A metà settembre si terrà il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Questo tipo di referendum, basato sull’articolo 138 della Costituzione, serve a confermare o respingere una modifica alla Costituzione. Come già scritto in precedenza, questo è solo uno dei possibili referendum che l’ordinamento italiano consente. In realtà, il voto si sarebbe dovuto tenere il 29 marzo 2020 come da decisione del Consiglio dei Ministri del 27 gennaio (in attesa della conferma del Presidente Mattarella).
Ovviamente, la pandemia ha fatto sì che il referendum dovesse essere spostato. In base al decreto Cura Italia infatti, convertito nella legge 27/2020, il processo referendario è stato prorogato e dovrà tenersi entro 240 giorni dalla comunicazione dell’ammissibilità del 23 gennaio. L’opzione migliore, secondo la maggioranza, è quella di un “election day”. Ciò significa che le elezioni amministrative (comunali, regionali e suppletive per il Parlamento) e il referendum si terranno insieme, il 20 e 21 settembre.
Da dove viene e cosa prevede il referendum
L’iniziativa referendaria è volta alla conferma della legge di riforma costituzionale A.C. 1585- B cost, già passata in seconda lettura in Camera e Senato. Il testo finale infatti si trova sulla Gazzetta Ufficiale del 12 ottobre 2019. Come spiega il relatore Gaetano Quagliarello (ex Pdl e ex NCD), lo scopo è ridurre il numero dei parlamentari in vista di una riforma più ampia del sistema politico italiano. In particolare, il Senato passerebbe da 315 a 200 senatori e la Camera da 630 a 400 deputati.
Dopo essere stato approvata in seconda lettura, la riforma era pronta per entrare in vigore alle prossime elezioni, non richiedendo una modifica del sistema elettorale. Tuttavia, in accordo alla Costituzione, dopo il fallimento della raccolta firme dei radicali, un quinto dei senatori ha presentato le firme per il referendum. Questa scelta è stata fortemente criticata dal M5S, da sempre a favore di tale riduzione.
Le critiche sono poi aumentate quanto per raggiungere il numero sufficiente di firme è stato necessario l’intervento di sette parlamentari leghisti. Infatti, Salvini si era sempre dichiarato a favore, così come la maggioranza dell’arco costituzionale. Ovviamente si trattava di strategia politica per causare frizioni nella maggioranza e avvicinare le elezioni, ma poi è arrivato il Covid.
Il testo del referendum è comunque molto semplice e prevede una risposta negativa o affermativa al seguente quesito:
Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?
Il fronte del Sì
L’idea di fondo del fronte del sì è quella di cercare di snellire l’iter parlamentare in un Paese che è l’unico in Europa ad avere un bicameralismo perfetto (ovvero Senato e Camera dei Deputati hanno le stesse funzioni). Inoltre, viene spesso citato il risparmio che verrebbe da questa riduzione che è stimato intorno ai cento milioni di euro lordi l’anno.
Nel testo si parla di una riforma costituzionale di maggior respiro che dovrebbe portare l’Italia a una maggiore “stabilità”, secondo la famosa formula della “governabilità”. Infatti, sono depositati in Parlamento alcuni testi come quello per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica o per l’abbassamento della soglia d’età dell’elettorato attivo e passivo per il Senato.
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Inoltre, da molto tempo circolano voci su una riforma elettorale che dovrebbe andare a sostituire il Rosatellum. Tuttavia, né maggioranza né opposizioni hanno ancora capito se conviene loro di più il maggioritario, il proporzionale o una via di mezzo come il Mattarellum.
Il fronte del sì inoltre tiene a rimarcare come l’Italia si metterebbe alla pari con le altre nazioni UE per quanto riguarda il numero di parlamentari. Infatti, al momento l’Italia guida la fila con 945 parlamentari contro i 700 della Germania, i 650 del Regno Unito e i poco meno di 600 della Francia.
