Siamo nell’era del selfie. Un’inguaribile ossessione per il nostro aspetto fisico ci spinge a scovare l’inquadratura perfetta per offrire agli altri l’immagine migliore di noi stessi. Almeno in apparenza. Ma l’egocentrismo che galoppa tra le nostre vite da vetrina non è un virus del nuovo millennio. La storia dell’arte ci insegna che ancora prima dell’avvento degli smartphone e della tanto agognata fotocamera frontale, il narcisismo aveva già mietuto molte vittime.
Sono molti gli artisti che con le loro esasperate manie di protagonismo hanno dimostrato una profonda fame di riconoscimento. Sia per il loro aspetto bizzarro che per i loro atteggiamenti stravaganti. Il buon vecchio proverbio recita: “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”. Ed è stato questo il mantra esemplare di cinque personalità forti che hanno segnato l’arte moderna e contemporanea.
Salvador Dalí
Il surrealista dai lunghi baffi neri la sapeva lunga in fatto di successo. Dalì è stato tra i primi a intuire l’enorme potenzialità che i mass media avrebbero avuto da lì a poco, e che per raggiungere la popolarità era indispensabile servirsene. A tal proposito molti ricorderanno la sua incursione cinematografica in Un chien andalou insieme a Luis Buñuel.
Uno stile tanto egocentrico quanto ricercato indicavano quanto per Dalì contasse l’apparenza. Il suo aspetto e il suo comportamento erano ingredienti fondamentali della sua arte. Consapevole della propria influenza mediatica, non perdeva occasione di attirare l’attenzione su di sé con le sue dichiarazioni memorabili. “Ogni mattina mi sveglio e, guardandomi allo specchio, provo sempre lo stesso e immenso piacere: quello di essere Salvador Dalí”. Una vera e propria icona del suo tempo che le maschere della Casa di Carta non hanno fatto che alimentare.
Andy Warhol
Così Warhol si è trasformato in un neutro commentatore della vita quotidiana, dando vita – attraverso il meccanismo della ripetizione in serie – a una cultura di massa che nutre sé stessa con l’indifferenza e l’oggettività di una macchina.
Rembrandt
Sono oltre ottanta gli autoritratti di Rembrandt che ci sono pervenuti. Una produzione ricca che, parallelamente a quella altrettanto numerosa dei ritratti familiari, documenta le evoluzioni della sua tormentata vicenda biografica, segnata dai lutti e dalle difficoltà economiche. Al di là della propria fortuna, Rembrandt fa parte di quella lunga schiera di artisti che amava immortalare la propria immagine con la speranza di essere ricordato.
Vincent Van Gogh
L’autoritratto gli dava così l’occasione di riflettere su se stesso e di cogliere ogni volta lati diversi della propria personalità. Una sorta di esercizio terapeutico, che non aveva come scopo primario una celebrazione della propria immagine, bensì un’indagine sulla vera natura dell’uomo. Una relazione con la società del tempo, nella quale si sentiva nient’altro che un piccolo ingranaggio. Un ingranaggio tanto frustrato quanto egocentrico.
Marina Abramović
Non è da tutti disporsi sugli stipiti dell’ingresso di una sala, costringendo gli ospiti ad entrare in contatto con il tuo corpo nudo, sotto gli sguardi imbarazzanti del pubblico. O rimanere seduti 7 ore al giorno per 3 mesi senza bere, mangiare o usare la toilette, guardando fissi negli occhi centinaia di spettatori che, uno dopo l’altro, si accomodano di fronte a te per un dialogo non verbale quasi sacro.
In un mondo egocentrico come quello dell’arte, gli artisti fanno spesso a spallate per gridare al mondo la propria voce, alla ricerca di un posto al sole che non li faccia cadere nel dimenticatoio. Finché si tratta di sana competizione che stimola la creatività e la riflessione, senza piombare nella spirale viziosa del narcisismo, ben venga. E allora prepariamoci ad altre mille sfumature di egocentrismo.
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