I titoli dei libri a volte sanno essere tanto criptici quanto ammaliatori. Nelle loro copertine si nasconde il germe della curiosità, capace di catturare e travolgere morbosamente categorie di lettori diversi per ragioni veramente variegate. Questo è ciò che accade quando si vede sullo scaffale di una qualsiasi libreria La paziente silenziosa (Einaudi, 2019), titolo del thriller di Alex Michaelides.
Diceva sempre che l’uomo è fatto di parti diverse, alcune buone, altre cattive, e che una mente sana è in grado di tollerare questa ambivalenza e di destreggiarsi tra il buono e il cattivo. La malattia mentale sta esattamente nell’assenza di questo tipo di equilibrio: finiamo per perdere il contatto con le parti intollerabili di noi stessi. Se volevo aiutarla, avrei dovuto localizzare le parti di Alicia da cui lei stessa stava fuggendo, e collegare i puntini del suo paesaggio mentale.
È indubbio che gli affezionati al noir possano cadere facilmente nella rete di questo titolo e di questo progetto. Non saranno però i soli a finire nella trappola narrativa del primo romanzo dello scrittore cipriota. Infatti, se l’immagine che si staglia ai nostri occhi trasuda di mistero con le sue tinte fosche, la coppia del titolo, formata da nome – paziente – e aggettivo – silenziosa – è capace di fare breccia anche nel lettore più sopito. Pagina dopo paginaci si trova infatti davanti ad un piccolo forziere da dover aprire, permeato da molti piani narrativi, una sfida al lettore fatta da analisi decisamente capillari e non scontate.
Da “lettrice e critica silenziosa” (quasi in modo speculare alla paziente protagonista del libro), tra queste righe ci saranno solo piccole briciole disseminate per incoraggiare la scoperta delle molteplici realtà nascoste sotto il manto delle parole di Michaelides.
La trama si dipana inizialmente in modo apparentemente lineare e con una prosa quasi elementare. Alicia Berenson sembra la protagonista di un quadro idilliaco; pittrice di successo, vive in un esclusivo quartiere londinese ed è sposata con un noto e brillante fotografo, Gabriel. Una sera però Alicia viene trovata immobile in casa sua. Ferma, con dei tagli ai polsi, dopo aver freddato suo marito con ben cinque colpi di pistola in pieno viso.
Da allora sarà detenuta in un ospedale psichiatrico, senza proferire alcuna parola. Il suo silenzio e la sua fama saranno un catalizzatore fondamentale per l’attenzione mediatica e per l’interesse di Theo Faber, psicologo criminale, ostinato nel volerla salvare. E mentre Alicia fa affiorare una comunicazione pittorica, più potente di qualsiasi conversazione, contemporaneamente iniziano i dubbi e le domande del lettore.
Il quadro era un autoritratto. Mise il titolo nell’angolo in basso a sinistra della tela, a lettere greche celesti. Una sola parola: ALCESTI. Alcesti è l’eroina di un mito greco. Una storia d’amore tra le più tristi. Alcesti sacrifica spontaneamente la vita per il marito Admeto, morendo al suo posto quando nessun altro è disposto a farlo.
Contrariamente a quanto si possa pensare, Alicia non è affatto il personaggio cardine del romanzo. La sua vicenda particolare e inspiegabile è la chiave di violino che permette di immergersi soprattutto nella storia personale di Theo, quasi un metodo pericoloso – citando un famoso film di Cronenberg – per risolvere dolori e grandi fragilità personali.
L’autore infatti dipinge tre tele principali per i suoi lettori, tre storie diverse che si intersecano e avvolgono sotto i nostri occhi. Tre voci sposate da quella persuasiva del narratore; una ci richiama la vita privata dello psicologo, intrecciata al resoconto del lavoro generale nell’ospedale psichiatrico dove Theo è occupato. L’ultima tela è il diario scritto da Alicia prima del punto di non ritorno della sua vita, da cui scoprire la fragile psiche della donna.
Ma stiamo leggendo ricostruzioni della realtà o una visione distorta di ciò che è accaduto nella vita di Theo e di Alicia? Come mai Alicia ha scelto di rappresentarsi come Alcesti, l’eroina che si sacrifica per il suo sposo, dopo aver ucciso suo marito? Siamo capaci di raccogliere la sfida di Michaelides e mostrare perspicacia nell’analizzare correttamente la vicenda? Chi ha perso realmente l’equilibrio tra le parti di sé, non sapendosi più destreggiare tra quella buona e quella cattiva?
Riuscire a dipanare la matassa in cui sono intrecciati così tanti fili invisibili è veramente un’opera complessa anche per il lettore più esperto. Nonostante lo stile semplice e a tratti didascalico a causa delle varie citazioni mediche, l’autore crea infatti un legame invischiante e pericoloso tra Theo e chi legge. Theo seduce chi si appassiona alla sua storia, agisce in modo perverso e rende succube il lettore. La lettura scorre dunque via in modo molto veloce e non solo per il desiderio di arrivare a capo di questo mistero.
In un gioco di manipolazioni in cui le briciole vengono disseminate come indizi invisibili, tutto si chiarisce in modo fortissimo nelle pagine finali. E la prospettiva cambia in modo totalizzante, tanto da lasciare basiti anche i lettori più attenti.
Alex Michaelides, La paziente silenziosa, Einaudi, 2019