L’emergenza Coronavirus ha lasciato esterrefatti e colto impreparati tutti, in modo particolare gli artisti. L’idea di un’arte che sia prima di tutto un momento di condivisione e contatto psico-fisico lascia il posto a un’asettica ricerca di cultura troppo spesso non desiderata. I compromessi a cui gli artisti devono inevitabilmente scendere sono infatti limitanti e spesso in contraddizione con il presupposto artistico della stessa produzione. Viene meno per prima cosa l’idea di pubblico, un insieme di persone che si radunano volontariamente per assistere a uno spettacolo. Ne fanno i conti principalmente gli artisti di strada e circensi, abituati a un’idea di spettacolo non teatralmente codificato e strettamente dipendenti dalla folla radunata nelle piazze. L’emergenza ha tuttavia travolto come un turbine impetuoso anche realtà massicce e apparentemente insormontabili. È il caso del Cirque du Soleil, l’organizzazione circense più importante del mondo che ha dichiarato bancarotta lo scorso giugno.
La dichiarazione di bancarotta ha lasciato esterrefatto il mondo intero. Sembra infatti incredibile che un’istituzione artistica di tali dimensioni possa essere sopraffatta da un periodo di chiusura forzata. Così il Coronavirus ha cancellato anche «il più grande franchising del divertimento al mondo» (come sostiene il New York Times), dando fine ai sogni e alle speranze di milioni di uomini e bambini, che vedono nel circo una “macchina di sogni”, non solo una semplice fonte di intrattenimento. La crisi ha prodotto l’immediata cancellazione di 44 spettacoli in giro per il mondo programmati per il 2020 e il conseguente licenziamento del 95% dei lavoratori (corrispondente a circa 4000 operatori dello spettacolo). Il dato appare impressionante, ma alquanto obiettivo per un’analisi dei danni causati dalla pandemia. L’impatto subito dal Cirque du Soleil non può che preludere alla tragedia percepita da molteplici realtà artistiche e teatrali minori sparse per l’Italia.
Il crac del Circque du Soleil è una tragedia storica che segna la fine di un’era. L’organizzazione circense, nata più di quaranta anni fa per iniziativa del mangiafuoco e trampoliere Guy Laliberté, ha infatti rivoluzionato la concezione del circo. L’idea era quella di trasformare il circo tradizionale, che vede al centro l’uomo come domatore di animali, in un circo antropocentrico, in cui l’uomo ne è il protagonista indiscusso. Gli artisti del Cirque du Soleil sono infatti trampolieri, giocolieri, equilibristi: l’obiettivo è potenziare e valorizzare l’uomo nelle sue molteplici attitudini e forme. L’evoluzione del circo inerisce alla volontà di allontanare l’arte dallo sfruttamento degli animali, per generare un divertimento che non sia grezzo intrattenimento, ma uno spettacolo d’arte contemporanea.L’istituzione si pone alla base di un filone di ricerca che conduce verso la teatralizzazione del circo, attualmente molto praticato.
La macchina del Cirque du Soleil, immensa, aveva una diffusione mondiale. Tuttavia, le 100 lingue del mondo che compongono lo spettacolo e gli operatori provenienti da più di 70 paesi del mondo, non sono stati in grado di reggere l’impatto devastante della pandemia. Il disagio causato coinvolge in primo luogo gli operatori, costretti al licenziamento. Ma provoca anche un disguido nell’ordine sociale e nel mondo della cultura. Il Cirque du Soleil non è infatti che un simbolo della crisi che ha sopraffatto l’intero mondo dello spettacolo. Alla base dell’organizzazione esisteva infatti un importante giro d’affari e il successo degli spettacoli in giro per il mondo era assicurato. È impressionante dunque ricondurre l’intero ammontare della crisi alla sola emergenza Coronavirus. Eppure l’interruzione degli spettacoli per un periodo prolungato ha messo in crisi tale macchina così complessa e strutturata da apparire insormontabile.
Perdere il Cirque du Soleil significa strappare all’umanità un pezzo di cultura. In qualità di caposaldo dell’evoluzione del circo contemporaneo, lo sradicamento dell’istituzione ha effetto sulle singole realtà che dal circo hanno preso ispirazione. Il circo infatti è un’istituzione organizzata piuttosto simile a quella teatrale. Ciò presupporrebbe dunque la garanzia di un distanziamento sociale da parte degli spettatori. La ripartenza autunnale non sembrerebbe allora un’utopica speranza, ma una realtà prossima e facilmente realizzabile.
Tuttavia, il fallimento del Cirque du Soleil ci ricorda ancora una volta quanto sia fragile l’industria dell’arte e quanto sia tristemente semplice sgretolare la cultura. Nella speranza che la “bancarotta controllata” possa ridare vita all’organizzazione circense più importante del mondo, gli artisti lavorano in silenzio, dietro le quinte. Perché “la macchina dei sogni” non si deve fermare.
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