La street art: uno stato mentale

Viviamo in un paese, l’Italia, che conta ben 4.808 beni culturali, fra musei, aree archeologiche, monumenti ed ecomusei aperti al pubblico ogni anno. Possiamo vantarci di avere più di cinquantacinque siti riconosciuti dall’UNESCO, fra cui cinque siti naturali (Isole Eolie, Monte San Giorgio, Dolomiti, Monte Etna, Antiche faggete primordiali dei Carpazi e di altre regioni d’Europa) e, nell’ambito dei rimanenti 50 siti del Patrimonio Mondiale, otto sono paesaggi culturali: Costiera Amalfitana, Porto Venere, Cinque Terre e Isole Palmaria, Tino e Tinetto, Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, con i siti archeologici di Paestum, Velia e la Certosa di Padula, e ancora Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia, Val d’Orcia, Ville e giardini medicei in Toscana, paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato, Le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. A tutto questo patrimonio, che per noi costituisce una sorta di carta d’identità da mettere in bella vista agli occhi del mondo (e che dovrebbe essere vero e proprio “petrolio” dal quale attraverso valorizzazione, conservazione e tutela dovremo ricavare fonti inesauribili di guadagno), potremmo aggiungere il grande mondo della Street Art.

La Street Art è nata intorno ai primi anni del Duemila, ma ha radici ancora più antiche. In quanto arte pubblica si oppone idealmente al concetto di arte come bene privato (e dunque regolamentata da regole di mercato organizzate secondo i concetti di domanda e offerta), pubblicizzandosi così come arte antidogmatica e anticonvenzionale. Il mondo della Street art è la strada che non ha bisogno di apposite strutture o di un buon deumidificatore d’aria, perché basta un muro, una banchina, una panchina, una porta di una casa abbandonata o scolorita come i grigi palazzi delle periferie, per far prendere vita a quel colore all’interno della bomboletta spray reso gassoso da quel “pulsante” grazie al quale i ragazzi ispirati, gli street-artist, danno forma ad un mondo, ad un’idea ad un messaggio. Solitamente accade di notte perché i posti scelti per disegnare sono spesso illegali.

Il termine inglese Street art (arte urbana) ha varie accezioni, sia inclusive che esclusive, e non è chiaro il confine dall’arte urbana in quanto tale o quando per esempio questa “migra” su tela. Un peso di massima di quest’arte, l’americano John Fekner, descrive la Street art come:

tutto quello che sta in strada che non siano graffiti.

Molto spesso infatti, si identifica la Street Art con i graffiti per via del medesimo luogo utilizzato, ma la sostanziale differenza tra i due si riscontra nella tecnica dell’uso di vernice spray e nel soggetto non obbligatoriamente legato allo studio della lettera. Tuttavia l’arte urbana non è da confondere con i graffiti, perché questi ultimi sono da considerarsi una categoria a sé stante, visualmente e concettualmente differente, che ha come modello il mondo Hip Hop.

street art

Ma qual è il messaggio della Street art? Cosa ci insegna?

La Street Art, seppur attraverso meccanismi diversi da quelli attualmente in vigore nel mercato dell’arte, ha un ruolo educativo di indubbia rilevanza quando si mette al servizio di tematiche di interesse collettivo; arriva immediata, pungente, puntuale, ai cuori di tutti. In genere sceglie un linguaggio di carattere figurativo e soprattutto si presenta in contesti aperti e di pubblica fruizione.

Come ci è stato dimostrato durante il lockdown, la street art è un’arte in continua evoluzione: in questo periodo si è così trasformata in Street Pandemic Art, grazie agli artisti di strada che hanno affrontato la pandemia di Covid-19 con pezzi toccanti e spiritosi. La collezione di Murales da Coronavirus è originale e piena di stile e intelligenza. Questa ha coinvolto gli artisti di strada di tutto il mondo, dall’America, all’Europa, all’Asia: alcuni murales hanno criticato le leggi e le prese di posizioni di alcuni uomini di stato, altri invece hanno descritto gli effetti sulla psicologia delle popolazione costretta a rimanere chiusa in casa, altri ancora dopo la progressiva riapertura degli Stati alla vita quotidiana hanno descritto la “sindrome della capanna” post-Covid.

Un esempio che ha fatto il giro del mondo in questi mesi è certamente il murales di Bansky realizzato in smart-working nel suo bagno, dove i protagonisti sono nove topi impazziti e foll. Tra questi uno, come se fosse in prigione, segna sul muro con un gessetto rosso i giorni che passano; la prigione è quella mentale, l’impossibilità di poter vivere come si è sempre vissuto che ha portato l’artista a viaggiare e uscire mentalmente.

Altri però sono i Murales che riflettono i vizi, le emozioni, i desideri umani, oppure che denunciano i vari problemi sociali come la Mafia, o ancora che ritraggono grandi miti, uomini e donne che hanno influenzato l’opinione pubblica. Recentemente infatti, a seguito della triste scomparsa del musicista premio Oscar Ennio Morricone, a Trastevere è comparso un murales che ritrae Morricone con un’aureola sul capo, la statuetta che tiene in una mano e con l’altra indica il gesto del silenzio. Il murales è stato creato dall’artista Enry Greb, che ha scelto appositamente Via delle Fratte in Trastevere, luogo natio del grande musicista, conferendo al murales uno sguardo e un volto carichi di umanità. Questo Murales, seppur soltanto un ritratto, può essere letto come un ringraziamento da parte dell’artista per tutto quello che Morricone ha regalato ad intere generazioni. In particolare Enry Greb è molto famoso per aver omaggiato diversi grandi italiani come Anna Magnani, Alberto Sordi e Rino Gaetano; in quest’ultimo riporta la celebre frase del cantante nella canzone Nun te reggae più “Razzismo, povertà, falsi miti, influencer, trapper, politici, banchieri, arroganza del potere: nun te reggae più” forse proprio per ricordare alle nostre generazioni quanto un cantante morto all’incirca quarant’anni fa, attraverso la sua ironia, sia tutt’ora di massima attualità.

Per ultimo, ciò che ha conferito grande visibilità al mondo della street art, soprattutto italiana, è il Parco dei Murales a Napoli, che ha cambiato completamente le sorti di un quartiere. Il Parco dei Murales è situato nel quartiere Ponticelli, una zona con diversi problemi sociali, che fino al 2015 non aveva mai visto alcun intervento artistico. Tutto è nato dall’idea dello street artist Jorit Agoch, che in seguito alla realizzazione del suo murales situato nel Parco Merola, ha iniziato assieme ad altri street artist e appassionati un movimento culturale riconosciuto caso d’interesse dall’INWARD (l’osservatorio nazionale sulla creatività urbana), e dai vari enti territoriali e nazionali che hanno permesso l’ampliamento di tale parco.

Questo é il percorso dell’arte che affronta e osserva. Le persone risuonano davvero con nuove interpretazioni della realtà che viviamo ed é proprio ciò in cui gli artisti di strada sono i più bravi.


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