Se hai l’impressione di brancolare nel buio circa il tuo futuro professionale, conoscere il Life Design potrebbe aiutarti a migliorare le cose.
Da anni Bill Burnett e Dave Evans tengono un corso di Life Design all’Università di Stanford, con l’obiettivo di dare ai loro studenti le coordinate per costruire l’atteggiamento mentale più utile a costruire un vita professionale soddisfacente. Ma poiché lavoro e vita privata sono come vasi comunicanti, il life design vuole essere uno strumento che (soprattutto) indirettamente, migliora la qualità della vita nel suo insieme.
Si tratta quindi di una metodologia di coaching, che dati alla mano (il corso è stato oggetto di valutazione da parte di due studenti di dottorato), sembra proprio che a distanza di anni abbia fatto la differenza nei percorsi di vita di chi l’ha fatta propria. In particolare, sembra che chi abbia assorbito i principi del life design si sia dimostrato nel tempo più capace di immaginare e perseguire efficacemente un percorso di carriera in linea con i propri desideri e valori, ad esempio grazie al fatto di avere meno convinzioni disfunzionali (cioè inutili se non dannose) e una maggiore creatività nel partorire idee utili a risolvere problemi.
Burnett ed Evans hanno condensato l’esperienza di anni d’insegnamento in un libro, dal titolo, appunto, Designing your life, in cui riassumono i principi cardine della metodologia e presentano alcuni degli esercizi che chiedono agli studenti di svolgere a lezione.
Vediamo allora: cosa significa pensare come un life designer?
Si tratta di sviluppare un mindset (potremmo tradurre questa parola con atteggiamento mentale) che consiste in cinque pilastri: curiosità, sperimentazione, ridefinizione dei problemi, consapevolezza del processo, collaborazione radicale. Vediamoli uno ad uno:
1. Curiosità: un life designer è una persona curiosa, cioè che esplora ambienti, attività, situazioni, con un atteggiamento di apertura alla novità e “da principiante”, cioè senza dare nulla per scontato. Questo aiuta a scovare opportunità interessanti anche laddove a prima vista non sembrano esserci.
2. Sperimentazione: un life designer è incline a sperimentare. A braccetto con la curiosità, il desiderio di sperimentazione implica testare e testarsi in prima persona in circostanze mai sperimentate prima. Non solo: un life designer prova spesso non solo cose che non ha mai fatto, ma anche a fare cose già conosciute in modi nuovi. Gli autori chiamano questo atteggiamento “prototyping”, nella misura in cui chi ce l’ha crea nuovi modelli e li sperimenta per risolvere problemi, conoscere meglio se stesso e il mondo. Un presupposto più o meno esplicito del life design è in effetti che per conoscere se stessi bisogna sperimentarsi in molti contesti e nel fronteggiamento di molti problemi, creativamente.
3. Ridefinizione dei problemi: noto anche come “reframing”, è l’atteggiamento di chi mette in discussione i presupposti non esplicitati di una situazione (per capire se un problema si sta affrontando dalla giusta prospettiva) o di un proprio convincimento, per poi eventualmente cambiarli con altri più utili. Se ciò può apparire un po’ astratto, possiamo spiegarlo facilmente con un esempio: in molti hanno la credenza che la passione sia qualcosa che si ha in partenza e con la quale di conseguenza si fa qualcosa con impegno. Ma in realtà (credenza ristrutturata) molto spesso le persone scoprono di cosa sono appassionate solo dopo aver sperimentato a sufficienza in molti ambiti diversi. Perciò, per molte persone che per anni brancolano nel buio circa il cosa fare nella vita, la chiave è ristrutturare la credenza “quando lo scoprirò, lo farò”, in “facendo, lo scoprirò”, dedicandosi alla sperimentazione con curiosità.
4. Consapevolezza del processo: in corso d’opera è importante ricordarsi… che si è in corso d’opera e che è lecito abbandonare un certo modo di procedere verso un obiettivo se nel frattempo le circostanze sono cambiate o noi siamo cambiati o semplicemente non funziona.
5. Collaborazione radicale: di sicuro il life design non è qualcosa di sviluppabile in solitudine. Secondo Burnett ed Evans la collaborazione radicale è probabilmente il pilastro più importante della metodologia. Il design richiede un processo collaborativo in cui le idee migliori, se si impara a chiedere, provengono dalla comunità supportiva all’interno in cui si è immersi.
Applicato tra la conclusione delle scuole superiori e l’inizio dell’università, è probabile che il processo di life design possa essere molto potente, ad ogni latitudine. Burnett ed Evans sostengono che esso possa aiutare anche i 30-40enni che vogliono cambiare carriera. Nel contesto nord-americano, in cui il mercato del lavoro funziona ed è molto più elastico del nostro, è probabile che sia così, ma in Italia?
FONTI
Burnett B., Evans D.,(2016), Designing your life – How to build a well-lived, joyful life, New York, Penguin Random House.
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