La speranza del sì è quindi anche quella di rafforzare la credibilità del Parlamento che, complice la caratura di certi personaggi, ha perso molto rispetto e dignità agli occhi della cittadinanza.
Il fronte del No
Pur probabilmente destinato alla sconfitta, il fronte del No si è organizzato in comitati per informare i cittadini sulle proprio ragioni. Innanzitutto, i sostenitori del no affermano che il risparmio che risulterebbe è irrisorio e rappresenta sostanzialmente una manovra che punta alla pancia più che al cervello.
Inoltre, il concetto di rappresentanza perderebbe la sua forza, eliminando qualsiasi tipo di relazione tra cittadino e il suo rappresentante. Infatti, in caso di vittoria del referendum l’Italia sarebbe il Paese con la rappresentatività più bassa d’Europa: 0,7% deputati per 100,000 abitanti, sorpassando lo 0,8% della Spagna. Fare il confronto coi Senati invece avrebbe poco senso perché, come è stato detto, l’Italia è l’unico Paese europeo dotato di bicamerismo perfetto e non tutti i Paesi europei hanno un Senato.
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Un’altra ragione del No è il fatto che con questa legge elettorale, con listini bloccati e candidati nominati, i parlamentari sarebbero scelti dall’alto dei partiti. Questo rafforzerebbe l’oligarchia partitica che perdura in Italia da lungo tempo. Si potrebbe quindi creare più facilmente una stretta cerchia oligarchica, anche se la situazione odierna non è poi troppo diversa.
Curioso è anche riflettere sul fatto che quando si è pensato ai numeri di Camera e Senato,nel 1963, la popolazione italiana raggiungeva a mala pena i 50 milioni. Ora invece la popolazione rappresentata è aumentata di circa 10 milioni rispetto al 1963, anno di introduzione del numero attuale di parlamentari. Eppure il numero è rimaso sempre lo stesso, novecentoquarantacinque, senza preoccupazioni per la ridotta rappresentatività.
Una critica dei Comitati per il No va anche verso la scelta dell’Election Day di settembre che unisce elezioni amministrative e un referendum costituzionale. Secondo loro infatti questo comprometterebbe una campagna di informazione chiara e onesta.
Cosa fare dunque?
Ovviamente ogni fronte ha le sue ragioni, condivisibili o meno, e prima del voto sarebbe opportuno conoscerle approfonditamente. Le tesi dell’una e dell’altra parte sono entrambe abbastanza ragionevoli e dunque deve essere una scelta ponderata. Seppur possa sembrare irrilevante rispetto alle elezioni politiche, si tratta di una scelta non di poco conto. Il referendum è infatti il momento in cui il cittadino si esprime come singolo e non attraverso l’elezione di un rappresentante.
Non bisogna inoltre scordare che questo referendum non è stato chiesto dalla maggioranza, bensì da una raccolta firme di parlamentari contrari alla modifica costituzionale che altrimenti sarebbe entrata in vigore. Infatti, l’iter di approvazione aveva ormai raggiunto la fine ed era stata approvata. Ancora più curioso è il fatto che sia stata necessaria proprio una pattuglia di leghisti, apparentemente a favore del taglio, per raggiungere il numero di firme richiesto per l’avvio del processo referendario, proposto dagli oppositori della riforma.
Rimane dunque il problema di dove si terranno tutte queste votazioni. Dal mondo della scuola, dove di solito si tengono le elezioni, provengono appelli perché si trovino dei nuovi seggi. A parere dei presidi e degli insegnanti infatti bisognerebbe fare di tutto per evitare di ritardare il rientro in classe. La pandemia del resto ha già creato problematiche anche organizzative non indifferenti al mondo dell’istruzione. Proprio recentemente, tuttavia, il Viminale ha annunciato di aver difficoltà nel trovare nuovi luoghi adatti a svolgere la funzione di seggio elettorale. Pare dunque che si voterà come sempre negli edifici scolastici.