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Amazzonia: il legame tra gli incendi, la deforestazione e la soia

Secondo la sezione brasiliana di Greenpeace, il 19% dell’Amazzonia è sparito per lasciare posto a coltivazioni intensive, prevalentemente di soia. A partire da gennaio 2019 sono stati registrati più di 39.000 incendi in Amazzonia, la foresta pluviale più famosa al mondo che si estende per ben nove Paesi sudamericani. Gli incendi sono aumentati dell’83% rispetto al 2018: essi sono la modalità più rapida per rendere il territorio della foresta amazzonica adatto per poter essere sfruttato con altri fini, come il pascolo estensivo e l’agricoltura industriale.

Bolsonaro: sì allo sfruttamento dell’Amazzonia

Questo allarmante fenomeno si è molto aggravato negli scorsi mesi per via di diversi fattori. Una delle ragioni principali è il cambio di governo in Brasile, lo Stato che ha al suo interno la più ampia porzione di foresta amazzonica. A differenza di quanto hanno fatto i governi di sinistra di Lula e di Dilma Rousseff negli anni passati, sempre in precario equilibrio tra la conservazione dell’Amazzonia e gli interessi dell’industria alimentare, l’ascesa di Jair Bolsonaro ha cambiato le cose.

Il presidente brasiliano, salito al potere il 1° gennaio 2019 e negazionista del cambiamento climatico, ha vinto le elezioni anche grazie all’appoggio della lobby dei coltivatori di soia, a cui ha promesso un libero sfruttamento delle terre. Questo ha un impatto fortissimo non solo sull’ambiente, ma anche sugli indigeni che abitano queste terre. Va detto comunque che Bolsonaro sta solo facilitando e accelerando un processo di sfruttamento dell’Amazzonia che va avanti già da decenni.

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Amazzonia o Repubblica della Soia?

L’agevolare gli interessi dell’agribusiness è ormai da tempo una linea comune a molti Stati sudamericani. Diverse foreste di importanza mondiale per la conservazione della biodiversità e per la lotta al cambiamento climatico sono state spazzate via per far posto all’agricoltura industriale, e l’Amazzonia è una di queste.

Una parte di Sudamerica che comprende Bolivia, Paraguay, Uruguay e larghe porzioni di Argentina e Brasile è stata denominata “Repubblica Unita della Soia”. Qui le monocolture di soia coprono 46 milioni di ettari di territorio.

Lo sfruttamento territoriale del Mato Grosso

La sola regione brasiliana del Mato Grosso è stata convertita, dagli anni Ottanta a questa parte, in una gigantesca monocoltura di soia, che si estende per ben sette milioni di ettari. Questo territorio era famoso per il cerrado, un ecosistema di alberi e arbusti noto per la sua biodiversità ma inadatto all’agricoltura.

Ora la foresta è sparita per lasciare posto a sterminati campi di soia. Il processo per convertire il territorio è stato traumatico, poiché ha previsto l’applicazione di tecniche invasive e pesticidi che hanno causato danni gravissimi all’ecosistema.

Il legame tra soia e industria della carne

Lo sfruttamento territoriale per la coltivazione di soia è destinato ad aumentare sempre di più, addirittura a raddoppiare secondo le stime della FAO. Questo aumento della domanda di soia non dipende tuttavia da un aumento del consumo di questo legume nelle nostre diete, in quanto la soia è considerata come uno dei principali sostituti della carne, ma da un incremento massiccio del consumo di carne a livello globale, soprattutto nei Paesi asiatici.

Secondo il dossier “Amazzonia nel piatto” del WWF, solo il 6% di tutta la produzione globale di soia è destinato direttamente all’alimentazione umana. Un altro 76% di questa porzione finisce comunque indirettamente sulle nostre tavole, perché viene usato per i mangimi di polli, maiali e mucche negli allevamenti intensivi. In pratica, l’aumento della domanda di carne a livello mondiale provoca un aumento dei capi allevati in maniera intensiva, già di per sé dannosa per l’ambiente, e delle materie prime necessarie per nutrirli.

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Soia e Amazzonia: una questione geopolitica

Una sezione molto ridotta della soia coltivata in Sudamerica rimane lì: questa regione funge infatti da granaio degli allevamenti intensivi, soprattutto europei e cinesi. Il fenomeno dell’importazione di soia sudamericana probabilmente crescerà nel prossimo futuro, vista la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti sono un altro dei principali produttori di soia a livello mondiale. Tuttavia, la Cina ormai non importa quasi più la soia americana visti i rapporti sempre più tesi con gli USA, preferendo quella proveniente dal Sudamerica.

La crescita di domanda di soia sudamericana da parte degli allevamenti cinesi porta le multinazionali, come le statunitensi Cargill e Bunge e la brasiliana Amaggi, che hanno in mano buona parte della coltivazione di soia a cercare nuove terre da coltivare, prendendosi una porzione ancora maggiore di foresta amazzonica.

Il land grabbing delle multinazionali

Poichè spesso vi sono scontri con coloro che vivono e lavorano, le multinazionali o i governi tendono a comprare in blocco gli appezzamenti per riconvertirli in base ai propri interessi. Questo fenomeno, definito land grabbing, è un danno per l’ambiente e per gli equilibri sociali. Lo sfruttamento estrattivo dei territori costringe molti abitanti a diventare migranti economici.

Gli effetti devastanti sulla biodiversità

Il sistema di produzione industriale di cibo rappresenta dunque un danno gigantesco per il clima e per l’ambiente. È difficile capire come ridurre l’impatto di questa industria, viste le interconnessioni tra le diverse parti della filiera. Il professore di geografia americano Tony Weis, autore di The Global Food Economy: The Battle for the Future of Farming, descrive l’industria della carne mondiale come un sistema che funziona secondo una triangolazione tra animali, cereali e semi oleosi. Secondo le sue previsioni, se il consumo di carne continuerà a crescere, nel 2050 sarà necessario destinare alle monocolture di soia due terzi delle terre coltivabili.

Questo avrà effetti devastanti sulla biodiversità del nostro pianeta e sul clima. Infatti, l’Amazzonia, come tutte le foreste del mondo, ha un ruolo fondamentale nel contrastare il riscaldamento globale. Sicuramente dei cambiamenti a livello personale sono utili, per quanto possibile. Tuttavia, quello che davvero potrà migliorare la situazione saranno cambi a livello sistemico, come regolamentare l’attività delle multinazionali del cibo.

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