L′approccio necrofilo dell′uomo oggi
L′uomo moderno oggi guarda la natura come un semplice spettatore che assiste ad una realtà esterna, al di fuori, senza alcuna connessione o rapporto con essa. Un’entità maligna, inaccessibile, che ci attacca e minaccia continuamente: “Viviamo in mezzo a lei, le siamo stranieri” (Goethe). Ma la natura, in realtà, non fa altro che proseguire il suo percorso ed è, al contrario, l’uomo che continua a minacciarla. Si tratta di una visione dualistica, dove la scienza, secondo Fromm, ha un carattere necrofilo, cioè distruttivo nei confronti della natura: si pensi all’inquinamento e a tutti gli effetti che determina sulla nostra vita, come il buco che si va dilatando nella sfera di ozono che fa parte della nostra atmosfera e che la natura, quella maligna creatura che ci “attacca”, aveva creato per proteggerci.
Ma se guardiamo indietro nella nostra storia, scopriamo che un tempo il rapporto tra l’uomo e la natura non era così. Un rapporto intrinseco, di connessione, dove la natura non era malvagia, ma fonte di ispirazione e di sentimento.
Nel mondo greco
Nella mitologia greca, la Natura viene costantemente descritta come personificazione: i suoi vari elementi sono creature divine che interagiscono tra loro, in rapporti di alleanza o di conflittualità e che determinano la varietà degli aspetti naturali e la loro incidenza sulla vita degli uomini. Così Gea è la Terra, Eolo il Vento e Poseidone il Mare, mentre il ciclo delle stagioni è rappresentato con il rapimento di Proserpina da parte di Plutone, dio dell’Ade.
Nella letteratura, il rapporto tra uomo e natura diviene elemento imprescindibile: ne è esempio Esiodo, che ne “Le opere e i giorni” introduce l’idea che l’uomo, con il suo lavoro e fatica, coltivando la terra, possa trasformare la Natura a suo vantaggio.
Il testo più antico che narra in versi le credenze dei Greci sull’origine del Mondo e sulle genealogie divine è la “Teogonia” di Esiodo. Per i greci in principio c’era il Caos, miscuglio indeterminato di tutto quello che esisteva. Dal Caos come prima cosa nacque la Terra che personificatasi divenne Gea, la madre di ogni cosa:
Dal Caös ebber vita quindi Èrebo, e Notte la negra.
Nacquero l’Etere e il Dí dalla Notte, che ad Erebo mista
giacque in amore, e incinse, li die’ l’uno e l’altro alla luce.La Terra generò primamente, a sé simile, Urano
tutto cosperso di stelle, che tutta potesse coprirla,e insieme sede fosse dei Numi del cielo sicura;
e generò gli alti Monti, graditi riposi alle Ninfe,
che Dive sono, ed hanno riparo per valli boscose,
e il Ponto generò, senza gioia d’amor, ch’è un immane
pelago, dove mai non si miete, che gonfia ed infuria.(Esiodo, Teogonia)
Nel mondo romano
Dal mondo greco a quello latino, Virgilio, con le sue “Bucoliche” e “Georgiche”, determina un rapporto letterariamente imperituro tra la Natura e la letteratura: nasce così il paesaggio utopico dell’Arcadia, luogo ideale in cui gli uomini vivono in una continua comunanza con gli dei e che ha tutte le caratteristiche del nostro locus amoenus, per di più patria d’elezione della poesia. La Natura si fa così amorevole e dolce, osservatrice e generatrice. Troviamo qui il motivo dell’età dell’oro, caratterizzata dall’originaria innocenza e dalla spontaneità della natura:
La terra non patirà i rastrelli, la vigna non (patirà) la falce,
anche il robusto aratore toglierà ormai il giogo ai tori;
e la lana non imparerà a fingere i vari colori,
ma da solo sui prati l’ariete cambierà il (colore del) vello
ora con la porpora che rosseggia soave ora con il giallo zafferano;
spontaneamente il sandice rivestirà gli agnelli che pascolano.
(Virgilio, Bucoliche)
Il Cristianesimo
Con il Cristianesimo, la Natura assume una nuova dimensione, in quanto frutto della creazione divina, concessa da Dio dopo il peccato originale, habitat da cui raccogliere i frutti, ma anche da far prosperare con lavoro e fatica. E se il mondo classico aveva eletto il locus amoenus quale luogo di perfezione e connessione con la divinità, la religione ha voluto creare il suo luogo privilegiato: il Paradiso Terrestre, che possiamo immaginare grazie al magistero dantesco e la “Divina Commedia“. Si tratta del luogo eletto all’antica innocenza, alla bellezza originale ormai perduta, dove ogni frutto cresce da sé e il tempo sembra essere fisso nell’eterna primavera.
Qui fu innocente l’umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice.(Dante, Divina Commedia)
Il mondo nordico
E oggi?
Dal mondo classico al paesaggio fiammingo, la natura ha sempre avuto fino ad oggi una centralità fondamentale, intesa in una continua connessione con l’uomo. Laddove oggi il tentativo necrofilo dell’uomo moderno volge la natura quale puro oggetto di sfruttamento, i classici ancora una volta ci orientano verso la strada di consapevolezza e coscienza di ciò che il mondo che ci circonda significhi. Si tratta di riscoprire questa connessione, questo rapporto bidirezionale con la natura, mai un mero strumento, ma fonte di vita per tutta l’umanità.