Che cos’è il Male? Chi stabilisce cos’è Male e cos’è Bene e, quindi, chi sono i cattivi? Cosa ce lo insegna? Ebbene, tutto ciò che ci circonda.
A questo punto, l’intera società applica di fronte a eventi di natura spietata un meccanismo di difesa per mezzo del quale l’immedesimazione in chi commette tali atrocità si blocca e diventa per noi un fatto totalmente incomprensibile e soprattutto disumano. Così si creano i buoni e i cattivi, i giusti e i fuorilegge. Ma non è forse l’immedesimazione, la conoscenza dell’altro a permettere agli uomini di capire le ragioni altrui? Questa domanda sta alla base di un intero filone culturale che da una decina di anni a questa parte ha dato inizio a un vero e proprio esperimento cinematografico di ricerca e scavo nell’interiorità della parte del mondo corruttibile e che contravviene alle regole dell’etica: i cattivi del cinema. Basti pensare alle pellicole per bambini Cattivissimo Me (2010), Ralph Spaccatutto (2012) e Maleficent (2014) o alle serie televisive per adulti come Lucifer (2016), fino ad arrivare al recente successo della pellicola da oltre 600.000.000 di incassi di Todd Phillips Joker (2019).
Cosa accomuna queste storie di individui che, diversamente dal solito, non sono gli eroi destinati al lieto fine, ma ribelli in conflitto con il mondo e amanti del caos? A quanto pare, la loro inalienabile umanità. Se si riflette un istante sulle loro vicende si riuscirà a far emergere un file rouge drammatico che porta i personaggi a fare delle scelte sbagliate, mai obbligate, ma che sistematicamente si ripresentano sul loro cammino, come un campanello che scuote il loro animo silenziosamente e ripetutamente ogni qualvolta i protagonisti di queste tragedie provino a migliorare, ricevendo come risultato contrario una delusione rovinosa. “Io non farei così”: è questa la risposta che si tende a dare agli altri, e soprattutto a se stessi, di fronte a vicende che paiono spietate, quasi irreali: coloro che vi assistono si sentono liberi, pur senza diritto, di farle rientrare in schemi del tutto ordinari, dandosi così il permesso di giudicare.
Un simile risultato mostra innegabilmente la tesi che tanti sociologi hanno a lungo cercato di sostenere e che è stata altrettanto ostacolata senza sosta da coloro che ancora si ritengono al di sopra di certi comportamenti, o meglio istinti: chiamarsi fuori dalla natura profondamente umana che caratterizza ciascun individuo. Non a caso Bocchiaro sceglie come enunciato di apertura del suo libro una verità incontestabile, seppur dolorosa, e cioè che “il male non è mai straordinario ed è sempre umano“.
Detto questo, non si intende incoraggiare ogni giustificazione delle altrui scelte discutibili, e talvolta dannose, considerando il soggetto una vittima del contesto sbagliato: piuttosto, occorre considerare molteplici possibili spiegazioni prima di trarre le proprie conclusioni su una vicenda. Le radici del male nascono ben più in profondità di un capriccio, si originano da traumi fisici e psicologici, da abusi, perdita, abbandono, e decine di altre situazioni che solo se vissute possono essere comprese, ma del resto “non c’è niente di più facile che condannare un malvagio, niente di più difficile che capirlo” (Fëdor Dostoevskij).
Piero Bocchiaro, La psicologia del male, Laterza, Roma-Bari, 2009