Tra le uscite di luglio di Fazi Editore spicca Non esistono posti lontani, il nuovo romanzo di Franco Faggiani. Il racconto si apre con le parole del professor Filippo Cavalcanti, un appassionato archeologo che ha dedicato la sua intera vita agli scavi in Egitto e allo studio. Inviato a Bressanone per controllare un carico di opere d’arte destinato alla Germania nazista, Filippo si imbatte in Quintino che lo trascinerà in un disperato viaggio di ritorno verso casa. Mentre gli Alleati risalgono la penisola e l’esercito tedesco batte in ritirata, i due protagonisti si lanciano in un’avventura attraverso i passi alpini, i boschi piemontesi, i borghi nascosti tra le colline del piacentino, spingendosi poi sempre più a sud lungo le strade secondarie dell’Appennino. Lo Sbuffo ha intervistato Franco Faggiani, la cui narrazione attenta ai particolari dipinge la bellezza della cosiddetta Italia ‘minore’ e trascina il lettore nel vivo del 1944.
“Non esistono posti lontani” è un racconto in movimento, che, da Bressanone ad Ischia, racconta la nascita di un’amicizia, un disperato viaggio controcorrente in un Italia divisa dalla guerra. Come nasce quest’idea?
L’idea nasce dal collage di tante piccole vicende, diverse tra loro nel tempo e nella memoria. Dalle conoscenze delle persone in periodi e luoghi differenti. Molti dei personaggi li ho conosciuti davvero: la marchesa che dipinge divinamente, il portinaio Artemio, Quintino.
L’arte invece viene fuori dalla lettura di un libro che come titolo ha il nome del protagonista, Rodolfo Siviero, un personaggio geniale e controverso, che fu un eccellente 007, un cacciatore di opere d’arte trafugate durante la seconda guerra mondiale.
Questo libro offre al lettore una interessante varietà di chiavi di lettura: si tratta di un romanzo storico? O un diario di viaggio? La storia di un viaggio, o più un viaggio nella storia?
L’ho immaginato più come la storia di un viaggio in luoghi sconosciuti – con tutte le sorprese, gli incontri, gli imprevisti, lo stupore che il viaggio senza meta offre – effettuato da due personaggi decisamente diversi, contrapposti per età, ruoli, carattere, educazione e vicende familiari.
Si parla quindi di un viaggio che trasporta il lettore nella storia dell’Italia del 1944, nel vivo della Seconda guerra mondiale, un’epoca ancora oggi molto dibattuta. Come si inserisce il romanzo nella narrativa che racconta questo particolare periodo storico?
E’ la storia dell’Italia cosiddetta ‘minore’, che in realtà non lo è per niente, anzi, gran parte dell’Italia non è fatta dalle grandi città, ma dalle borgate, dai paesi, dalle cittadine di provincia. La guerra in molti di questi luoghi non era causata da grandi battaglie – anche se è evidente che ci sono stati eventi drammatici, eccidi e distruzioni – ma da faide locali, da azioni sconsiderate, da vendette, da atti di rappresaglia e banditismo. Tante piccole storie che non sono state mai scritte sui libri di Storia.
Questa narrazione intrisa di descrizioni di paesaggi e la particolare attenzione per la natura che offre riparo ai protagonisti suggeriscono una sua profonda conoscenza dei luoghi: è così?
Sono etichettato da tempo come l’autore della natura, perché in tutti i miei romanzi ha un ruolo importante, da coprotagonista. Di solito non amo le etichette, ma questa me la porto addosso volentieri. La natura protegge, aiuta, ha effetti benefici, però esige rispetto e va conosciuta, perché a volte può sembrare anche molto severa, nemica, addirittura. Ma a parte questo, prima di iniziare a scrivere il romanzo ho fatto davvero tutto il viaggio che poi avrebbero fatto i due protagonisti. E l’ho fatto a modo loro, vale a dire senza carte geografiche o altre indicazioni, ma solo con in testa la direzione: il sud.
Questo mi ha portato a scoprire molti posti strada facendo, e soprattutto a fare incroci casuali e sorprendenti. Il calderaio, il mulattiere, il monaco questuante, i pastori, per citarne alcuni, li ho incontrati davvero ed è così che sono entrati nel romanzo.
Del ‘44 emerge il labile confine tra il bianco ed il nero, la linea, spesso sottile, tra ideologia e disperazione. “Non esistono posti lontani” è anche un’avventura odissiaca, un ritorno a casa carico di significati ed incontri. Come nascono i personaggi che abitano l’Italia devastata dalla guerra? A quali fonti si è appoggiato per ricostruirne la mentalità?
Gran parte dei personaggi, come detto, sono o sono stati reali, sia dal punto di vista fisico che per il ruolo ricoperto. Li ho solo trasportati indietro nel tempo di quasi ottant’anni, ovvero a quella strana primavera del 1944. E li ho fatti pensare e ragionare come era abitudine allora, basandomi sui racconti che da ragazzino sentivo in casa (io sono nato a Roma nel 1948, la guerra era finita da poco); su quanto sentivo nelle serate trascorse nel vicolo con gli anziani del borgo marchigiano dove spedivano in vacanza d’estate e dove la tv non era ancora arrivata; e, infine, sulle vicende familiari che le stesse persone incontrate nel mio viaggio avevano riesumato. Detto tutto questo, la guerra nel romanzo non è la protagonista; c’è, ma scorre ai margini.
Non ho voluto scrivere un libro che raccontasse della guerra, ho voluto costruire una storia che parlasse di luoghi sconosciuti, di piccole memorie destinate inevitabilmente a scomparire e, soprattutto, di come, anche tra persone opposte in tutto, possa nascere un’amicizia.
Per concludere, quali sono i suoi progetti futuri? Avremo il piacere di aspettare la sua prossima uscita?
Prima di mettermi davanti al computer per scrivere un romanzo lo devo avere tutto ben chiaro in testa, sequenza per sequenza, come fosse un film. A questa fase arrivo dopo aver pensato molto alla storia, ai protagonisti e ai comprimari, e naturalmente ai luoghi, che vado sempre a vedere a passo lento, per assorbire meglio paesaggi, odori, suoni e sensazioni in modo da poterli poi descrivere nel modo più realistico possibile. Ecco, diciamo che sto per partire per un sopralluogo in un posto dove gran parte della nuova storia si svolgerà.
Franco Faggiani, Non esistono posti lontani, Fazi Editore, 2020