È quando la statua è finita, che la si comincia.
È possibile raggiungere l’astrazione attraverso la scultura? Non parliamo di astrattismo scultoreo in senso stretto, ovvero di sculture che si articolano in forme, linee e curve deprivate di ogni riferimento alla realtà. Parliamo di qualcosa di più profondo e, in un certo senso, arduo. Ovvero della capacità di dar forma all’assoluto, a quella bellezza ideale che risiede nell’Iperuranio (per usare un termine platonico). Il cielo sopra il cielo, il mondo situato al di sopra della mera materialità e al quale, da sempre, gli artisti attingono.
Per certi versi, la potenza della scultura è proprio quella conferire vita alla materia. La capacità di darle il soffio dello spirito, raggiungendo l’assoluto, l’ideale, proprio nella finitezza della materialità. Ma tale potenza non appartiene a tutti. Michelangelo ne ha dato prova con svariate opere, così come lo stesso Canova e si potrebbe continuare ancora, citando grandi scultori del passato.
Ma ci sono pure scultori che passano inosservati, attraversando il fluido della storia, senza acquisire quella nomea che tanto gli spetterebbe. Tanti artisti che pure meriterebbero uno sguardo più ravvicinato, in quanto dotati di quella divina capacità di dare anima alla materia.
Adolfo Wildt
È questo il caso di Adolfo Wildt. Lo scultore italiano è nato a Milano da una famiglia di origini svizzere e ha vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi trent’anni del Novecento. Un artista riscoperto solo negli ultimi decenni e per molto tempo dimenticato dalla storiografia artistica italiana. Forse perché non era sufficientemente legato alla tradizione scultorea greco-romana, ma era in qualche modo uno scultore particolare.
Anzi, si potrebbe definire uno scultore di un’originalità senza pari (perlomeno nell’Italia di primo Novecento). Adolfo Wildt univa, come scrive Vittorio Sgarbi in Novecento, volume 1: “un magistero tecnico eccezionale…a una spasmodica sensibilità emotiva, improntata su una visione tormentata della condizione umana.”
Nelle sculture di Wildt, infatti, emerge una bellezza che poco ha a che fare con l’ideale. Una bellezza nostalgica, ottenuta attraverso una combinazione di virtuosismo tecnico, spiritualità e misticismo che diventano infine un tutt’uno nell’opera compiuta. Lo scultore infatti, nel suo trattatello L’arte del Marmo, scrive:
l’arte dello scolpire…è l’arte di far palpitare la vita, per virtù di ingegno e di mano, là dove essa sembra più esularne…
Eppure, nonostante le sue opere sembrino avere ben poco di ideale, Wildt riesce a evocare un’idea di perfezione e di bellezza che si sgancia dalla tradizione classica, ma che tende all’assoluto, all’astrazione. Quest’ultima viene raggiunta attraverso opere che si situano al confine tra il realismo e il simbolismo. Composizioni che si caricano di un pathos quasi commovente e nelle quali si può percepire tutto il dolore della materia.
L’incontro con Franz Rose
Ma la svolta decisiva della carriera di Adolfo Wildt avviene dopo l’incontro con Franz Rose. Il mecenate tedesco intuisce il talento e la sensibilità racchiusi nelle opere dello scultore e lo introduce negli ambienti del Secessionismo tedesco. È in questo contesto che inizia, secondo gli studiosi, la fase più brillante della carriera dell’artista. Una fase in cui lo scultore sperimenta un linguaggio inedito, caratterizzato da un certo espressionismo di stampo fortemente simbolico.
Da qui avrà inizio un periodo molto fertile per Wildt, in cui l’artista sfoggerà tutta la sua tensione artistica ed emotiva, attraverso opere innovative e suggestive. Queste vengono levigate fino a raggiungere livelli di massima tensione così che la levigazione tecnica sia il risultato di una levigazione emotiva.
Ciò che stupisce di Wildt è infatti l’assoluta capacità e consapevolezza di trasferire nel marmo una straordinaria drammaticità. Quel dolore quasi esistenziale che oscilla tra il misticismo, il realismo e l’espressionismo. Nella sua arte è come se vi fosse sempre la certezza di aver dato forma alla turbolenza dello spirito.
Il tema della maschera
Uno dei temi fondamentali della scultura di Wildt è quello della maschera. Un escamotage tematico perfetto per chi, come lo scultore, forma la propria poetica giocando tra simbolismo ed espressionismo. Ecco che allora la maschera – in senso anche pirandelliano – e più in generale i volti, diventano per Wildt ciò che per Rodin era stata la Divina Commedia nell’opera La porta dell’inferno. Quindi un riferimento che permette all’artista di esaltare la propria forza espressiva.
E allora è nei volti che lo scultore riesce meglio a sintetizzare quell’intensa fragilità della dimensione umana, così centrale nella sua ricerca artistica. Volti, maschere, ritratti sono spesso realizzati scavando completamente l’interno delle parti posteriori, mediante quindi un maniacale lavoro di levigazione e svuotamento della materia. Tutto ciò sfocia infine in un precario equilibrio di vuoti e pieni.
Nelle opere di Adolfo Wildt, però, sembra quasi che le leggi creative della scultura si capovolgano. Come se l’artista, anziché cercare di instillare il soffio vitale nella materia, dando quindi anima a un corpo, eseguisse invece una sorta di estrazione di quel soffio vitale. Le sue opere appaiono quindi come involucri restanti di anime che ne sono uscite. Proprio per questo ne testimoniano la passata presenza.
La purificazione dell’anima attraverso la scultura
Sono dunque sculture che vivono proprio nel loro essere svuotate di anima. Del resto, basta esaminare il Ritratto di Franz Rose per capirlo. Sembra infatti che l’anima del soggetto sia stata estratta da quegli occhi drammaticamente vuoti, lasciando solo l’esoscheletro corporale.
Ma anche in questo vuoto, straordinariamente, si può ancora sentire qualche residuo di spirito, qualche goccia di anima fuggita.E non si potrebbero trovare parole migliori per descrivere Adolfo Wildt, di quelle impiegate da Vittorio Sgarbi.
un realista dell’anima…la sua opera sale verso la più alta purificazione dell’immagine fino a una sintesi quasi astratta…nella quale la materia sembra coinvolta in un tormentato processo di purificazione.
FONTI
Sgarbi V., Il Novecento. Vol. 1: Dal futurismo al neorealismo,La Nave di Teseo, 2018