musicale si stanno finalmente muovendo tante cose. Ci sono vari progetti in ballo, una squadra che crede in me e, in generale, tutto sembra in divenire.
Ciulla è semplicemente il mio cognome e la voglia di fare musica è tutto quello che mi appartiene da quando avevo undici/dodici anni. In quel periodo trascorrevo la maggior parte del tempo da mia nonna e, percorrendo in bici il viale davanti casa, nella mia testa si formavano costantemente melodie incredibili e arrangiamenti intricatissimi.
A distanza di tanto tempo non riesco ancora a spiegarmelo, un po’ come quando ci sorprendiamo della complessità delle visioni che riusciamo a creare nei sogni. Non ho mai scelto di voler diventare musicista. Credo sia stata l’unica strada che avrei potuto percorrere.
C’è sempre un’etichetta sugli artisti, per classificarli in generi precisi. Come ti vedi all’interno dell’attuale scena musicale italiana?
Tentare di identificarsi in un’etichetta o un gruppo per cercare di dare un senso alla nostra esistenza è un qualcosa di tipicamente adolescenziale ed io, ormai da tanto tempo, mi sforzo di non confrontarmi più con nessuno. La storia ha voluto che finissi in quel calderone che viene chiamato “Indie” ma sinceramente provo un po’ fastidio quando questo termine viene associato a me perché si porta dietro l’immagine di un mondo saturo e standardizzato che penso non abbia più molto da offrire.
Credo semplicemente di fare una sorta di “pop d’autore” e la mia aspirazione è quella di creare qualcosa che resti, anche a costo di metterci del tempo. Da questo punto di vista mi sento molto classico.
Quali sono i tuoi punti di forza che pensi possano distinguerti rispetto ai tuoi colleghi?
Credo la volontà di fare qualcosa di qualità e che sia davvero popolare, che non si rivolga necessariamente a una cerchia ristretta di ascoltatori e che non sia necessariamente “a passo con i tempi”. Molte delle produzioni che sento su Indie Italia, ad esempio, sembra che vogliano parlare al “qui e ora”. Come dicevo prima, io invece vorrei provare a portare della musica che possa rimanere nel tempo e l’unica regola che mi do quando scrivo è quella di fare qualcosa che, prima di tutto, emozioni me.
È da poco uscito il tuo nuovo singolo Mamma ho perso lo stereo, ce lo racconti? Quali sono state le esperienze che ti hanno portato a scriverlo?
La composizione del pezzo risale a un paio di anni fa e il testo è stato scritto nell’arco di una notte insieme al mio amico Alberto Paradossi. Nel pezzo ho messo tante cose della mia vita raccontate senza troppi mezzi termini: il divorzio dei miei genitori quando avevo sette anni, il conseguente trasferimento da una città a un’altra, le turbe adolescenziali e tutto il contesto storico in cui sono cresciuto. E’ un breve excursus della mia vita che mette in relazione il me “piccolo” di ieri e quello ventinovenne di oggi. Un brano che attraverso la melodia e l’ironia racconta delle cose davvero pesanti che mi sono successe nell’arco della mia vita in cui, credo, si possano riconoscere in tanti.
Com’è nata l’idea di raccogliere le note vocali per l’album?
Quando abbiamo deciso che Mamma ho perso lo stereo sarebbe stato il mio nuovo singolo ho pensato che sarebbe stato interessante e funzionale trovare una manovra promozionale che potesse spingere il pezzo.
Ne ho parlato con il mio manager Antonio Bollettino e con Simone Castello di Costello’s il quale ha avuto una brillante idea: fare una call to action sui social chiedendo ad amici e fan di inviarmi una nota vocale Whatsapp che contenesse al suo interno un aneddoto, un ricordo o un episodio particolarmente significativo della propria infanzia. Il mio compito sarebbe stato quello di raccogliere questi audio, musicarli e racchiuderli all’interno di un disco che si sarebbe intitolato Album dei ricordi.
Questo è quello che avevamo in mente e questo è quello che abbiamo fatto. Il risultato è stato sorprendente: in poco più di una settimana ho musicato quasi venti racconti che mi sono arrivati e in un mese abbiamo pubblicato sia l’album che il singolo.
Che dire, credo che nessuno abbia mai fatto un esperimento del genere e mi sento molto orgoglioso di essere riuscito a portarlo a termine. Il progetto sta ricevendo davvero moltissimi apprezzamenti e non solo per l’idea originale: tante persone mi scrivono per dirmi che si sono emozionate ad ascoltare le storie perché in ognuna ha ritrovato un pezzo di sé.
https://www.instagram.com/p/CE6pOO_DVk7/?igshid=15tjon1tk7yw0
Cosa rappresenta Album dei ricordi? Qual è il brano che hai più a cuore?
Per me rappresenta la cosa più folle che abbia mai fatto e non smetterò mai di ringraziare la mia squadra e tutte le persone che hanno inviato le loro storie. Tra queste ci sono anche degli amici e dei colleghi che stimo moltissimo come Emma Nolde, Eugenio Sournia dei Siberia, Maru, Bonetti, Carlo e Simone dei Senna, Giacomo Gelati de Le Altri di B, Nicola Lombardo e Giorgio Mannucci. Le storie mi piacciono più o meno tutte anche se ci sono alcune di cui vado più fiero per il commento musicale come, ad esempio, L’Accampamento di Emma Nolde o Sliding doors di Eugenio Sournia.
Ma il brano che ho più a cuore è paradossalmente quello in cui ho deciso di intervenire meno a livello musicale, ovvero, La cosa più normale del mondo di Maru. Quando mi è arrivata la nota vocale mi sono reso conto che stavo per mettere le mani su qualcosa di davvero importante e non nascondo di essermi commosso. Il mio commento musicale sotto le sue parole è ridotto davvero al minimo perché non c’è bisogno di dire altro: la forza del racconto sta tutta e soltanto nelle parole di Maru.
Album dei ricordi è decisamente diverso da Canzoni dal quarto piano. Com’è arrivato questo cambiamento?
Album dei ricordi è un album particolare e quindi non lo metterei sullo stesso piano di Canzoni dal quarto piano. Sono due progetti diversi che rispecchiano due approcci diversi: il primo è un esperimento, mentre il secondo è più un disco tradizionale.
Piuttosto che indignarci per le parole del boss di Spotify Daniel EK, credo che i musicisti dovrebbero effettivamente prendere atto che i tempi sono cambiati. Invece di affidarci sempre al meccanismo di uscita “singoli – album”, penso che dovremmo iniziare a pensarla in maniera orizzontale. “Album dei Ricordi” è questo: un progetto pop che ha cercato di fare qualcosa di diverso andando oltre il concetto di pop stesso.
Com’è stato ritrovarsi in copertina della Playlist “Nuovo Indie Italiano” di Amazon?
Beh direi che è stata una bellissima sorpresa. Aldilà di tutto quello che posso pensare del concetto di “indie” o “non indie”, comunque, non posso nascondere che ne sono stato davvero felice e spero che sia il segno che le cose si stiano evolvendo positivamente per me. Aggiungo che la cosa mi ha pure divertito perché da sentirsi l’eterno escluso da questo genere di cose a diventarne addirittura la copertina è stato un attimo.
Insieme al brano e all’album è uscito anche il videoclip di Mamma ho perso lo stereo. Raccontaci l’idea dietro al video, e come l’hai organizzato.
Il merito del video va tutto a Bruno Ciancaglini che ha scritto e diretto tutta quanta l’operazione. Tralasciando il caso di “Ventisette anni”, un pezzo del mio primo disco di cui mi sono occupato personalmente del video, tendo a dare briglia sciolta ai registi con cui collaboro. Per questo motivo, per saperne di più, dovresti parlare direttamente con Bruno.
Il protagonista del video invece è proprio Alberto Paradossi, il coautore del testo della canzone. Alberto è di Lucca come me e il regista e, ultimamente, ha interpretato il ruolo di Bobo Craxi in Hammamet di Gianni Amelio e quello di Federico Fellini nel film Rai Permette, Alberto Sordi. Sarò un po’ sciocco nel dirlo, ma mi piace immaginare Alberto come il mio alter ego cinematografico.
Siamo arrivati all’ultima domanda. Sei soddisfatto del risultato di questo lavoro? Hai già un nuovo progetto in mente?
Per indole personale non riesco mai a definirmi totalmente soddisfatto di qualcosa. Ho sempre da lamentarmi di qualcosa e questo, alcune volte, mi rende una persona un po’ difficile da sopportare. Penso comunque che alla fine va bene così perché in questo mestiere, se ti ritieni soddisfatto, sei perduto. Per il resto ci sono in cantiere diversi progetti che sto sviluppando ma che, ancora, non mi sento di svelare.
Materiale gentilmente fornito da Costello’s
Copertina e immagini gentilmente fornite da Costello’s